Teramo. Caso Fini-Berlusconi, riceviamo da Raimondo Micheli, Capogruppo PDL alla Provincia di Teramo

Raimondo Micheli

La recente divergenza tra Fini e Berlusconi relativamente ad alcuni indirizzi politici generali e a certi aspetti endemici del PDL ha catturato le circospette attenzioni di tutti, da quanti vestono un ruolo politico, ai media, sino ai cittadini, suscitando una certa suspense sulle ipotetiche ripercussioni sul più ampio partito della storia della Repubblica.

Al di là di quelle che possono essere le letture più spettacolari che attribuiscono l’origine della controversia al mutato equilibrio interno alla luce del nuovo ruolo della Lega, al differente approccio alla immigrazione o al diverso sentire in merito al diritto ad un dibattito interno e alla discussione della leadership, non bisogna trascurare alcuni aspetti, per così dire, fisiologici: Il PDL è nato dalla confluenza di forze politiche caratterizzate da origini, storia e percorsi differenti, che affondavano le radici in contesti culturali distinti e ben individuati. La sagacia strategica e la lungimiranza politica dei due leader ha portato alla costituzione di un ampio partito ispirato a principi libertari e legalitari, che poggiasse su una larga base in modo da fornire garanzie di stabilità e governabilità. Il carattere vincente di questa scelta è innegabile ed è davanti a tutti, giacchè l’alleanza di centrodestra ha guadagnato, a più riprese la fiducia dell’elettorato divenendo forza di governo nazionale e, in gran parte del territorio, locale, espugnando persino quelli che erano considerati presidi del centro sinistra.

In qualche modo, pur fatte salve le non trascurabili differenze di contesto storico e politico, quanto accaduto mi ha riportato alla memoria ciò che si verificò nel 1995 quando il Movimento Sociale Italiano giunse ad un bivio storico e l’evoluzione in Alleanza Nazionale con la conseguente rinuncia (parziale) al simbolo storico, suscitò preoccupazioni e scetticismo ed in taluni casi provocò la emorragia di alcuni gruppi.

Quella, come questa del PDL, fu una scelta obbligata dalla necessità di mantenere un partito al passo con i tempi con il contesto storico, fedele ai principi fondamentali ma consapevole delle mutate condizioni culturali, economiche e sociali. Per chi fa politica, l’aderenza al tessuto sociale e alle reali esigenze del Paese è la ragione stessa del proprio esistere. Per questo la transizione di allora così come la recente nascita del Popolo delle Libertà, non devono essere viste come un semplice “lifting” politico. Esse hanno rappresentato una evoluzione, sofferta ma più semplice la prima, più morbida ma maggiormente articolata e complessa quest’ultima.

Di conseguenza non si deve pensare che all’interno di una entità politica così importante vi sia totale omogeneità o peggio omologazione, e neppure è opportuno che vi sia. L’immagine del PDL come crogiuolo politico, suggestiva ed efficace, non deve indurre a ritenere che la fusione possa essere istantanea o totalmente indolore. Come tutti i processi finalizzati ad avere effetti duraturi, è necessario un periodo di maturazione, di affinamento e di consolidamento. Persino di selezione se richiesto.

La politica è dialettica, è confronto e, a volte, quando la passione o l’interesse investono temi importanti, può divenire scontro ed avere toni accesi. Quanto sta verificandosi tra i due leader cofondatori del PDL è sicuramente espressione della grande personalità politica di entrambi e della pluralità dialettica presente. La sfida, su cui si forgerà la maturità del partito, sta nel convergere in una sintesi costruttiva e unitaria e soprattutto su una linea di azione coerente con i programmi elettorali sui quali la gente ha investito la propria fiducia.

Diverso è il discorso delle cosiddette correnti e del correntismo, che costituiscono un brutto residuo di un vecchio modello di politica che conduce esclusivamente ad una frammentazione degli obiettivi e alla ricerca delle affermazioni personalistiche ponendo necessariamente in subordine le esigenze del Paese e del Territorio, inficiando l’idea stessa di politica come servizio.

Per ciò che riguarda la posizione del gruppo che rappresento e quello che può essere lo scenario locale, è doveroso rassicurare gli elettori sulla coerenza e sulla stabilità degli uomini e dei programmi cui hanno dato il loro consenso. Siamo in un momento politico che vede la leadership riconosciuta del PDL quale forza di governo con un felice asse sinergico tra Regione, Provincia e Comune: ciò ci mette in condizione di attuare importanti riforme e mettere in cantiere grandi opere.  Ritengo che il PDL, pur nella sua innegabile perfettibilità, sia il Futuro della coalizione di Centro destra e che da esso debbano uscire le risposte al bisogno di soluzioni e di vie di uscita da una crisi che da troppo tempo perdura, quelle risposte che la gente ci ha chiesto e che è dovere di una Politica responsabile fornire.

Raimondo Micheli, Capogruppo PDL alla Provincia di Teramo