L’Aquila. SANTA MARIA PAGANICA, SPUNTI DI STORIA PER UNA RICOSTRUZIONE

Santa Maria Paganica
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Gentile direttore,

giro volentieri questa interessante nota del prof. Fulvio Giustizia, storico e archeologo, sulle vicende architettoniche della chiesa aquilana capoquarto di Santa Maria Paganica a seguito dei numerosi terremoti subiti nel corso dei secoli, fino a quello che ci riguarda. Questa dettagliata ricerca storica, che mostra notevoli spunti d’interesse, diventa essenziale punto di riferimento per il restauro del tempio, gravemente danneggiato dal recente sisma, sul quale si attendono conseguenti decisioni degli Stati Uniti sulla promessa adozione del monumento per le spese della ricostruzione. La nota storica è divisa in due parti, qualora non si ritenga possibile la pubblicazione in unica soluzione. L’approccio è importante ed esemplare riguardo ai numerosissimi casi di monumenti da restaurare che interesseranno L’Aquila nei prossimi mesi ed anni.
Allegata una foto della chiesa danneggiata dal terremoto del 6 aprile 2009.
Con viva cordialità
Goffredo Palmerini

SANTA MARIA PAGANICA, SPUNTI DI STORIA PER UNA RICOSTRUZIONE

Le vicende architettoniche della grande chiesa capoquarto per i danni subìti dai terremoti dell’Aquila

di Fulvio Giustizia*

Paganica, anche se bisogna attendere ventisette anni (doc.23 settembre 1285) perché si faccia esplicito riferimento ad un arciprete e Capitolo di canonici ecclesiae Sanctae Mariae de Paganica aquilensis. Nel 1304, 25 agosto, si fa menzione della prima fondazione di una cappella padronale, intitolata alla Madonna, richiesta, per testamento da Perugia, dal canonico aquilano e scrittore della Sede Apostolica, Sir Gualtiero Morelli. Quattro anni più tardi, sotto l’arcipretura di un certo Don Nicolò, la costruzione della chiesa, probabilmente a tre navate, può dirsi conclusa in tutti i particolari, compreso i meravigliosi portali, su uno dei quali, il principale, campeggia la data 1308. Nel 1315, con inizio il 13 dicembre e la durata di un mese, la città subisce il primo dei suoi disastrosi terremoti «che ruvinò molte chiese et edificii». (Cronaca del Beato Bernardino da Fossa). Non sappiamo nulla degli eventuali danni provocati alla nostra chiesa. Qualche anno dopo, nel terremoto del 1349, il disastro in città fu totale e, fra i tanti crolli, si specifica quello di Santa Maria Paganica, forse con danneggiamento anche del suo campanile a torre, per il cui completamento, nel 1365, intervenne un lascito testamentario di Giovanni Gaglioffi.

L’anno successivo, sempre per la ricostruzione, si reperiscono fondi, vendendo alcuni terreni in Fossa, con il beneplacito del vescovo aquilano Giacomo Donadei. È questo il periodo in cui, sotto la longeva arcipretura di Francesco Nanni Fattennanti (1416-1470 circa) la chiesa risente di un grande fervore culturale ed edilizio: la bella fattura di codici liturgici miniati per mano di un certo Marini di Alanno (1416), la Croce a stile d’argento di Nicola da Guardagrele (1447), costata 390 ducati e la ricostruzione della monumentale torre campanaria nel 1417, per opera dei mastri Fante di Roio e Cola di Rocca di Cambio, per la non indifferente spesa di 251 ducati d’oro veneziani, inoltre l’edificazione di una sacrestia sulla fiancata (navatella) sinistra della chiesa (in cornu Evangeli), con donazioni iniziate allo scopo nel 1418, che condurranno al completamento della stessa soltanto nel 1451. Con la costruzione della sacrestia è da credere che ormai, se non altro per motivo di simmetria, anche la navatella di destra come l’altra, entrambi presumibilmente già aperte con scansione di pilastri nella chiesa ante 1349, ora, in pieno secolo XV, vengano utilizzate come vani lateralmente chiusi, adibiti ad altari o cappelle padronali.

Del successivo terremoto del 27 novembre 1461 si hanno notizie di rovine di varie chiese, fra le quali, in parte, Santa Maria Paganica, con crollo di una cappella e porzione del tetto e, probabilmente, con una qualche incrinatura anche della facciata, sulla quale, più tardi, sotto l’arcipretura di Don Antonio Francesco Cappa, negli anni 1545-1548, si mettono in opera pesanti interventi di consolidamento, per opera di un certo Mastro Bartolomeo, che si presta a smontare e rimontare le pietre del prospetto e rinforzarlo con due pilastri, riparando anche due cappelle (altari) addossate alla parete interna. Ecco alcune colorite espressioni del contratto: «In primo detto Mastro Bartolomeo se obliga gettar detta fronte per ducati vinti cinque de carlini (…) item promette recomponere detta fronte et remenar tutte le prete de la fronte devanti et cornice come stano al presente (…) et promette recomponere la porta e occhio (rosone) per pieno come lo restante de la fronte a prezo de carlini vinti la canda quadra (4,40 m²) con lo muro in esso facciata de grossezza come al presente si trova (…). Item promette fare doi pilastri da capo a pede la fronte (…). Item che le cappelle che sono al presente in detta fronte le debbia remettere drento del muro de la fronte secondo meglio parese… ». I lavori, che dovettero in parte interessare anche il consolidamento della volta a capriata, iniziarono nel giugno del 1545, con tanto di sacro auspicio e preghiera dell’arciprete Antonio Francesco all’inizio delle sue dettagliate note di spesa per la fabbrica della Chiesa: « Idio sia che la vediamo rihedificata con pace laude de Dio salute de vivi et refrigerio ale anime trapassate amen ». La triennale ristrutturazione venne a costare 380 ducati.

la metà superiore della torre campanaria, probabilmente già danneggiata perché non si potesse da lì rispondere ad un eventuale fuoco delle artiglierie del Castello.Negli anni successivi, si registrano buone notizie per la messa in opera di alcune costruzioni e ornamenti fuori e dentro la chiesa: , come riferisce l’, si esegue «la scala cordonata avanti il frontespizio e la porta maggiore» demolito, secondo il Mariani, intorno agli anni Venti del XIX secolo «in occasione di rimodernarsi la Chiesa come al presente si vede».Altri cambiamenti riguardano la facciata, la cui aggiunta a grezza cuspide sopra l’originario , risale al tardo Settecento. Le notizie di continue riparazioni e ricostruzioni si avvicendano con ritmo serrato per tutto il secolo XVII, a partire dal 25 aprile 1610, quando un «lassa pro edificio et reparatione di essa Ecclesia la casa dove esso testatore abita».

«tutti abbandonarono le loro case e si ritirarono nelli giardini ». Anche se si afferma che non vi fu un «notabile danno» per gli edifici cittadini, è da credere che la stabilità della nostra chiesa rimanesse abbastanza compromessa. Per questo motivo si spiegano alcune donazioni «per la fabbrica di questa Chiesa» come quella dell’ottava parte di un capitale di regi fiscali di mille ducati sopra l’università di Antrodoco, eseguita per legato testamentario da Marzia Colantoni, il 24 dicembre 1653. È questo un periodo di grande fermento sociale con conseguente affollamento del quartiere anche da parte di artigiani ed artisti, soprattutto milanesi, che vi scelgono la residenza, fra i quali i pittori Bedeschini e il noto scrittore di storia patria aquilana Salvatore Massonio. Di pari passo è il fervore religioso: secondo lo status animarum 1662, la parrocchia di S.Maria conta 864 fedeli, serviti da un arciprete e 7 canonici, con 19 cappellani di residenza, di cui 15 sacerdoti e 4 chierici. I non obbligati alla residenza sono 38, di cui 15 sacerdoti e 23 chierici. Nel 1665 gli altari della Chiesa, che normalmente sono detti anche cappelle, in quanto collegati a uno o più benefici, semplici o di residenza, sono incredibilmente 22, con annessi 48 benefici di cappellania, di cui 12 solo nell’altare maggiore, dedicato all’Assunta.

Circa l’accennata probabile compromissione della stabilità della chiesa nel post sima 1646, abbiamo un verbale delle risoluzioni capitolari del 3 agosto 1668, in cui l’arciprete Don Giovanni Pietro Bruno, vista «la necessità grande che tiene la Chiesa sì per il corpo d’essa, minacciando rovina in più parti, come anche il bisogno di suppellettili » propone «per sovvenimento delle suddette necessità» di rivolgere una. La supplica, datata 23 luglio 1669, ribadisce «come la detta Chiesa minaccia rovina in molte parti et ha grandissimo bisogno di risarcimento nel corpo». Il 3 agosto dello stesso anno, due artigiani milanesi, i “fabrilignarii” Cristoforo Chino, di 57 anni e Carlo Maragna di trent’anni, testimoniano con precisione di dettagli la situazione dei danni, offrendoci un inedito spaccato della chiesa, a cui sarebbe opportuno far riferimento oggi nel progetto di una moderna ricostruzione: un’aula con copertura a capriata, che s’innalza dall’altezza dell’attuale grande cornicione e si conclude a T nell’innesto dei due bracci del transetto, scandita da 25 “cavalli” nella navata e 10 nel transetto. In più ci vengono date anche le misure della chiesa, 26,5 x 8,5 canne ( pari a 56 x 18 m).

Per questo ultimo danno si esprime con maggior precisione il la cantonata contigua del braccio della Chiesa a man destra ha necessità anco attualmente di riparo perché già è cominciata a cadere la muraglia, oltre che il corpo della istessa Chiesa e trave d’essa hanno pur bisogno di qualche ristoro Da alcuni particolari di queste testimonianze si può dedurre qualcosa in più sulla forma della Chiesa: forse, come residuo strutturale delle tre navate due-trecentesche, vi sono tre absidi, altrimenti non si spiega la dizione dei muratori “tribuna principale” dietro l’altare maggiore. Tuttavia, le tre absidi possono ben coesistere con chiesa ad un’unica navata. Pochi anni più tardi,,il vescovo , nella visita pastorale del 31 gennaio 1685, forse perchè i lavori non sono mai iniziati, oppure sono ancora in atto, è visibilmente scandalizzato, perché, entrando in chiesa si trova di fronte – a suo dire – non aduna chiesa, ma quasi ad una «spelunca», dove solo l’altare maggiore è decentemente ornato. terremoto del2 febbraio 1703, avvenuto sotto l’arcipretura di . Un sisma che notoriamente, secondo le fonti ufficiali esterne al Capitolo della Collegiata, non avrebbe creato seri danni né alla chiesa né al suo quartiere, tanto che in essa, in ringraziamento alla Vergine «che preservò illeso il quartiero di S. Maria di Paganica dalle ruine del terremoto», invalse la devozione, ancora viva nel 1726, di continuare i festeggiamenti della Purificazione per altri duegiorni consecutivi. Eppure a breve distanza dal terremoto, la chiesa aveva chiesto, quasi per una corsia privilegiata, sussidi al governo che, nel Collaterale del 18 maggio del 1703 le vengono negati, rilevando che la stessa non era stata danneggiata più delle altre della città.

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Seconda parte

Ma torniamo alle notizie della ricostruzione: « 20 novembre 1749, coppi nº 1.000 posti in vari luoghi del tetto e muro del Coro in vari tempi…; 11 marzo 1750, mattoni 12.500 consegnati al Procuratore (della Chiesa), coppi 1.000 consegnati al medesimo , coppi 200 posti nel tetto della Chiesa; primo giugno 1750, porto di pietre e cordone dalla sagrestia nuova (in costruzione) a piedi le scale della Chiesa per fare un’aggiunta alla cordonata, e salicata nella strada avanti le scale della Chiesa»…; «11 maggio 1751, giornate due al tetto della Chiesa, e ricoprire la Fabbrica nuova…; 20 gennaio 1754, accomodo del camino della camera del Sagrestano dietro il Coretto; mattoni 300 di Fabbrica serviti per la medesima ». Per solo acquisto di materiali nella sola annata 1 novembre 1755-31 ottobre 1756, risulta una spesa di circa 650 ducati. Nell’anno successivo , fra i quali quelli al tetto, di canne 165 e palmi 3 (circa 730 m²), per mano del Mastro Saverio Ghezzi (lombardo), per “arrasare” i muri, chiudere l’arco grande, per gli speroni e canaloni della torre, per il conto delle vetrate, fra le quali è quella grande composta di 230 vetri e, infine, per ripulire la Chiesa, levare gli ultimi cavalli del cornicione e «per salme 100 di creta per servizio dell’incocciata dell’Arco dell’Altare Maggiore», È interessante, nell’ambito del , una , presieduta dall’arciprete Orazio Cerulli, dove ci si chiede di decidere «dove sia più di vantaggio ed utile il dar principio, se nella Croce, oppure nel Corpo di essa Chiesa». La risposta, dopo la consultazione e attenta «perizia fatta da Mastro Raimondo Rainaldi, Mastro Pietro Longhi e Mastro Angelo Veronica (presumibilmente lombardi)» e la votazione «per bussola segreta (…) restò risoluto che si dovesse dar principio al Corpo della Chiesa».

Nelle note di spese 1757-1758 v’è anche quella per l’accomodo della torre, per mano del summenzionato Mastro Saverio Ghezzi «in occasione che dovette sonare la campana per la morte del Papa» (Benedetto XIV, 3 maggio 1758). Per l’anno successivo, volendo curiosare fra il materiale del cantiere-chiesa, notiamo 23.200 mattoni grandi, costati 83,54 ducati, «1.800 quatri da matonare» il pavimento, del valore di 4,59 ducati e 1.000 tegole di 5 ducati. Nel 1761, per compera di 28.160 mattoni di varie dimensioni, si spendono 93,38 ducati. Dal 3 giugno al 6 ottobre 1762, fervono i complessi lavori per la costruzione della volta a botte a incannucciata, che venne a costare, fra mano d’opera e materiali, ben 513,69 ducati, 140 dei quali fu necessario spendere per costruire gli archi di sostegno in legno (con base all’altezza del cornicione), con l’impiego di 240 giornate lavorative di mastri muratori e falegnami e 96 di manovali. La necessità di queste strutture in legno, affidate a cottimo per 35 ducati al mastro Angelo Migeca, fu avvertita in corso d’opera, in sostituzione dei più economici, ma troppo pesanti, primi tre archi iniziali a mattoni: «si principiano a far l’archi di legno, essendone fatti tre di mattoni che rendevano troppo peso per consulta dei Mastri e Periti, alli muri di detta Chiesa, onde si principiano a lavorare gli archi di tavole». Il provvedimento fu più che giusto e provvidenziale, come si saprà qualche mese più tardi: « e detto lavoro si seguita da Mastri Muratori, come da Mastri Falegnami e garzoni sino alli 6 di ottobre dell’anno sudetto (1762) per essere venuto il Terremoto».

S. Antonio Abate. Da parte sua Don Gaspare s’impegna «di ornare con stucchi la medesima Cappella a proprie spese». Il 24 febbraio gli si concede anche, ad uso di sacrestia, «il sito che resta tra i due muri, uno che riguarda la Cappella contigua della famiglia Benedetti e l’altro quello della suddetta Cappella» Dragonetti. I lavori di ristrutturazione sembrano non finire mai, per una ormai quasi esausta chiesa, di tale importanza e dimensioni. Lo riconosce con ammirazione, un decennio più tardi, un giudice di pace, di cui non s’è conservato il nome: « S. Maria di Paganica è una delle quattro Insigni Collegiate, e Parrocchiali Chiese di questa Città, che ha il primo luogo dopo la Chiesa Catedrale di S. Massimo: detta chiesa, di grande estenzione nel suo disegno e ossatura, non è stata mai compita e perfezionata per la scarsezza delle rendite, che la medesima tiene» (L’Aquila 29 luglio 1809, Lettera del giudice di Pace al Signor Intendente della Seconda Provincia [dell’Abruzzo] Ultra ). Le rendite, come abbiamo visto, c’erano state, ma ora non potevano bastare più, per concludere un’impresa così radicale di ricostruzione. Infatti nel Capitolo del 14 febbraio 1813 si prega il vescovo Francesco Gregorio Gualtieri «di dilazionare il concorso dell’Arcipretura di nostra Chiesa e così restaurare l’edificio onerato di debiti e terze censuali e poter ancora ultimare il pavimento del Coro». E poi c’era da rifinire la cupola, le cui ultime note di spese risalgono all’anno 1827-1828. Ciononostante, nel 1898, sotto l’arcipretura di Don Nicola Selli, si è riusciti, con grandi sacrifici, a costruire anche « una nuova casa in un casaleno a sinistra del coro della Chiesa», per il prezzo di 2.370 ducati.

: la chiesa fu adibita per buona parte a dormitorio da soldati della prima guerra mondiale, per cui, in risposta a una domanda di questionario del 1921, in vista della visita pastorale, l’arciprete Don Giacomo di Fabio, si vede costretto a rispondere con molta amarezza: « Non vi è l’organo, manomesso nel tempo della permanenza dei soldati nella chiesa». Da pochi lacunosi appunti sulla storia recente della chiesa, vergati su alcuni fogli protocollo intorno al 1919, si apprendono anche le riparazioni per i danni provocati dal terremoto del 1915: la Chiesa sarebbe stata «recentemente restaurata per i danni cagionatele dal terremoto del 1915, col concorso per una metà del Governo e per l’atra metà dell’Edificio. Le riparazioni dei danni del terremoto consistettero in rafforzamenti dei muri e riparazioni al tetto». Infine, e probabilmente anche per quest’ultime riparazioni con pesanti rinforzi in cemento, nel sisma del 6 aprile 2009 si facilita il crollo totale, in due riprese, della volta della Chiesa.

er concludere, ci chiediamo: al di là degli schemi ideologici, che dividono, e degli stessi stanziamenti finanziari, che da soli non bastano, quanta forza fede e coscienza civica ci rimane ancora oggi, sull’esempio del passato, per ricostruire, al più presto e nel migliore dei modi, non solo questa chiesa, ma anche le altre, insieme alle circostanti case del centro storico dei quarti, nei quali esse sono un insostituibile simbolo aggregante?

*storico-archeologo