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“Viaggio premio” di un cronista nella terra dei Sunni e Shite
di Lino Manocchia
WASHINGTON, 1 Settembre ’10 – Consentite al cronista, che “lavora” da un cinquantennio negli Usa, quale corrispondente di giornali, periodici e Rai Tv, di chiarire alcuni “passi” apparsi nel “brano letterario” di Bernardo Valli, di Repubblica. Anche Valli ha compiuto ovviamente un “viaggio premio” verso il martoriato Iraq, che da decenni si lecca le ferite che nemmeno il tempo riesce a cancellare. Ecco: Valli giunge nella nazione dei Sunni e Shite che, stando al pensiero del Presidente Barack Obama, forse troverà un po’ di pace, che molti non credono arriverà, sino a quando i centri, le vie della nazione, non verranno abbandonati dai “ribelli”, dai relitti della loro religione la quale li sprona a uccidere… i “peccatori”.
Il primo personaggio che emerge dalla “storia delle storie“ è noto a tutti: l’ex Presidente degli Usa George Bush, convinto e travolto dalla parola fallace del suo braccio destro (“il cervello”) Carl Rove che lo spingeva ad invadere quella Nazione martoriata dal pazzo dittatore Saddam Ussein, reo di omicidi, a mezzo gas, di 150 mila suoi sudditi.
«L’Iraq – diceva Rove, d’accordo col Vice pres. Dick Cheney, ed il guerrafondaio Romsfeld,… – possedeva armi micidiali con le quali avrebbe attaccato e distrutto gli Stati Uniti.” (pensate!…) Inutile nascondere, la mente dei repubblicani era concentrata sui pozzi di petrolio, mentre “qualcuno” stimolava lo spirito battagliero delle vespe mussulmane le quali tramarono anche il tragico attacco dell’11 settembre alle due torri di New York.
Quando l’Esercito americano invase l’Iraq su ordine del Supremo, si ebbe la sensazione di trovarci alle prese con una “operazione” breve che avrebbe avuto lieto fine. Scardinata la statua del dittatore iraqueno Saddam i repubblicani esultarono al punto di offrire Mr. Bush dichiarante dalla torretta di una super portaerei: «Mission Accompliced,» mentre i soldati continuavano a combattere e morire.
Non intendiamo proseguire con la disanima sulla guerra che tre quarti della nazione ha sempre respinto, mentre a migliaia si spargevano vite umane e sangue e le casse della finanza si vuotavano per sovvenzionare tutto e tutti. Ma non possiamo lasciar passare inosservate alcune descrizioni di Valle il quale accusa gli Usa di non aver compiuto la minima operazione favorevole in quel Paese, pur portando un soffio di democrazia, facendo votare, per la prima volta come avviene in America, installato un Governo democratico, ricostruito cittadine, strade, l’aeroporto, anche se quei cittadini non sono ancora capaci di azionare le fonti dell’acqua, o vengono fulminati dalla corrente elettrica per la loro incapacità di somministrarla. Questo per non parlare di preparazione militare.
Alla richiesta di intervento umano da parte degli iracheni nel settore militare, furono promessi 400 mila soldati – “police” che giunsero ma in formato ridotto, mentre il Governo composto dalle due fazioni musulmane (Sunnis-Shite) cominciò a danzare una confusa musica, sfasciandosi e ricostruendosi grazie all’intervento degli Yankee.
Anche le donne ebbero il loro quarto d’ora di notorietà, ed il deplorato velo nero cominciò lentamente a dileguarsi, e le scuole riaprirono le porte. Che altro voleva il Valli, da gettare nel suo calderone letterario che travisa molti punti con ingiustificate inesattezze?
Il viaggio premio comprendeva una “scarica” letteraria. Lo scrittore ha raggiunto lo scopo?
Certo è che l’Iraq non ha bisogno di sfoghi, di saggi scrittori, per ricordarsi che la guerra per la democratizzazione della nazione è conclusa. Se le forze terroristiche di estremisti dinamitardi, tanto
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cari ad Al Queda, riusciranno a guastare il castello con le loro auto-bombe, dovranno essere gli iraqueni a farsi rispettare. Lo ha detto, stamane, il Premier Nuri Al Malik ringraziando gli americani, i quali «hanno concluso la “combat phase” e lasciano il martoriato suolo, fiduciosi in un più sereno futuro.»
Quarantamila soldati, promessi dal Presidente Obama un anno fa, sono tornati a casa e smistati equamente, mentre lo stesso Obama ha dichiarato a suo tempo che le truppe americane lasceranno l’Iraq volenti o nolenti allo scadere del 2012. (Il Presidente lo ha confermato nel suo discorso alla Nazione mentre il settantenne senatore dell’Arizona John Mc Cain, capo dei repubblicani del “NO,” ha criticato… il ”ritiro di truppe”). E’ una decisione Obamiana questa, sollecitata anche dalla crisi finanziaria e dai cittadini che pagano le tasse, e questo si può essere certi avverrà, in tempo stabilito, piaccia o no ai repubblicani, poiché i miliardi di debiti lasciati da Bush e quelli spesi per continuare la sua “ballade” bellica, devono subire uno stop. I 40 mila marines son tornai a casa felici, senza rimpianti e addii, con o senza una vittoria militare, né tanto meno con bande e mortaretti. Ed Obama prosegue nel suo incarico diverso da quello di Bush, il
Presidente che si mostrava soltanto in occasioni favorevoli al suo “curriculum”, seduto nell’Oval Office.
Il pianto della “Medusa” non ha senso. Sono i fatti a reggere le cose a posto, e noi speriamo che Valli torni al giornale preoccupandosi un po’ più del “can can” politico che la nostra Patria danza da anni, al ritmo di oltre 70 Presidenti dal dopo guerra, attraverso un giardino politico fatto di ulivi, rose e margherite che lasciano il tempo che trovano. Farà certamente un grande servigio ai lettori.
LINO MANOCCHIA
New York: Londra: Milano:
Lino Manocchia, Linoman98@aol.com Emiliana Marcuccilli, emilianamarcuccilli@libero.it Alessandra Nigro alessandra.nigro@gmail.com
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