Iraq: si parla degli iracheni , ma non degli americani

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A proposito di quanto ha scritto un anti-americano: Padre Jean-Marie Benjamin

Iraq: si parla degli iracheni , ma non degli americani

di Lino Manocchia

NEW YORK, 15 ottobre ’10 – Boomerang, “arma da getto usata dagli indigeni australiani che ha la proprietà di ritornare al punto di lancio quando non colpisce il bersaglio”, è quanto recita il dizionario della lingua italiana. Un boomerang è, a mio avviso, «Iraq, effetto boomerang (http://lindro.it/blog/node/26),» così l’intervento di un Padre focoso, anti-americano e troppo partigiano: Padre Jean-Marie Benjamin sul sito internet “L’Indro”. Chi scrive vive e lavora in America da decenni ed ha a portata di mano la realtà che è tutta un’altra cosa di quanto il Padre scrive.

Jean-Marie Benjamin, nella sua arringa anti-America usa aggettivi come “ladri”, riferiti all’America, che addossa agli iracheni, allorché i primi scaglioni militari hanno lasciato la  nazione di Abramo. «Si  fa presto a dire America,» titola un suo libro il collega Vittorio Zucconi, e noi siamo d’accordo, perché l’America l’abbiamo scoperta durante i nostri servizi  per giornali,  periodici e tv, a cominciare da RAI.

Perché, è d’obbligo chiedersi, gli Stati Uniti attaccarono  l’Iraq?

Torniamo indietro otto anni ed esaminiamo i fatti che condussero 300 milioni di persone a dare un assenso di massima ad una guerra non sentita, tanto meno, voluta. L’allora Presidente George Bush, alle prime armi con la Presidenza della superpotenza, aveva un  braccio destro poderoso, Karl Rove (foto), definito dal Bush “il mio architetto”, il  quale, in cerca di gloria e potere, imbévve la mente del Presidente per convincerlo a dichiarare guerra a Saddam Hussein, “mostro” dell’Iraq, che un anno prima aveva fatto “gasare, dal cugino Ali, un  milione e150 mila suoi cittadini”.

Il continuo sordo rintocco del paffuto top political advisor, vice-capo dello Staff presidenziale, a lungo anda-

re, convinse il Presidente, il quale iniziò il suo tam-tam alla Nazione, la quale, stufa del macabro ritornello, finì – in parte – per approvarlo, con il bene placido del Vice Presidente Dick Cheney (foto) – Chairman e CEO della Haliburton, la massima compagnia petrolifera americana – ed il placet del tetro Ministro della guerra Donald Romsfeld. Ovviamente il nostro Paese si attendeva di trovare colà, bandiere, fiori e belle fanciulle in attesa dei liberatori, i quali sapevano di dover lottare con una dozzina di fazioni politico-religiose in lotta sin dalle Crociate.

La democrazia non esisteva nemmeno a parole, era quella che  “l’armata più forte del mondo” si aspettava di portare, men-

tre i pozzi di petrolio bruciavano, mettendo a repentaglio il conflitto di interessi  palese di Bush e Cheney. La guerra fece diventare bugiardi tanti politici, a cominciare dal generale Colin Powell, il quale dovette affermare – davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU – (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2003/02_Febbraio/05/powell.shtml), che Saddam possedeva «scorte per armare almeno 16.000 testate con agenti chimici o biologici […] almeno da 100 a 500 tonnellate di armi chimiche,» con le quali avrebbe distrutto gli Stati  Uniti. Il resto della guerra è materia per gli storici, i quali dovranno, nella loro analisi, tenere in considerazione, cosa che non fa Padre Jean-Marie Benjamin, che le donne ora nel Paese votano, e le scuole hanno riaperto i cancelli.

Sciiti, Sunniti e le altre fazioni non hanno mai trovato l’accordo, e nemmeno il mondo intero, armato, riuscirà imporre loro di trovare una linea d’intesa. Le difficoltà che ha trovato il Primo Ministro Nuori al-Maliki, il quale ha dovuto dare una caramella ad uno ed un biscotto ad un altro, delle varie fazioni,

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ABRUZZOpress – N- 393 del 15 ottobre ’10                                                                                                                                Pag 2

sono lì a dimostrarlo. Il futuro si vedrà. E’ certo che ora l’America si deve occupare dei suoi cittadini e delle loro preoccupazioni.

Padre Jean-Marie Benjamin parla dei militari Usa rei di torture, che sono innegabili. Ma dei soldati americani morti, ne vogliamo parlare? Tutte vittime di una guerra non voluta dalla maggioranza degli americani, guerra scatenata dal “più grande errore” che si potesse commettere,  come dice oggi Karl Rove nel suo libro “Coraggio e conseguenze”.

Oggi  Rove, fa il giornalista per “Fox News”, “Newsweek”,  “Wall Street Journal”, recita il mea culpa, e neanche poi tanto, visto che continua a sostenere che «La guerra in Iraq è stata una decisione giusta. Il mancato ritrovo delle armi di distruzione di massa negli arsenali di Saddam è stato però un duro colpo per la credibilità dell’amministrazione americana.» Lo  scorso 15 luglio, sul “Wall Street Journal”, ha scritto “_My Biggest Mistake in the White House_ http://online.wsj.com/article/SB10001424052748704518904575365793062101552.html)”.

«Troppo tardi. Negli ultimi 8 anni, Bush ha rovinato la finanza e l’economia americana, oltre alla credibilità della  Nazione, lasciando l’eredità di un trigliardo e mezzo di debiti, in gran parte  spesi per la guerra; una guerra che non si è fermata in Iraq, Bush l’ha trasferita in Afganistan, e l’ha fatta pagare ai cittadini americani, e non solo. Obama ha stabilito che il ritiro “non è negoziabile” e gli americani pensano abbia ragione, per due motivi: è ora di tornare ad occuparsi dell’America, ed è ora di uscire dalla logica della guerra che costruisce la pace.

L.M.