Italiani all'Estero

Italia “Paisà” e no

Italia “Paisà” e no

di Lino Manocchia

NEW YORK, 10 Novembre ’10 – «Scusi: in Italia ci sono le scuole di Stato?», mi chiese giorni or sono una distinta signora newyorkese all’uscita di una sala cinematografica di Chinatown dopo che centinaia di persone avevano assistito alla proiezione di “Riso amaro” (foto, Silvana Mangano, prota-gonista del film) che si proiettava da qualche settimana.

La domanda, li lì mi lasciò perplesso. Del resto, a me italiano suonava così strana che non riuscivo a misurarne il senso e la portata. Tentennai un po’ sulla scelta d’una acconcia risposta. Rispondere ”si” semplicemente, mi sembrava insulso ed avvilente; rispondere “no” non potevo; allora tentai la via della celia, e scelsi la prima frase americana che trovai a portata di mano, una risposta “dandy”: come  qui in America se ne apprezzano poche: «Certo – dissi – ma non ci vanno soltanto gli stranieri.»

La signora che probabilmente per spirito polemico avrebbe insistito col chiedermi se si usava il treno e la radio e se si conosceva il “boogie-woogie”, si sentì toccata e tacque. Comunque il ragionamento restò in me. E tornando in ufficio pensavo: “è bene che questi films italiani del dopoguerra vengano ancora proiettati in America? E’ bene estendere oltre i confini patrii lo spettacolo d’una Nazione prostrata e prostituita, d’un carnaio incomposto e fermentante nel mosto del malcostume e della corruzione?”

Dovetti convenire che si, in fondo, l’Italia verista di De Sica, Rossellini e compagni gli americani l’avevano già scoperta. La fine della guerra ed il rimpatrio delle truppe stazionanti in Italia  coincise, dopo un preludio preparatorio formato dalla corrispondenza privata di questi soldati e dai reportages dei corrispondenti di guerra, con una vera e propria ondata di diffamazione contro la nostra Patria. l’Italia divenne per antonomasia, il Paese delle prostitute, degli “sciuscia”, dei ladri e dei contrabbandieri.

Il Paese forse più diffamato del Mondo, in America ci si era formato un quadro quanto mai crudele di questa nostra terra così disgraziata. La corruzione in Italia non era un problema del dopoguerra, ma una salda istituzione locale, una specie di tradizionale costume e non per necessità contingenti i fanciulli erano diventati  sciuscià, ma perché in tutta la Nazione da che mondo era mondo non s’era fatto altro. Fu in questo clima che caddero, in America, i primi films veristi sull’Italia del dopoguerra, films che in fondo confermavano una situazione nota ma che la poneva nel suo giusto piano di problema sociale scaturito dal conflitto e dal relativo disordine sociale e morale che lo incorniciavano nella sua  naturale cornice umana. (foto:  Anna Maria Pierangeli e James Deam in “Domani è troppo tardi.”)

Dalla cronaca sapiente (riconosciamolo) del dopoguer-ra italiano, così il cittadino americano ha sintetizzato il vero volto umano della  tragedia italiana del dopoguerra, di una tragedia che, apparsa nuda, attraverso il lumeggiamento dei suoi problemi e del suo contenuto sociale ed umano, ha finito per commuovere tutti e per suscitare quel senso di  fraterna, comprensione, dei due popoli, fiorente e vincitore l’uno, vinto e travolto l’altro.

Fu a questo punto che mi sorse un dubbio circa l’estemporaneità o meno di queste proiezioni

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ABRUZZOpress – N. 423 del 10 novembre ’10                                                                                                                          Pag 2

ormai superate dagli avvenimenti e dalla realtà di vita.

L’Italia di ”Paisà” è entrata a far parte della crudele tragica storia del nostro passato. Allora mi son chiesto: perché insistere in una situazione che va a diventare uno slogan ormai dannoso e tende a fossilizzare una situazione ormai sbiadita e divalicata dal tempo?

Messe così, le cose, mostrano esattamente  un’altra faccia, ed una faccia completamente diversa.

Naturalmente, a questo punto si sono superati i limiti diciamo così idealistici della produzio-ne  cinematografica e restano, unici, gli interessi dei vari produttori.

Ora è naturale che questi interessi vengano difesi e sorretti anche per una maggiore affermazione della cinematografia “pura” italiana. Pur cessando i motivi psicologici  che ressero giustificata e valida la produzione cinematografica del dopoguerra, restano sempre gli interessi puri e semplici del cinema italiano, ed anche per essi  è giusto combattere una onesta battaglia.

Naturalmente, sino a quando i vari fotogrammi di una Italia Paisà continueranno  a fare il giro di affollate sale di Hollywood, New York, Filadelfia, Pittsburg ed altri centri minori, nessuno potrà impedirci qualche pizzicatina, nessuno, ad esempio, potrà evitarsi la scocciatura di rispondere a qualche signora molto “dandy” e malata di spiritosaggine. Ma resta la consolazione che il nostro film è riuscito  a darci una storia d’Italia per fotogrammi, e che solo il nostro film  c‘è riuscito e che in ultimo questa storia d’Italia parte dall’Italia Paisà ma giunge  all’Italia di “Domani è troppo tardi”.

La qual cosa è una prova di rapido progresso e di serena ascesa sociale.

L. M.

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