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Italia. Prima il giallo, poi le spiegazioni e le critiche alla «chiesa moderna» Don Massimo, sacerdote vicentino, ha lasciato la sua comunità.

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Prima il giallo, poi le spiegazioni e le critiche alla «chiesa moderna»

Don Massimo, sacerdote vicentino, ha lasciato la sua comunità.

VICENZA, 20 gennaio ’11 – Una decisione sofferta, preceduta da una fila di pensieri tormentati, messi ancor più alle strette dal silenzio di un Comune periferico come Pedemonte. Lì, nell’isolamento della Valle dell’Astico, don Massimo Sbicego, sacerdote di 38 anni, nato a Montecchio Maggiore ed arrivato a guidare la comunità religiosa locale nel settembre 2009, ha maturato, nei mesi scorsi, la sua scelta: passare alla Fraternità tradizionalista San Pio X, fondata da monsignor Marcel Lefebvre (grande avversario del Concilio Vaticano II, paladino della Messa tridentina e nemico dell’ecumeni-smo, scomunicato nel 1988 per aver ordinato quattro vescovi). Benedetto XVI in un certo modo ha legittimato l’operato della Fraternità, sollevando le scomuniche ai vescovi consacrati dal fondatore. Così don Massimo a fine anno ha lasciato il paese, una partenza improvvisa che ha scatenato la curiosità dei cittadini e pure qualche fantasia romantica.

Ma ora, a svelare il mistero sono proprio due lettere, due scritte don Ludovico Furian, vicario generale della Diocesi, ed una indirizzata ai suoi fedeli: materiale che proprio ieri è stato consegnato alla comunità locale, a partire dallo stesso sindaco Roberto Carotta. Missive pregne di riflessioni, dove emerge anche una critica diretta alla chiesa moderna: «Per me oggi è incredibile ed insopportabile che la Santa Messa venga sottoposta al vaglio di chi la giudica “noiosa” – scrive don Massimo ai vertici della Diocesi vicentina -, che si senta l’esigenza di “riflettere su come valorizzarne i segni” in modo creativo, con chi della vita e del sacrificio di Nostro Signore ha capito poco o nulla. D’altra parte, mi rendo conto che questo problema è legato alla natura conviviale della messa in italiano: la cena se non è coinvolgente, viva, emozionante, è invito sgradito. Il rischio? Costruire una celebrazione ed una Chiesa adolescenziali, mirate a “coinvolgere” più che a «santificare». Critiche che si espandono anche al modo di fare catechesi e al rischio di «assumere inconsapevolmente la mentalità del mondo contemporaneo con il suo egoismo, l’assenza dello spirito di sacrificio, della mortificazione, la negazione o l’ignoranza del soprannaturale, il relativismo religioso ed etico ».

«Il punto dolens è che i nostri percorsi di catechismo favoriscono tutto ciò – scrive don Massimo -, laddove la dottrina cattolica è dimenticata, non insegnata, a volte persino ridicolizzata a favore di “dimensioni umane” che non giungono mai al dunque: maturare una scelta consapevole e incondizionata di fede e di vita cattolica”. Una lotta personale contro la “tiepidezza” della Chiesa odierna, raccontata per iscritto anche ai fedeli ieri, che don Massimo spiega di «aver protetto, proprio con la sua partenza senza clamori ». «La mia è una scelta di coscienza, una ricerca di verità, che è Nostro Signore – è la rassicurazione di don Massimo -. Nella Fraternità ho trovato il senso profondo del sacerdozio cattolico tanto che potrei osar dire: «ai più sembrerà che io lasci la Diocesi, in realtà, come cattolico, sto tornando a casa.»

Silvia Maria Dubois

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