A PROPOSITO DELLA POLITICA COLONIALE DEL FASCISMO – PRIMA PARTE
Capra… caprissima… Sgarbi… sgarbissimo
di Filippo Giannini
Alcuni giorni fa Vittorio Sgarbi in una delle infinite trasmissioni televisive (e noi paghia-mo), in merito alla crisi libica, affermò che quanto stava accadendo in Libia era dovuto all’occupazione fascista della nostra ex colonia. Ė superfluo ricordare come andò a finire quel programma: con la solita isterica esternazione di Vittorio Sgarbi. Questi passa per essere uno dei più accreditati intellettuali contemporanei. Qualche lettore esclamerà: «Immagino gli altri!»
Gli appetiti coloniali dei Governi pre-fascisti si verificarono molto prima dell’avvento del male asoluto; ma iniziamo con l’estensione del protettorato sulla costa dei Somali. 1890, i possedimenti italiani sulla costa africana del mar Rosso vengono raggruppati in un’unica colonia che prende il nome di Eritrea. 1895, guerra all’Etiopia. 1896, il Governo Crispi fu il responsabile, per beghe di partito fra liberali e l’opposizione socialista, del mancato invio dei rinforzi alla spedizione italiana comandata dal generale Baratieri che, proprio per le inadeguate forze a sua disposizione, subì una disastrosa sconfitta ad opera del Negus Menelik ad Adua. Erano eventi che avevano marcato in profondità la coscienza di almeno un paio di generazioni di italiani. L’umiliazione di quella sconfitta era sentita, come sostengono alcuni commentatori: «al di là di quanto imposto dalla sua entità sia sul piano militare che politico». Ma gli appetiti coloniali dei Governi pre-fascisti si svilupparono anche verso il Nord Africa. Fu infatti il Governo Giolitti a volere l’impresa di Libia che persino Benedetto Croce, nella sua Storia d’Italia, scritta polemicamente durante il fascismo, la esaltò come iniziativa di sensibilità politica. E ancora: 1908, tutti i possedimenti italiani sull’Oceano Indiano vennero conglomerati sotto l’unico nome di Colonia della Somalia Italiana. 1911, ultimatum alla Turchia e inizio della guerra italo-turca. Occupazione di Tripoli. La guerra venne estesa dalla flotta, oltre che in Tripolitania, anche nel Mar Egeo e nel Mar Rosso. Occupazione delle isole di Stampalia, di Rodi e di tutto il Dodecaneso. 1912, la Camera approvò con 431 voti su 470 e al Senato all’unanimità la sovranità italiana sulla Libia. Pace di Losanna tra Italia e Turchia. Istituzione del Ministero delle Colonie. Né va dimenticato che la riappacificazione della Libia, avvenuta nel primo dopoguerra, fu condotta, con mano di ferro, dal liberal-democratico Giovanni Amendola, allora Ministro delle Colonie. Il ribellismo libico fu uno dei problemi che i governi pre-fascisti lasciarono al Governo Mussolini. Nessuno può negare che, oltre Giovanni Amendola, per pacificare la Libia fu usata la mano di ferro; ma questa fu utilizzata da – o per ordine di – Pietro Badoglio, Governatore della Libia.
Credo che nessuno Sgarbi può contestare quanto sin qui scritto.
Ed ora vediamo i danni provocati dal Male assoluto su quella scatola di sabbia, così chiamata prima dell’intervento del mai sufficientemente deprecabile Ventennio. Voglio anticipare, ma solo di sfuggita, che chi scrive queste note ha svolto anche in Libia la propria attività professionale; ebbene posso affermare che almeno sino ai primi anni ’60 Tripoli (e certamente anche le altre città libiche) poterono godere di uno sviluppo sino ad allora impensabile. E che Sgarbi mi smentisca.
Nel marzo 1937 Mussolini sbarcò in Libia ed inaugurò la Via Balbia, la nuova, maestosa opera stradale che partiva dal confine tunisino per giungere a quello egiziano. Un’opera di circa 1850 chilometri. Durante la sua permanenza nella colonia italiana egli riaffermò la sua politica filomusulmana. Al culmine delle manifestazioni gli sceicchi libici consegnarono al Duce la Spada dell’Islam, una spada d’oro massiccio, con l’elsa tempestata di pietre preziose, un gesto di grande valore in quanto simbolo della tradizione islamica. Quindi il Duce sguaina la spada, appena ricevuta e la punta verso il sole, e con voce roboante declama: «L’Italia fascista intende assicurare alle popolazioni musulmane la pace, la giustizia, il benessere, il rispetto delle leggi del Profeta, vuole dimostrare al mondo la sua simpatia per l’Islam e per i musulmani». Quindi sale sul suo cavallo e seguito da duemilaseicento cavalieri arabi si lancia al galoppo nel deserto. Tutto ciò a significare il
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ABRUZZOpress – N. 100 del 26 Marzo ’11 Pag 2
fattore della collaborazione amichevole tra l’idea imperiale romana-italiana e l’Islam.
Negli anni 1938-1939, in due riprese, sbarcarono in terra d’Africa 20 mila coloni veneti scelti fra i non proprietari di terra e trasportati nei nuovi villaggi, dove sino ad allora esisteva solo sabbia del deserto. Ad essi vennero assegnate case coloniche con appezzamento di terreno; ogni casa era fornita da pozzi artesiani con quanto necessario per il pompaggio di acqua potabile. Ogni giorno automezzi dell’Ente Nazionale della Libia rifornivano le famiglie di quanto necessario per vivere, nonché di attrezzi e sementi per rendere quelle terre verdi di piante. La stessa assistenza venne fornita anche ai libici, i cui possedimenti furono inseriti fra quelli dei coloni italiani affinché apprendessero le tecniche più moderne per il migliore sfruttamento del suolo.
A Tripoli e a Bengasi vi erano due ospedali civili (cosa mai vista sino ad allora), di moderna concezione, dove potevano accedere (al contrario di quanto accadeva al di fuori delle nostre colonie) anche i cittadini autoctoni. Le stazioni dei carabinieri erano composte anche da militari indigeni perché, come vedremo più avanti, considerati Italiani della Quarta Sponda. I rapporti dei coloni con le popolazioni indigene erano correttissimi e la criminalità inesistente.
F.G.
(Continua)
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Ap – L’altra Storia
A PROPOSITO DELLA POLITICA COLONIAKE DEL FASCISMO – SECONDA PARTE
Capra… caprissima… Sgarbi… sgarbissimo
di Filippo Giannini
Nel 1938 andarono in Libia 20 mila nostri agricoltori e trovarono pronti 26 villaggi agricoli: Olivetti, Bianchi, Giordani, Micca, Tazzoli, Breviglieri, Marconi, Garabulli, Crispi, Corradini, Garibaldi, Littoriano, Castel Benito, Filzi, Baracca, Maddalena, Aro, Oberdan, D’Annunzio, Razza, Mameli, Battisti, Berta, Luigi di Savoia, Gioda.
Altri dieci villaggi libici nei quali berberi e indigeni imparavano dai nostri agricoltori a far fruttare la terra: El Fager (Alba), Nahina (Deliziosa), Azizia (Profumata), Nahiba (Risorta), Mansura (Vittoriosa), Chadra (Verde), Zahara (Fiorita), Gedina (Nuova), Mamhura (Fiorente), El Beida (la Bianca) già Beda Littoria. Tutti questi villaggi avevano la loro moschea, la scuola, centro sociale (con ginnasio e cinema) ed un piccolo ospedale, rappresentando, ripeto, una novità assoluta per il mondo arabo del Nord Africa.
E riprendiamo e proponiamo uno stralcio del nostro precedente articolo: un’altra iniziativa del male assoluto, accuratamente taciuta dai vermetti-furbetti, iniziativa unica del genere per i Paesi colonizzatori, fu il provvedimento con il quale grazie al R.D. Legge 3 dicembre 1934 XIII, N° 2012 e del R.D. 8 aprile 1937 XV N° 431, dove nell’articolo 4 è riconosciuta «una cittadinanza italiana speciale per i nativi musulmani delle quattro province libiche che fanno parte integrante del Regno d’Italia«. Per essere più chiari, l’infame Regime riconosceva i cittadini libici come cittadini italiani; chiamati, allora, italiani della quarta sponda. Questa legge fu il motivo per il quale Muammar Gheddafi, essendo nato nel 1942, nacque come cittadino italiano della Quarta sponda.
Spaziando ancora con qualche esempio, possiamo ricordare quanto scrisse il capo senussita Mohammed Redà: «Questo governo (italiano, ndr) è stato mandato da Dio altissimo per la rinascita di questo paese, per la sua felicità e per la felicità dei suoi figli».
E ancora. Un autorevole insegnante libico, il prof. Mohammed ben Messuad Fusceka, in un suo libro, con il titolo La storia della Libia, edito nel 1956, fra l’altro ha scritto: «Il governo fascista, presieduto dal suo Capo Benito Mussolini, aveva intanto preso i poteri. I suoi uomini provvidero a far prosperare la Libia. Onde mettere in esecuzione le direttive del governo, gli italiani nominarono nel 1934 il Maresciallo Italo Balbo Governatore generale della Libia. In tale periodo la Libia raggiunse il più alto tenore di vita della sua storia».
Tutto questo, è ovvio, è una politica che Londra non gradisce e fu una delle cause per le quali i Paesi plutocratici ci spinsero alla guerra. I colonizzati dai francesi e dagli inglesi cominciavano a guardare con troppo interesse a quanto il Governo italiano stava facendo nelle colonie a loro vicine. Il 17 marzo il Duce a Tripoli fece un discorso misuratissimo ed è ricordato da Paul Gentizon (In difesa dell’Italia, pag. 70): «In realtà il discorso di Tripoli è una nuova manifestazione della volontà di pace dell’Italia: «Il viaggio in Libia,» dichiara Mussolini, «non ha scopi segreti né intenzioni aggressive contro chicchessia; nel Mediterraneo e al di fuori di tale mare noi desideriamo vivere in pace con tutti e offriamo la nostra collaborazione a tutti coloro che manifestano uguale volontà».
Per concludere: il mio punto di vista ritengo che, data la paraculatina di Sarkozy e compari, Berlusconi non poteva sottrarsi all’intervento anche se, almeno sino ad ora, simbolico. Ora se fosse un buon politico potrebbe avvalersi della sua amicizia (chiamiamola così) sia con Gheddafi e con Putin, e giocare un ruolo molto importante, cioè ergersi a paladino della pace e riparare, almeno parzialmente ai danni causati dalla Nato.
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ABRUZZOpress – N. 101 del 25 marzo ’11 Pag 2
Certo Berlusconi non è un Benito Mussolini, ma perlomeno può provare a riportare la pace in un territorio che a noi è stato storicamente tanto caro. Per lui sarebbe un grande successo politico.
Vorrei, però, prima di chiudere, osservare che di guerra contro la Libia si doveva parlare quando ne avevamo tutte le ragioni, cioè negli anni Settanta quando il Beduino cacciò gli italiani dalla Libia, requisendo tutti i beni dei colonizzatori italiani. Allora la guerra sarebbe stata sacrosanta. Se è vero che dopo la cacciata degli italiani le terre coltivate sono state invase di nuovo dalle sabbie del deserto e le officine chiuse per incapacità di gestire quei beni, è una magra consolazione.
E per chiudere, voglio questa volta, spezzare una lancia a favore del bunga-bunga. A causa della furbatina anglo-franco-americana Berlusconi non poteva non allinearsi alla decisione dei gangsters-furbetti. Il gioco di questi è piuttosto palese (altro che intervenire a difesa dei poveri civili!), la Libia è ricca di petrolio e aveva dei rapporti commerciali molto stretti con l’Italia. Semplice: i gangsters-furbetti, con la scusa di salvaguardare i poveri civili sono intervenuti per abbattere il beduino, così da rivedere tutti i contratti e i beni della Libia. Se Berlusconi non fosse intervenuto e Gheddafi fosse stato cacciato, come era nelle previsioni data la differenza di potenzialità della coalizione, i gangsters-furbetti avrebbero pappato tutto quello che c’era da rubare. Berlusconi intervenendo ha posto perlomeno un’ipoteca di discussione al futuro tavolo della pace (chiamiamolo così).
Termino con un’esclamazione di Benito Mussolini: «Vedo il mondo come realmente esso è, cioè un mondo di scatenati egoismi (…). Se tutta la politica estera fosse portata su un terreno di squisito e puro idealismo, non sarebbe certamente l’Italia che si rifiuterebbe di entrare su questo terreno (…).»
Povero Mussolini, povero idealista! Il mondo, purtroppo è così: non sei riuscito a cambiarlo tu, chi mai potrebbe più cambiarlo?
Circa Sgarbi,,, beh lasciamo perdere.
F.G.
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Filippo Giannini è nato a Roma nel 1931. Architetto, ha lavorato oltre che in Italia, in Libia e in Australia. È collaboratore di numerosi quotidiani e periodici.
Ha pubblicato una serie di opere dedicate a “Benito Mussolini. L’uomo della pace”, composta da: Da Versailles al 10 giugno 1940 (con Guido Mussolini), Greco & Greco, Milano 1997; Dalla Marcia su Roma all’assalto al Latifondo (con Guido Mussolini), Greco & Greco, Milano 1999; Il Sangue e l’Oro (con Guido Mussolini), Settimo Sigillo, Roma 2002; Dal 25 luglio 1943 a Piazzale Loreto, Settimo Sigillo, Roma 2004; Lo scudo Protettore, Nuove Idee, Roma 2006; Gli Ebrei nel Ventennio Fascista, Pagine, Roma 2008.
Per la Casa editrice Solfanelli la pubblicato recentemente il libro “Benito Mussolini nell’Italia dei Miracoli”.
New York: Londra: Milano:
Lino Manocchia, Linoman98@aol.com Emiliana Marcuccilli, emilianamarcuccilli@libero.it Alessandra Nigro alessandra.nigro@gmail.com
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