Consorziamo? I dubbi di un terremotato del centro storico dell’Aquila
di Giuseppe Alesii *
L’AQUILA – “Consorziamo ?” chiede ammiccante l’avvenente signorina in sottoveste nella pubblicità di una nota marca di tonno in scatola. Si parva licet …, in questi giorni molti proprietari di immobili nel centro storico dell’Aquila raggruppati in aggregati, ovvero unità di minimo intervento per la ricostruzione, si trovano di fronte alla richiesta di aderire ai consorzi obbligatori. Questi istituti, di diritto privato, sono una forma di organizzazione dei proprietari in vista di un intervento unitario sui loro immobili considerati come un’unica struttura che non può essere restaurata separatamente per singolo edificio. Pur avendo chiesto lumi per vie ufficiali, non ho ancora, al momento della stesura della presente, rinvenuto alcun chiarimento su quelli che mi sembrano dei punti critici di questo strumento giuridico.
Il primo punto è l’effettiva responsabilità limitata dei consorziati rispetto ai costi della
ricostruzione. In sintesi, lo scopo del consorzio è di “svolgere in forma unitaria le attività necessarie ad assicurare la realizzazione degli interventi … ammessi a contributo”. Sembrerebbe,
quindi, di primo acchito, che gli interventi sono solo quelli ammessi a contributo. Tuttavia, si richiede al consorziato di versare una quota al fondo consortile, parametrata ai metri quadri di
superficie lorda posseduta. Tale fondo consortile è “vincolato alle finalità connesse agli interventi
sugli immobili ammessi a contributo”.
Non è chiaro, quindi, quale sia il ruolo del fondo consortile. Non è escluso dalle proposizioni normative del decreto che tale fondo possa essere usato per supplire alle carenze del “contributo” – questa è l’espressione usata nel decreto – per la ricostruzione. In questo modo, i conferimenti al fondo consortile diverrebbero il canale attraverso il quale il peculio personale degli aquilani più depauperati dal sisma viene escusso per contribuire alla ricostruzione. In questa prospettiva, quando nell’ambito di un consorzio si avessero notevoli disparità di censo tra i consorziati, sarebbe molto facile da parte dei più facoltosi mettere in difficoltà i meno abbienti, obbligandoli a conferimenti al fondo consortile sempre più onerosi, che li portino, anche per mezzo di esecuzioni immobiliari, a rinunciare al proprio immobile in tutto o in parte.
Anche volendo riconoscere al fondo consortile un ruolo di semplice fondo-cassa per le spese di
gestione delle procedure organizzative del consorzio, si creerebbero delle notevoli disparità di trattamento tra le varie modalità con le quali è amministrato il contributo per la ricostruzione. Ad
esempio, per esperienza personale, un amministratore di condominio non chiede quote condominiali per svolgere le pratiche per l’accesso al contributo alla ricostruzione, essendo le spese che affronta già ricomprese nel compenso che riceverà una volta terminati i lavori.
Un secondo punto critico è la figura del presidente del consorzio. In primo luogo, sarebbe
opportuno che venissero chiariti quali sono i requisiti di professionalità ed esperienza pregressa
richiesti per poter ricoprire la carica in questione. Quest’ordine di considerazioni si lega anche al
fatto che se il presidente non è in grado di tenere la contabilità del consorzio non debba poter addebitare ai consorziati, attraverso i conferimenti al fondo consortile, gli onorari di professionisti
chiamati alla stesura della rendicontazione. In conclusione, si dovrebbe evitare che la carica di presidente del consorzio divenga un sine cura retribuito al netto delle spese di organizzazione a
carico dei consorziati che premia più le capacità inter-relazionali che le professionalità di chi lo ricopre. In secondo luogo, sarebbe opportuno chiarire in quale modo il presidente del consorzio
matura il diritto a ricevere il compenso. Infatti, l’opera di ricostruzione sarà lunga, sicuramente
superiore ai 6 anni previsti come periodo massimo per ricoprire la carica.
Si pone quindi il problema di come parametrare il compenso in caso di una decadenza anticipata rispetto al completamento dell’opera. In terzo luogo, sarebbero opportuni dei chiarimenti in tema di incompatibilità rispetto ad altri ruoli nell’ambito della ricostruzione. Ad esempio, sarebbero da
escludere dalla carica in parola, soggetti che avessero rapporti di parentela con l’impresa o lo studio
di progettazione. Seguendo lo stesso ragionamento, anche le figure dei revisori dei conti dovrebbero essere scelte tra professionisti terzi, anche rispetto alle stesse proprietà aggregate.
Un terzo ed ultimo punto critico è relativo all’autonomia di porzioni di aggregato ovvero
partizioni subalterne di aggregato. Malgrado il Comune abbia accettato alcune partizioni di
grandi aggregati, coincidenti con l’isolato stesso, e le stesse ordinanze riconoscano la possibilità di
suddividere un aggregato in più partizioni subalterne, nulla è previsto nello schema di statuto riguardo l’articolazione di un consorzio rispetto a tali fattispecie. Il governo di un aggregato/consorzio, suddiviso in partizioni subalterne e/o in porzioni di aggregato è molto diverso
da quanto previsto dallo schema tipo di statuto allegato al decreto e dovrebbe tendere a dare flessibilità alla gestione delle singole partizioni, in risposta a una varietà di fattispecie architettoniche e strutturali, che non sarebbero trattate adeguatamente in un aggregato consorzio
unitario.
Di fronte a questo elenco non esaustivo di criticità nell’istituto del consorzio, la metafora del terremotato-tonno appare sempre più appropriata. Come il tonno è portato nella tonnara fino alla
camera della morte, così il terremotato viene portato alla completa rovina da successivi e onerosi
conferimenti al fondo consortile, per pagare non solo pesanti spese di gestione del consorzio necessarie a supplire alle incompetenze di un improvvisato presidente, ma anche i costi di ricostruzione che non sono coperti dal contributo statale. “Consorziamo ?” Che la mattanza abbia inizio…
*Giuseppe Alesii è Professore associato di Finanza Aziendale presso il Dipartimento di Matematica dell’Università degli Studi dell’Aquila. Le opinioni espresse in questo articolo sono affatto personali e non rispecchiano assolutamente posizioni ufficiali di Univaq sui temi della ricostruzione.