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Ap – Libri
Declino e decadenza della recensione
di Carlo Bordoni
La recensione, quella seria, che determina il successo di un libro o il suo definitivo oblio, ha sempre avuto da noi una solida tradizione, potendo contare su firme prestigiose e un seguito attentissimo. Poi la crisi: più della recensione come “rito di passaggio” che crisi del libro, se è vero che l’indice di lettura pubblicato lo scorso anno dall’AIE (Associazione Italiana Editori) è aumentato dell’1,1%. Niente male per un Paese come il nostro, che sconta il più basso rapporto tra lettori e popolazione di tutta l’Europa.
Ma la recensione, a quanto sembra, ha perso il suo appeal. Specialmente ora che i libri hanno vita sempre più breve e resistono poche settimane sui banchi della libreria (quando ci arrivano) per essere subito sostituiti dai nuovi titoli che incalzano, la recensione si dimostra tardiva. Spesso inutile. Persino ridondante, quando è preceduta con irraggiungibile tempismo dall’anticipazione televisiva e dalle asciutte e rapidissime note on line.
Ma non solo. A determinarne la fine ingloriosa è stato anche l’italico vezzo del giudizio ammaestrato. Complici gli uffici stampa delle grandi case editrici, dove lavorano ottimi professionisti in grado di produrre testi critici di qualità, belli e pronti, sui quali operare col classico “copia e incolla”, la recensione ha finito per diventare terreno riservato ai soliti noti, in cui prevale – per ovvie ragioni di opportunità e di tornaconto editoriale – più il lato promozionale che quello critico.
Levigate “critiques de beauté”, consumate all’interno di un giro di conoscenze, con manierate figure di minuetto e inchini ossequiosi, di fronte ai quali il lettore resta basito. Con le dovute (meritorie) eccezioni. Tra queste Giuseppe Pacchiano, da anni firmatario della rubrica Narritalia sul Domenicale del “Sole-24 Ore”. Pacchiano non si accontenta delle novità pubblicizzate da grandi case, ma accoglie amorosamente anche i piccoli editori, guardando più alla qualità dei testi che al blasone editoriale. Riccardo Chiaberge, già patron dello stesso Domenicale, ha invece trasferito su Saturno, l’inserto del venerdì del “Fatto Quotidiano”, la sua carica pungente e dissacratoria, mentre Carla Benedetti, con la sua rubrica sul romanzo che esce su “L’Espresso”, si è assicurata fama di inflessibile fustigatrice di malvezzi letterari. Ma la verità è un’altra: non ci sono più le belle stroncature di una volta.
E in tempi di declino dell’impero e di perdita dei valori, le pratiche nobili si mortificano. Vendute e comprate sfacciatamente in cambio di vile moneta. Come nel caso emblematico della Fondazione Mario Luzi, gestita da Evento/Festival e organizzatrice di un Premio Internazionale di Poesia. Sotto il nome del grande poeta toscano offre recensioni a pagamento (con tanto di listino prezzi e garanzia di qualità, da 49 a 299 euro, a seconda della lunghezza dei testi esaminati), da utilizzare “per la promozione e presentazione delle proprie opere, nonché per tutte le citazioni pubbliche relative alla propria attività letteraria”. L’offerta è avvalorata dall’adesione dell’Accademia della Crusca, della Società Dante Alighieri, dell’Accademia dei Lincei e persino dell’alto patrocinio del Presidente della Repubblica. Ne hanno parlato Roberto Barbolini su “La Nazione” e Loredana Lipperini su “Repubblica”, ma sembra che la cosa abbia fatto meno scalpore dell’ultima denuncia del Cabibbo. Segno dei tempi o dimostrazione ineludibile che le recensioni non le legge più nessuno.