Il viaggio di Tonia Orlando
Ap – Effemeridi
Il viaggio
di Tonia Orlando
Da piccola, nei miei giochi immaginifici, ero solita dare una configurazione a tutto quanto accadeva; non dovevo andare lontano perché tutto era vicino, a portata di mano. Ero abituata ad ascoltare e leggere storie che mi permettevano di viaggiare e ricercare, nella sua gratuità, il bello in tutte le sue forme. I bambini, si sa, vivono nel sogno e come tanti bambini, anche io, ad occhi aperti, vivevo i miei sogni. Tutto era desiderabile ed acquistava una connotazione di perfezione e di idealità. Bastava anche la copertina di un libro nuovo profumato di stampa calda o alcune frasi percepite con la sola coda dell’occhio, per attivare “meta romanzi” che in una rapida sintesi mi avrebbero permesso di costruire storie fantastiche. Insomma… viaggiavo e viaggiare mette allegria; preparavo la mia valigia e partivo verso traguardi lontani, piena di aspettative, desiderosa di cambiamenti.
E’ inimmaginabile il piacere che sentivo e in quella esperienza ci mettevo tutto. In genere c’era sempre un treno che partiva, c’erano biglietti vidimati all’ultimo momento, c’erano stazioni affollate dove arrivavo di corsa, con un cappellino che volava e poi il fascino di uno scompartimento dove si incontravano le persone più strane, molto belle o molto brutte, avvolte nel loro mistero, che avrei cercato di individuare con uno sguardo fugace che avrei nascosto, anche in questo caso, dietro le pagine del libro del momento, o solo guardando fuori dal finestrino del treno in corsa, per veder scorrere paesaggi verdi, innevati o velati da malinconiche nebbie.
Dai miei viaggi, siano stati essi reali o semplicemente pensati o immaginati, tornavo cresciuta, evoluta, grande. Avvicinavo realtà nuove e la freschezza dell’età mi faceva gioire di tutto, mi faceva sentire esperta, capace di affrontare quel grande mondo del quale stavo conoscendo un piccolissimo frammento, che però ne costituiva la forma. La curiosità era tanta; quanta gente incontravo in quei brevi, lunghi viaggi. Era un laboratorio di vita e di esperienze al quale, più tardi, mi sarei abituata e forse, chissà … in futuro, a fatica avrei sopportato. Quando alla sera la corsa sarebbe finita e con il naso pieno di fuliggine sarei sprofondata in un sonno ristoratore, avrei rivisto scorrere nella mente i volti di quanti avevo incontrato.
E se è vero che la memoria è quello che scegliamo di ricordare, anche l’avvento di un nuovo anno rappresentava la malinconica attesa di qualcuno che si era messo in viaggio; c’era un anno che partiva ed un altro che arrivava. Un nuovo anno con le sembianze di un giovane forte e borioso su un grande carro, con un seguito di gente festante; l’anno vecchio, al contrario, solo e malconcio, che abbandonava la scena per affrontare l’ultimo percorso, portandosi dietro un tempo ormai logoro, andato. Confesso di avere sempre simpatizzato per il vecchio anno povero e solo ma… si sa, il tempo si conclude ed è giusto che lasci il suo spazio. E allora non ci resta che incamminarci festanti con l’anno giovane, appena giunto e ripartire decisi per un nuovo, fantastico viaggio.
Auguro un felice 2013 a tutti i lettori di AbruzzoPress.