USA. La Letterina alla Befana, la pace dopo la tempesta di Lino Manocchia

Riceviamo e pubblichiamo l’articolo del collega italoamericano Lino Manocchia, articolo già comparso sulla testata giornalista www.giulianovailbelvedere.it

Lino Manocchia

La Letterina alla Befana

La pace dopo la tempesta
di Lino Manocchia


NEW YORK, 1.1.2013Vorrei che quest’anno la Befana potesse avere lo stesso spirito, la stessa poesia dei miei anni più cari, poterle scrivere la letterina piena di pretese, andarmi ad infilare fra le coltri con l’inutile intenzione di dormire.

Vorrei essere capace di appendere alla cappa del camino una lunga calzetta (la più grande che si trovi nella casa) metterle il caffè in serbo, lasciarle il ‘ciocco’ acceso, vorrei infine addormentarmi solo quando il sonno mi avvolge insensibilmente come morbide spire di velluto e destarmi d’un tratto, come una reminiscenza, e combattere meravigliosamente fra l’impulso di correre in cucina, a piedi nudi e in camicia, e il timore di buscarmi un rimprovero dal babbo previdente che teme un forte raffreddore.

Tutto questo, vorrei, ma non lo posso più.

Perchè tutto è passato.

Passato il tempo in cui il cuore era poesia, passato il tempo di narrarsi delle fiabe.

Non c’è più la ”Infermiera di Tata”, non c’è più lo “Scrivano fiorentino” o “Cenerentola”, e non c’è più nemmeno la Befana. Anzi c’è, ma è malata.

Quel saggio tremendo positivismo, quel calcolo empirico, quella fredda lambiccatura cerebrale che possiede l’umanità di oggi, hanno inquinato perfino la Befana. Ed essa oggi, c’è ma è malata.

Malata di stanchezza, come ogni cosa di ieri.

Stanca è la Befana. Stanca di viaggiare per le stelle, stanca di entrare pei camini, stanca di tutto: dalle calze di lana casereccia, dalle lunghe e pietose letterine, stanca di correre pel mondo, oggi che il mondo non la crede.

Ha imparato ad entrare tra i tronconi delle case, per le porte e le finestre senza vetri. Ha imparato a non trovare il ”ciocco”, la Befana, e a non bere il caffè e poi ha imparato a contare. Tutte le case ha dovuto ricontare. E quante ne mancavano, tante che le è rimasto il sacco pieno di balocchi.

E forse li avrà portati al cimitero sulle tombe di fresco.

Povera tradita Befanuccia, quante ne hai sentite in poco tempo! Ti hanno chiamato la “Befana di Guerra”, ”la Befana Fascista”. Hai imparato ad avere tanti nomi. Nomi che tu non amavi e che ti stavano male.

Oggi però non ti devi adirare,”Befanuccia piccina piccina” che vai sopra una scopa per l’azzurro. Oggi pero’ non devi sorridere se ti chiamano la “Befana di Pace”, Befana di pace su questo mondo martoriato. Befana che segui una stella di pace che ti porta verso una capanna dove è nata la pace fra gli uomini. Befana che spargi la pace col sorriso d’un dono, non ti devi adirare.

Donacela! Donaci, Befana, quella pace per la quale tu vivi e per la quale viviamo.

Al bambino che ti chiede il suo trenino, a suo padre che ti chiede solo il pane quotidiano, anche al Sindaco che chiede delle case per il suo Paese, tu magari Befana non dar nulla o da di meno, ma da loro la Pace.

E forse con la pace gli uomini ritroveranno se stessi: l’”Infermiera di Tata”, per esempio, ed il “Piccolo scrivano fiorentino”.

Come una volta.

Una volta tanto bella.