USA. Suicidi e mali oscuri di Hollywood di Lino Manocchia

Pubblichiamo l’articolo del collega italoamericano Lino Manocchia

Suicidi e mali oscuri di Hollywood

già pubblicato su giulianovailbelvedere.it


Quando, come e perchè i “divi” e le “stelle” decidono di procurarsi un biglietto per l’aldilà. L’amore è il movente primo: ma di che amore si tratta?
di Lino Manocchia

Susan Hayward e Lino Manocchia

HOLLYWOOD,16.1.2013 In nessun altro angolo del mondo si parla tanto dell’amore, come ad Hollywood, eppure l’amore è un elemento che non entra, in alcun modo, nella formula magica della capitale del cinema, anzi qualcosa che è nell’aria, nell’ambiente, nella mentalità di Hollywood, una specie di anticorpo avvelena questo particolare aspetto dei rapporti umani. E Hollywood, la verde collina californiana dove l’esaurimento nervoso è di casa e sta ai suoi preziosi abitanti come i calli stanno alle mani degli operai, e dove, isolati nelle loro elegantissime ville, i divi sono così sazi di tutto che spesso si scoprono stanchi di vivere, offre a piene mani tristi storie come quelle che riassumiamo per sommi capi. Soggetti vari di un tempo passato, ma non per questo, diversi da quelli “odierni.”

Il suicidio è, in genere, una malattia che si presta a mille diverse interpretazioni: Goethe, Freud, Sartre, un sacerdote, e uno scrittore marxista (per citare degli esempi) ce ne darebbero ciascuno una spiegazione particolare. Nel caso di Hollywood, la miseria spirituale, la cultura di idealità, la fame di gloria, la nausea di tutto e la mancanza di Dio si mescolano a mille altre clausole e danno origine a quel primo stato di crisi che facilmente, sotto l’impulso di un semplice pretesto, può esplodere in un lampo di follia suicida. Ho riesaminato presso gli archivi di alcuni giornali hollywoodiani e ho notato che questi tragici episodi sono scaturiti da delusioni d’amore, dall’ansia del successo, dell’insuccesso o dal timore

dell’oblio, dalla fame di vita che sospinge gli attori sulla via delle droghe e dell’alcool.

Dunque, “nel più grande dei piccoli paesi d’America” si muore veramente d’amore? Io direi piuttosto che qui l’amore e gli innamorati muoiono di…Hollywood. I boscaioli, i rappresentanti in commercio, gli uomini di fatica divenuti improvvisamente “divi”, giungono ad Hollywood quasi sempre insieme con la compagna dei giorni grigi, la moglie, ma già dopo qualche mese essi se ne vergognano e la ripudiano.

Accadde, per fare qualche esempio, a Frank Sinatra, che sacrificò sull’altare delle ammiratrici il suo matrimonio con la paziente e buona Nancy Barbato. Capitò a Clark Gable, ex giornalaio, ex fattorino, ex molte cose prima di sentirsi troppo grande e conteso per una moglie qualsiasi come Josephine Dillon. Le “stelle”, dal loro canto, sanno in partenza di dover rinunciare all’amore a vantaggio di esigenze che spianano la via del successo.

Sorge spontanea una domanda: Che fine avrà fatto il primo marito di Marilyn Monroe, il bonario ex poliziotto che la salvò dal correzionale? Un anno dopo la morte della diva ed essersi sposato, si diceva ancora innamorato di lei, ma per Marilyn non esisteva più, non era nemmeno un ricordo.


Due brutti ricordi restano a Gia Scala dei suoi tentativi di suicidio per questione di cuore: a Honolulu, Gia si rimpinzò di sonniferi, a Londra scavalcò il parapetto del ponte di Waterloo.

Tanti sono gli episodi gravi e toccanti, come quello del quale fu protagonista Carole Landis. Innamorata dell’attore Rex Harrison, a sua volta sposato con Lili Palmer, Carole non seppe rassegnarsi a un destino di amante. Fu trovata morta nel bagno di Rex, fu lo stesso attore a scoprire il cadavere. Carole aveva lasciato una confusa lettera nella quale spiegava le ragioni del suo gesto.

I giornalisti statunitensi continuano a sostenere che il clamoroso tentativo di suicidio compiuto alcuni anni fa dalla meravigliosa Susan Hayward – che il cronista ebbe modo di conoscere ed intervistare in occasione dell’Oscar per il film “Voglio vivere”- fosse da attribuire ad una questione di cuore. Per la cronaca Susan mandò giù un tubetto di sonnifero poche ore dopo aver sostenuto un ennesimo bisticcio col marito Jess Barker che la scaraventò nella piscina. Quella sera del 25 novembre 1958 Susan fu scoperta morente e venne letteralmente ripresa dalle braccia della morte.

Venti anni dopo ci lasciò in seguito ad un tumore al cervello. Purtroppo a Hollywood non basta soltanto conquistare la fama, ma occorre anche saperla conservare e rinverdire ad ogni occasione. La città della celluloide fa presto a creare un mito e presto a disfarlo.

Judy Garland, una ragazza vissuta quasi assolutamente per il cinema, compì l’atto disperato di tagliarsi le vene in un momento di particolare sgomento. Dopo il tentativo di suicidio Judy si diede a bere e drogarsi, ma i produttori, fortunatamente, si ricordarono di lei per la parte di protagonista nel film “E’ nata una stella”. Lottando contro le tentazioni dell’alcool e della droga, Judy riuscì a fornire una interpretazione eccellente che la pose in concorrenza con Grace Kelly per l’Oscar.

Ecco la vera vita intima di Hollywood: una lotta a volte feroce per salire a galla e restarci. Ma che morale potrà mai scaturire da un simile principio?
Soltanto la morale degli “affamati”. Sono chiamati così i divi e stelle, avidi di vita, di sensazioni forti e di piaceri non sempre leciti. E’ gente, questa, che non possedeva nulla e improvvisamente si e’trovata ad avere tutto. E così essi hanno fretta di consumare, di godere tutto fino alla nausea, bruciando al galoppo ciò che posseggono, perchè ogni cosa potrebbe svanire così come è piovuta dal cielo.  Improvvisamente. Un esempio: Diana Barrymore, la figlia del “grande John” il massimo attore del teatro statunitense. Anche lei decise di distruggere spietatamente la sua giovane vita. Qualcosa o qualcuno le insegnò la via dell’inferno. Quando la raccolsero al mattino in un prato, ebbra di alcool, stordita di droghe, la condussero in clinica per disintossicarla, ma qualche giorno dopo Diana ricominciò la sua…Via Crucis. “Se il mio fosse un vizio – diceva alle amiche – io combatterei. Invece è che ho deciso di morire e ho scelto l’agonia più lunga”. Al terzo matrimonio, Diana, il 25 gennaio 1960, decedeva dopo aver ingerito pillole e alcool “capaci di uccidere un cavallo”. Giace nel cimitero del Bronx ( N.Y.) Aveva 60 anni.