Cultura & Società

“ANATOMIE DEGLI INVISIBILI”, UN LIBRO DENUNCIA DI TIZIANA GRASSI Il volume, sul dramma del precariato, presentato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma di Goffredo Palmerini

31 Gennaio 2013

ANATOMIE DEGLI INVISIBILI”, UN LIBRO DENUNCIA DI TIZIANA GRASSI

Il volume, sul dramma del precariato, presentato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma

di Goffredo Palmerini

ROMA – Arrivo qualche minuto prima delle cinque dall’Aquila, lasciata con quel tempo a metà che, con l’aria rigida e tagliente dal Gran Sasso in questa stagione, non lascia intendere se assolve o se promette neve. Man mano che guadagnavo chilometri verso la capitale, su un’autostrada davvero scorrevole a quest’ora di giovedì pomeriggio, un sole coraggioso scacciava dal cielo le inquiete nubi d’Abruzzo per illuminare con i colori del tramonto il profilo di Roma, finalmente ammirato dai colli tiburtini. Non c’è gran traffico, in entrata. In un baleno l’asta di penetrazione urbana, sebbene trapunta da cantieri di lavori in corso, ci assicura la cinta del Verano. Da lì, in pochi minuti raggiungo Piazza delle Province, salgo per via Catania adorna sui due lati d’alberi d’arancio carichi di frutta matura, quindi viale del Policlinico, fino a Piazza della Croce Rossa. La vista del ministero dei Trasporti mi riporta indietro di quattro decenni, ricordi di quando vi lavoravo al Servizio Sanitario delle Ferrovie dello Stato. Ora, sono quasi a destinazione, alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, a Castro Pretorio. Nei primi anni dell’era imperiale questo luogo a ridosso della città eterna era un’area malfamata e funerea, ospitando il Campus sceleratus dove le Vestali che avevano infranto il voto di castità venivano sepolte vive. Vi trovarono poi allocazione anche i Castra Praetoria, in seguito ricompresi entro le mura aureliane.

I Castra Praetoria erano le antiche caserme dove alloggiavano le guardie pretoriane, costruite al tempo di Tiberio. Ancor oggi il sito in parte conserva l’atavica destinazione, insistendovi la Caserma Macao, per questa ragione la più antica caserma del mondo, dove ora risiede il Raggruppamento Logistico Centrale dell’Esercito Italiano, ma nella quale, in passato, sono stati di stanza reparti di artiglieria e cavalleria. Qui, a confine della Caserma, sorge la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, una delle due biblioteche statali italiane, con quella di Firenze, che hanno il compito di raccogliere e conservare tutte le pubblicazioni edite in Italia. Istituita nel 1875, la Biblioteca conserva 7 milioni di volumi a stampa, duemila incunaboli, 25 mila cinquecentine, 8 mila manoscritti, 10 mila stampe e disegni, 20 mila carte geografiche e ben oltre un milione di opuscoli. Operante dalla fondazione nel Collegio Romano dei Gesuiti, nel 1975, giusto un secolo dopo la sua istituzione, la Biblioteca s’insediò nell’attuale bel palazzo, realizzato a partire dal 1965 su progetto degli architetti Castellazzi, Dell’Anese e Vitellozzi, con un’impronta all’International Style, il movimento stilistico in architettura che all’epoca si prediligeva.

E’ qui la mia destinazione, in questa razionale struttura con ampio spazio di rispetto attorno, in parte ben curato a verde. Vi si presenta il volume “Anatomie degli Invisibili”, edito da Nemapress, l’ultima fatica della giornalista e scrittrice Tiziana Grassi, un libro-denuncia che, in forma di prosa poetica, affronta il dramma del precariato e dei nuovi poveri. Intervengono all’evento Osvaldo Avallone, direttore della Biblioteca Nazionale Centrale, Domenico De Masi, sociologo del lavoro, Neria De Giovanni, scrittrice e presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari, il fotografo “sociale” Luciano Manna, e l’autrice Tiziana Grassi. Gli attori Virginia Barrett e Marco Pelle sono le voci interpretative dei testi poetici. Raggiungo la Sala 1, che affaccia sull’ampio androne al piano terra della Biblioteca. Appena un rapido abbraccio a Tiziana Grassi e Giovanna Chiarilli che già l’evento prende avvio, presentato e coordinato da Neria De Giovanni, in nome dell’editore  Nemapress. E’ dell’ospite il primo intervento. Per niente di circostanza il saluto del direttore della Biblioteca, Osvaldo Avallone, lieto per la presentazione di questo libro “particolare”, come pure per la presenza d’un relatore d’eccezione, quale il prof. Domenico De Masi, di cui egli ricorda impareggiabili lezioni sulla gestione delle risorse umane presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione. Del volume di Tiziana Grassi il dr. Avallone evoca la carica di pathos, avvertita nella lettura. Altri ne parleranno con più pertinenza. Mentre richiama il valore per la cultura italiana della Biblioteca Nazionale di Roma, con i suoi 7 milioni di volumi che, con i 6 milioni della consorella di Firenze, disegnano un patrimonio di memoria di tutto rispetto, Avallone lamenta i tagli draconiani alle risorse destinate alla Biblioteca. Per dare un metro di paragone, la Biblioteca Nazionale francese ha un bilancio di 200 milioni di euro, mentre irrisori sono al confronto gli stanziamenti statali per le Biblioteche di Roma e Firenze! In tempi di crisi, in Italia sono i settori deboli a patirne: cultura, istruzione, salute. Nel caso della Biblioteca Nazionale, si colpisce la stessa identità storica del Paese. Onore, dunque, a Tiziana Grassi che con questo volume entra nel patrimonio disponibile della Biblioteca. Ci vuole coraggio per scrivere poesia che sfida l’indifferenza, una poesia non ermetica, che sa parlare. Che fa male, per questo cogliendo il suo scopo.

Neria De Giovanni chiama al podio Virginia Barrett, per la lettura del brano “Al cimitero dei sogni”. Questo nostro tempo ignaro/prostituito a colpevole silenzio/guida la barra/ verso il cimitero dei sogni./Là, si contano,/ e si incontrano/ i deboli di un tempo/ oggi perdenti./ In un rave party costellato di ombre umane/ che hanno camminato a lungo sulla brace/ i senza-lavoro/ navigatori a vista/ che nessuno ascoltò/ si raccontano/ le occasioni mancate senza colpa./ E c’è sempre un mangiafuoco/ che con livido ghigno/ ha irretito speranze/ traghettando verso il gorgo./ Complice questo nostro tempo immemore/ Uomini-ombra/ immobili/ a cui è stato negato il volo./ Bandiere a lutto, sventolate/ voi nocchieri e carnefici/ ciechi e sordi al loro urlo./ Voi che pontificate dall’alto di gradoni pensionistici/ mentre uccidete i sogni di una generazione/ condannata troppo presto all’oblìo./ Gaudenti e satolli/ in fila al check in verso siderali decolli/ voi, in odore di morte/ che brandite come armi le vostre carte di credito/ ma temete come fuscelli una visita al cimitero dei sogni./ Dove è sempre giorno. La voce dell’attrice taglia l’aria silenziosa, distillando la lirica goccia a goccia, che morde la carne e il cuore.

Il prof. De Masi, ordinario di Sociologia delle professioni all’Università “La Sapienza” di Roma, molisano di nascita ma vissuto in giro per l’Italia (Milano, Sassari, Napoli, Roma) e all’estero – è cittadino onorario di Rio de Janeiro – con singolare empatia entra nell’argomento, esprimendo un grazie sincero a Tiziana Grassi per il suo sguardo profetico. Del volume De Masi ha scritto una straordinaria prefazione. “Cosa avviene a una società basata sul lavoro, quando il lavoro viene a mancar? Si chiedeva Hannah Arendt. A questo quesito epocale il libro di Tiziana Grassi fornisce una risposta impietosa e pietosa al tempo stesso. Impietosa per la scabra nudità della situazione messa in luce. Pietosa per il modo poetico, metaforico con cui il terribile argomento viene trattato. E perciò un duplice privilegio presentare questo libro: per l’argomento che tratta e per come lo tratta.”, scrive ad inizio di prefazione il prof. De Masi, con un incipit biblico che richiama la maledizione di Mosè agli adoratori del vitello d’oro: “Sarete venduti come schiavi e non si troveranno i compratori”. Un richiamo non tanto velato, anche oggi c’è chi venera il vitello d’oro. E infatti nella prefazione, dove con rara chiarezza descrive la storia della rivoluzione industriale fino ai nostri giorni, ne descrive le attuali aberrazioni, il dramma del lavoro che manca, l’incoerenza – e l’ingiustizia – della distribuzione del lavoro che c’è, gli enormi problemi che vivono le società industrialmente evolute in un’economia globalizzata. Un quadro assai lucido, descritto impietosamente.

Ancor più netto lo splendido intervento a braccio del prof. De Masi, nel quale il più autorevole e famoso sociologo del lavoro italiano, il cui pane quotidiano è certamente lo studio della società e dei processi economici, non dimostra grande simpatia – anzi, una forte diffidenza – per i sacerdoti dell’economia da molti anni sordi alle analisi dei tecnologi e sociologi, gli economisti di oggi che “studiano economia, economia e poi economia”. A differenza dei grandi economisti della storia, a cominciare da Adam Smith, che erano anche filosofi e letterati, con una cultura circolare ricompresa negli illuministi, Diderot e gli altri. Sicché la difficile congiuntura economica mondiale nelle società evolute, con l’aggressività dei paesi emergenti, a suo parere continuerà a presentare il conto, con la crescita di nuove povertà e nuovi squilibri, anche perché i modelli culturali e sociali sono del tutto inadeguati. E di fronte alla disoccupazione crescente, specie giovanile, quando l’evoluzione industriale avrebbe dovuto comportare, come già dal 1930 postulava Maynard Keynes, la riduzione dell’orario di lavoro favorendo così nuova occupazione, ora offre la rappresentazione dell’assurdo con giovani che non lavorano e genitori che lavorano 12 ore al giorno fino alla soglia dei 70 anni! Le statistiche del disagio e della povertà sono sempre più preoccupanti, con proiezioni da capogiro, a cominciare dai “ricchi” Stati Uniti, dove gli homeless hanno già raggiunto gli 8 milioni. Occorre dunque un radicale cambio di rotta nei modelli culturali, nell’economia, nella redistribuzione del lavoro e della ricchezza. Chiude il suo intervento parlando dei suoi studenti più brillanti, costretti ai lavori più umili da una società incapace di riconoscere il merito. “Tutto questo, da me raccontato con il linguaggio noioso ed insufficiente del sociologo, trova nel libro di Tiziana Grassi la forza dell’esperienza subìta e l’incandescenza della rabbia che si stempera nella poesia”, con queste parole Domenico De Masi conclude la prefazione al volume, mentre paragona la poesia di Tiziana Grassi, usando la metafora di Paul Valery “Bisogna essere leggeri come una rondine, non come una piuma”, al volo d’una rondine capace di raggiungere ogni luogo.

Neria De Giovanni, scrittrice feconda ed insigne critica letteraria, parla della poesia “civile”, della quale è prezioso esempio “Anatomie degli invisibili”, una poetica che rifugge dagli ermetismi e dalle introflessioni di tanti autori, specie del secolo scorso. Il libro di Tiziana Grassi è uno scrigno di poesia civile e sociale, per la sua immediatezza e per la capacità di scuotere le coscienze. Con un breve excursus segnala la scarsa presenza femminile nella poesia, sin dagli albori classici, infranta nell’antica Grecia da Saffo con la sua poesia monodica. La nostra poesia del Novecento, così concentrata sulle introspezioni e sull’intimità dei sentimenti, di rado ha espresso esempi di poesia civile e sociale, capace di coniugarsi con la storia di un popolo o di una comunità. Uno degli esempi di poesia civile si deve a Salvatore Quasimodo, con i suoi versi contro la guerra. Tiziana Grassi è appunto speculum del mondo esterno. La sua poesia sociale è originale, illuminante e netta nella sua denuncia, in un percorso civile iniziato già con il suo precedente volume di poesie “Senza sponde”. Tanto che proprio attraverso le sue liriche potrebbe seguirsi l’evoluzione della poesia sociale e civile, perché in Tiziana Grassi non c’è iato, non c’è ritrosia del poeta a dar voce agli altri, a chi soffre. L’Io del poeta diventa infatti plurale, aprendosi ai problemi di ciascuno e di un’intera comunità, conclude Neria De Giovanni. Entrano quindi lancinanti come spine i versi (Lettera di una Precaria) che Virginia Barrett declama: “Figlio che non posso avere/ e che il mio utero reclama/ ogni volta/ nello spasmo dell’amore./ Questo lavoro precario/ disperde il mio seme/ come lava che pietrifica./ Mi priva dell’anima. E di te./ Tracciante di esistenza/ a cui non possa dare forma./ Non potrò essere tua madre/ neanche oggi, figlio,/finché sarò ostaggio di un contratto a progetto. /[…]”. Scorrono intanto sullo schermo le immagini delle istantanee di Luciano Manna, fotoreporter del disagio, della sofferenza e della strada, la cui sensibilità sociale è figlia dell’insegnamento d’un grande maestro come Anthony Boccaccio, con il quale egli si è formato durante l’esperienza romana del grande fotografo americano.

Siamo alle conclusioni, è il turno di Tiziana Grassi. Ringrazia i relatori e molte altre persone. Ma un ringraziamento particolare riserva al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per l’invito al Quirinale e per il colloquio partecipe e infinitamente umano avuto sul dramma del precariato. L’autrice, quindi, sottolinea l’urgenza di questo libro-denuncia, nato dalla sua personale esperienza di precaria per molti anni in Rai, per poi estenderla e condividerla con i tanti precari – i cosiddetti “invisibili” – che oggi vivono ripiegati in “un tempo senza promesse”. Un libro che in forma di prose poetiche e cronaca, in una commistione di registri comunicativi, tra pathos e osservazione lucida della realtà, dà voce a tante storie reali: dalla giovane precaria che non può progettare una maternità per l’assenza di tutele lavorative, al piccolo imprenditore che si è tolto la vita sopraffatto dai debiti, dall’operaio morto sotto un’impalcatura di un concerto ai nuovi poveri, ovvero i padri separati che faticano a sopravvivere. “Una invisibilità sociale, economica, che si traduce in invisibilità esistenziale, in irrilevanza sociale, paralizzati, immobili, per la perdita di ogni punto di riferimento, di ogni orizzonte progettuale, di un venir meno di diritti, come quello del lavoro, sanciti anche dalla Costituzione. Se il lavoro, infatti, è partecipazione – ha proseguito Tiziana Grassiemancipazione, costruzione di sé e della propria libertà, la sua assenza è esclusione, umiliazione, senso di sconfitta. Sul piano personale, interiore, come ricorda il sociologo Richard Sennett, questo ripiegamento che colpisce quasi una famiglia italiana su due, con disuguaglianze sociali sempre più feroci, mina la nostra identità, l’autostima, corrodendo le fondamenta del carattere degli individui. Sul piano interpersonale le asimmetrie sociali tra chi ha e chi non ha, illividisce e inasprisce i rapporti, li condiziona nelle sudditanze psicologiche; ma c’è un altro aspetto, forse ancora più grave perché diventa dimensione collettiva: la mancanza di lavoro, la “precarietà/invisibilità ontologica” riguarda tutta la società italiana. E quando un popolo smette di sperare, di desiderare, di aspirare, nel lungo periodo è destinato ad implodere, a ripiegarsi. Questa nostra società pericolosamente segnata da una perdurante crisi e dal senso di vuoto – ha concluso l’autrice – che vede l’interruzione del ciclo galbraithiano, ovvero quel processo che permetteva ad ogni generazione di migliorare la propria condizione rispetto a quella precedente, è segnata dalla paura da presente e da futuro, dall’ansia da vita, segnata dalla mancanza di giustizia sociale, di equità e di processi di inclusione. E una società scoraggiata, ingiusta, è una società triste, destinata al declino. La sindrome da insicurezza si diffonde tra tutte le generazioni – i giovani vedono aumentare la disoccupazione, mentre per i loro padri diminuisce l’occupazione, ed è un dramma persino peggiore quello che riguarda gli over 50 – ed è quindi urgente cambiare rotta, necessita un colpo d’ala, una mossa spiazzante, maggiore attenzione a questi drammi nelle agende dei politici. La politica economica dovrebbe avere un obiettivo chiaro: far aumentare l’occupazione. E con essa, la dignità umana”.

Le voci intense di Virginia Barrett e Marco Pelle scandiscono, tra cronaca e poesia, i versi  di “Morire per cinque euro l’ora”, poesia dedicata a Francesco Pinna, un giovane studente di 20 anni recentemente vittima a Trieste del lavoro precario, pagato 5 euro l’ora, morto nel crollo della struttura durante la costruzione di un palco per un concerto. “Cara Mamma/ che partoristi/ il gabbiano che fui./ Cosa non darei, Mamma,/ per raccogliere il tuo pianto/ in questo schianto che è/ oggi la tua vita./ Non si può morire così, a 20 anni, Mamma./ Sento la tua rabbia/ per una morte arrivata in questo modo,/ tu, che tifavi per me e il mio volo./ Lavoravo dieci ore al giorno/ da precario/ un giorno qui e un giorno lì/ per cinque euro l’ora./ […]”. Anatomie degli invisibili, in un’inusuale intersezione dei linguaggi tra cronaca e prosa poetica, affronta il dramma della crisi e del precariato. Tiziana Grassi, per molti anni autrice di testi per Rai International e Rai Uno, dopo aver pubblicato numerosi volumi di saggistica su questioni migratorie e media education, sceglie con questo volume di dar voce al vasto mondo del precariato attraverso fotogrammi tratti dal vissuto quotidiano dei cosiddetti “invisibili”, di chi ogni giorno decide di suicidarsi per problemi economici legati alla mancanza di lavoro, di chi è costretto a subire disoccupazione, contratti Co.co.co. e Co.co.pro, lavori interinali, occasionali e a “partite Iva”. Vite in retroguardia, senza presente e senza futuro, vittime d’un immobilismo sociale che nella flessibilità/mobilità paralizza e nullifica vite, relazioni, aspettative, progetti d’esistenza.

Non ho pretese, e tantomeno competenze, per una valutazione letteraria della poesia “sociale” di Tiziana Grassi. Ma di certo “Anatomie degli invisibili “ è un volume di testi poetici densi di straordinaria sensibilità, un atto d’impegno civile, una denuncia che, mai avvitandosi nella commiserazione, analizza e sancisce i mali più crudi del nostro tempo – mancanza del lavoro, precarietà dell’occupazione, assenza di futuro – con una scrittura poetica avvincente e senza orpelli, lucida, efficace e dolente, come pure coraggiosa e piena di dignità. E’ un pugno nello  stomaco che sveglia dall’indifferenza, scuote dal comodo egoismo, demolisce il teporoso riparo delle coscienze accidiose. Tiziana Grassi, con la sua poesia “civile”, riesce con forza a richiamare al dovere della giustizia sociale e al diritto alla dignità della vita chiunque abbia, a diversi livelli di responsabilità, il compito d’occuparsi del futuro delle nostre società, delle sue giovani generazioni. La prosa poetica è intensa. Sapida. Immediata e profonda. Lacerante nella sua icasticità. Eppure così attenta ai suoi protagonisti sofferenti, che mai perdono dignità, anzi la urlano. Come è profondamente rispettosa del valore della persona umana, anche quando le vicende tendono ad annichilirla.

La poesia di Tiziana Grassi è un grido di dolore cui non manca il segno d’un approdo, la speranza d’un esito, l’invocazione d’un futuro diverso. Resta in predicato chi abbia l’onere e la responsabilità di raccogliere questo seme di denuncia e di speranza, quando questo avverrà compiutamente, rispetto all’urgenza che l’opera poetica di Tiziana Grassi reclama. Ma le liriche sanno di scrittura poetica che intinge nella realtà del mondo che viviamo, senza contorcimenti compiacenti, con la trasparenza d’acqua di sorgente che rivela Verità cui ciascuno ha il dovere di riflettere, d’assumere responsabilità civile, d’esprimere il possibile impegno operoso. In questo, trovo anche un profondo valore spirituale nella poetica di Tiziana Grassi. Un richiamo tacito, eppure così carnalmente presente, alla condivisione dell’ansia dei nostri giorni, alla comunione della speranza, all’impegno morale – e cristiano – nel ripartire equamente i frutti della nostra esistenza, scuotendoci dal torpore dei nostri egoismi. In fondo, questo è il senso dei valori stessi che la nostra Costituzione richiama nella sua prima parte, ad emblema del patrimonio etico e morale di cittadini e Istituzioni. Fosse vissuta ed applicata così la nostra Costituzione, forse avremmo un Paese migliore e diverso. E se “Anatomie degli invisibili quei diritti e quei doveri evoca, come appare del tutto evidente, vuol dire che coglie proprio nel segno, richiamando ciascuno alle sue responsabilità, semplici cittadini e uomini delle Istituzioni, al dovere di costruire una società più giusta e dignitosa per tutti.

Tiziana Grassi, è nata a Taranto, vive e lavora a Roma. Giornalista, ricercatrice e studiosa di migrazioni, è stata autrice di programmi televisivi di servizio per gli Italiani all’estero a Rai International e consulente di programmi culturali per Rai Uno. Laureata in Lettere Moderne, si interessa di Emigrazione-Immigrazione e di sociologia della comunicazione. Collabora con la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e ha insegnato in un Master post laurea presso il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione dello stesso Ateneo. Ha pubblicato poesie nel volume “Senza Sponde” (Nemapress, Alghero, 2010) e i volumi Dicono di Roma – 50 interviste per il terzo millennio ( Palombi, Roma, 2000); Noi bambini e la tv prima e dopo l’11 settembre (Stango, Roma, 2002); Dicono di Taranto – Semiotica del territorio – Lontananza. Appartenenza. Percorsi (Provincia di Taranto-Ink Line, Taranto, 2004); con Mario Morcellini La guerra negli occhi dei bambini – Le immagini televisive dei conflitti tra critica e proposta (Rai-Eri-Pellegrini, Roma-Cosenza, 2005); con Catia Monacelli e Giovanna Chiarilli il dvd Segni e sogni dell’emigrazione – L’Italia dall’emigrazione all’immigrazione (Eurilink, Roma, 2009). E’ stata tra i redattori del 21° Rapporto Italia 2009 di Eurispes e con Fenomeni linguistici ed esclusione-inclusione sociale nell’Emigrazione italiana, è tra gli autori del “Rapporto Italiani nel Mondo 2011” della Fondazione Migrantes. Ha collaborato per la Società Dante Alighieri alla realizzazione della Prima Conferenza dei Giovani Italiani nel Mondo (Roma, dicembre 2008) promossa dal Ministero degli Affari Esteri. Nel 2010 è stata insignita del Premio internazionale “Globo Tricolore – Italian Women in the World all’eccellenza italiana nel mondo” come studiosa di migrazioni. E’ in corso di pubblicazione, a sua cura (con Mina Cappussi), il primo “Dizionario dell’Emigrazione italiana – 1861-2011 – Semantica di una Storia tricolore”. Attualmente collabora con l’Unione Europea-Rappresentanza in Italia al programma culturale radiofonico “Un libro per l’Europa”.

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