“Il più grande cuoco d’Abruzzi. Gabriele d’Annunzio enogastronomo” è il tema della conferenza che Enrico Di Carlo svolgerà sabato 23 marzo, presso la Fondazione Masi (Villa Serego-Alighieri), a Gargagnago di Valpolicella, in provincia di Verona. L’incontro chiude una settimana di studi, dedicata al poeta, organizzata dall’Istituto Internazionale per l’Opera e la Poesia.
Di Carlo, è autore di “Gabriele d’Annunzio e la gastronomia abruzzese”, pubblicato da Verdone, nel 2010, in due edizioni.
Il poeta non fu mai un cuoco provetto, come amava far credere, né particolarmente ghiotto. Anzi, si sottoponeva frequentemente a singolari digiuni. Per lui non c’era che l’essenzialità, per così dire, storica della cucina abruzzese; quella essenzialità che ritrovava nel brodetto di pesce, nel Parrozzo di D’Amico, nel “laure cotte nghi li capitune”, nella porchetta regalatagli da Giacomo Acerbo, nei legumi conditi con olio novello.
Il rapporto con il vino fu, invece, per d’Annunzio più letterario che reale. Egli era convinto che il vino potesse essere escluso dal vitto di un gastronomo, arrivando addirittura a sostenere «che non si poteva essere un buon ghiottone essendo anche un buon beone».
Ciò nonostante decanta alcuni vini italiani, come la Vernaccia di Corniglia, il vino d’Oliena e il Soave veronese del quale avrebbe addirittura vuotato “una intera bottiglia – lunga e snella”:
“È il vino della giovinezza e dell’amore – disse un giorno – non sarebbe più adatto per me, carico di anni e amatore discreto come sono. Ma lo bevo in omaggio al passato: se non mi ridà i miei vent’anni, me ne ravviva almeno il ricordo”. Alla fine del pranzo però le bottiglie rimanevano pressoché intatte.
Nella lista dei vini e dei liquori, compilata da Luisa Baccara, ultima vestale del poeta, e da lui stesso intitolata “Imberbis munera Bacchi”, tra le marche altisonanti compare l’Amaro Majella: liquore creato da Giulio Barattucci, inventore del celebre Corfinio (le cui bottiglie erano state disegnate dal pittore Francesco Paolo Michetti) che con le sue erbe aveva contribuito a plasmare l’atmosfera delle dimore dannunziane e soprattutto quella del cenacolo francavillese.
Durante gli anni del Vittoriale, l’anziano Comandante aveva inventato un “beveraggio” che gli sembrava portentoso, e che aveva chiamato “Molivin”. Raccontava di aver trovato la ricetta in un vecchio codice, e di aver mandato delle bottiglie di questa sua specialità addirittura al Vaticano.
Tuttavia, il vino abruzzese rimaneva quello da offrire in particolari occasioni. Il primo dicembre 1932 scrisse al conterraneo ministro Giacomo Acerbo per ringraziarlo del restauro della casa pescarese; in quella occasione lo invitò al Vittoriale «pe’ magnà ’nghe me nu belle piatte de maccarune e pe’ beve nu bicchierucce de montepulciane».
Al termine della serata è prevista una degustazione di prodotti tipici abruzzesi offerti da Luigi D’Amico Parrozzo e Liquore Corfinio Barattucci.