Lunedì 15.04.2013 ore 17,45 presso la Sala “Prospettiva Persona”, prossimo appuntamento del Salotto Culturale XII edizione (patrocinio Fondazione Tercas), in Via N. Palma, 33 – Teramo
Serata dedicata all’anno della fede con il tema Poesia e Fede in Umberto Saba
Presentazione a cura Modesta Corda
Approfondimento
Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli (Trieste, 9 marzo 1883 – Gorizia, 25 agosto 1957), è stato un poeta, scrittore e aforista italiano.
Umberto fu vittima della persecuzione razziale per via della sua origine ebraica, cercò rifugio prima a Parigi, poi a Roma sotto la protezione di Giuseppe Ungaretti ed infine a Firenze, ospite di Montale.
Nel 1911 pubblicò, a proprie spese e con lo pseudonimo di Saba, il suo primo libro, Poesie, con la prefazione di Silvio Benco a cui fece seguito, nel 1912, nelle edizioni della rivista La Voce la raccolta Coi miei occhi (il mio secondo libro di versi), in seguito nota come Trieste e una donna.
Risale a questo periodo l’articolo Quello che resta da fare ai poeti dove il poeta propone una poetica sincera, senza fronzoli e «orpelli» contrapponendo il modello degli Inni Sacri manzoniani a quello degli scritti dannunziani. L’articolo, presentato per la pubblicazione alla rivista vociana, venne però rifiutato in seguito al veto di Scipio Slataper e sarà pubblicato solamente nel 1959.
Completò anche l’atto unico Il letterato Vincenzo concorrendo ad un premio organizzato dal Teatro Fenice: l’opera, incentrata sul rapporto tra un poeta e la giovane Lena madre di suo figlio, fu criticata e si rivelò un fiasco.
Per superare un periodo di crisi dovuto al tradimento della moglie, nel maggio 1913 il poeta si trasferì con la famiglia dapprima a Bologna, dove collaborò al quotidiano Il Resto del Carlino, e nel febbraio del 1914 a Milano, dove assunse l’incarico di gestire il caffè del Teatro Eden. Il soggiorno milanese ispirerà La serena disperazione.
Negli anni del II dopoguerra Saba visse per nove mesi a Roma e poi a Milano dove rimase per circa dieci anni, tornando periodicamente a Trieste. In questo periodo collaborò al Corriere della Sera, pubblicò da Mondadori Scorciatoie, la sua prima raccolta di aforismi e Storia e cronistoria del Canzoniere.
Nel 1946 Saba vinse, ex aequo con Silvio Micheli, il primo Premio Viareggio per la poesia del dopoguerra, al quale seguirono nel 1951 il Premio dell’Accademia dei Lincei e il Premio Taormina, mentre l’Università di Roma gli conferì, nel 1953, la laurea honoris causa.
Ormai noto e di grandezza riconosciuta, Saba ebbe un avvicinamento “religioso”, si convertì poi al cattolicesimo e si fece battezzare.
La poesia onesta – Nel suo scritto Quello che resta da fare ai poeti Saba afferma che la poesia è ricerca di verità, quotidiano esame di coscienza, fedeltà alla propria verità interiore, attribuendole quindi una funzione morale, sociale e psicologica molto alta.
Saba si propone come un amico umile e onesto: con semplicità e sincerità racconta al lettore il suo io più intimo, instaurando con lui un rapporto di solidale condivisione, per il quale si serve di un linguaggio comprensibile, di tipo prosastico, e di un lessico preciso e appropriato, ma semplice e accessibile.
Il linguaggio di Saba non è mai allusivo e di rado è simbolico, perché la poesia, onesta nel contenuto come nella forma, deve risultare per il poeta un aperto veicolo di comunicazione. Tuttavia questa semplicità si basa sulla sapiente orchestrazione di inversioni, anastrofi,
allitterazioni, rime, assonanze, e sulla originalissima fusione dei registri lirico e narrativo, l’elemento formale più caratteristico della poesia di Saba.
Liberamente ispirato da http://www.edu.lascuola.it/edizioni-digitali/Convivio/VB/letture/Perimmaginitriste_dolorose.pdf e da http://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Saba