23-05-2013
L’associazione ambientalista replica alle dichiarazioni del presidente Chiodi
Si usino le parole giuste: i “termovalorizzatori” non esistono.
L’incenerimento provoca danni all’ambiente e alla salute dei cittadini, in particolare dei bambini, senza risolvere il problema.
La strada vincente è ridurre i rifiuti alla fonte e incentivare riuso e riciclo
Il presidente della Regione Gianni Chiodi è tornato a parlare nei giorni scorsi in un convegno a Teramo di “termovalorizzazione” dei rifiuti, rispolverando la normativa, varata dal centrosinistra e mai rinnegata dal centrodestra, che prevede la costruzione di tali impianti in Abruzzo quando la percentuale di raccolta differenziata superi stabilmente il 40%, evento che il presidente ritiene ormai imminente.
Il WWF Abruzzo precisa innanzitutto che il termine “termovalorizzatore”, seppure di uso comune, è del tutto fuorviante: «Si tratta – dichiara il presidente dell’associazione ambientalista Luciano Di Tizio – sempre e soltanto di inceneritori. Gli unici modi per “valorizzare” davvero un rifiuto sono il riuso e, in seconda battuta, il riciclo. L’incenerimento, anche nel caso sia prevista una qualche forma di recupero energetico, costituisce sempre e soltanto un semplice smaltimento. Il presidente Chiodi farebbe bene nei suoi interventi, per non trarre, di certo involontariamente, in inganno i cittadini, a pronunciare l’unico termine corretto, non a caso anche l’unico utilizzato nella normativa europea di riferimento, che è appunto “inceneritore”. Usare le parole giuste servirebbe a evitare confusione e far sapere agli abruzzesi che cosa davvero si sta progettando per il loro futuro».
Aggiungiamo inoltre che ad oggi, nonostante i progressi indubbiamente compiuti dalla tecnologia, non esiste un inceneritore sicuro: anche quelli dotati dei più moderni e sofisticati sistemi di filtraggio e di abbattimento delle emissioni riescono a trattenere solo una parte del particolato generato dalla combustione.
Non esistono ad esempio filtri o altri analoghi sistemi in grado di impedire la diffusione, col fumo di combustione, di micro e nano polveri (dal PM 2,5 al PM 0,01), in grado di accumularsi nell’organismo umano e pericolosissime per la salute. Brescia, dov’è attivo il più grande inceneritore d’Italia (quello che, grazie a un sapiente copyright, può utilizzare per sé in esclusiva il termine di “termoutilizzatore”), è la città nella quale si rilevano i livelli più alti di PM 10 e di PM 2,5 dell’intera Lombardia e tra i più alti in Europa. Una recentissima campagna dell’ISDE-Medici per la salute rivendica il diritto dei bambini a vivere in un ambiente non inquinato. Ci auguriamo che anche Chiodi, la sua giunta e l’intero Consiglio regionale siano d’accordo.
Gli inceneritori inoltre non aiutano la raccolta differenziata poiché per raggiungere il pareggio economico di gestione hanno bisogno di grandi quantità di combustibile. La Germania proprio per questo nella prima metà dello scorso decennio è diventata il più grande importatore mondiale di rifiuti prodotti all’estero: il solo traffico di quelli tossici è cresciuto tra il 2000 e il 2006 da 1 a 2,5 milioni di tonnellate/anno tant’è vero che attualmente, nonostante il presidente della Regione citi proprio quella nazione, in Germania la costruzione di inceneritori è stata abbandonata e si persegue la strada della riduzione alla fonte dei rifiuti (una politica sinora rimasta in Abruzzo nel limbo delle buone intenzione) del riuso e del riciclo per arrivare a una graduale riduzione/scomparsa dell’incenerimento. È ben noto del resto che tale pratica non risolve il problema anche perché le ceneri da combustione, che possono arrivare a circa il 30% del materiale bruciato, rappresentano rifiuti speciali destinati a discariche particolari, con notevoli costi per la collettività.
«In natura – conclude Luciano Di Tizio – non esiste neppure il concetto di rifiuto: tutto ciò che viene scartato viene assorbito dall’ambiente e rimesso in circolo. Dovremmo ispirarci proprio alla natura producendo esclusivamente o almeno prevalentemente oggetti e beni che, una volta concluso il loro ciclo vitale, possano rientrare in questo circolo virtuoso. In concreto la strada da perseguire anche a breve termine è non produrre né comprare beni inutili; allungare la vita degli oggetti attraverso le riparazioni e il riuso; riciclare i componenti delle cose non più utilizzabili. L’obiettivo dev’essere quello di deturpare meno possibile l’ambiente che ci circonda, certamente senza bruciare nulla e senza immettere nell’aria inquinanti cancerogeni».