Torre Salsa, approda la poesia di Evelina Maffey: il Canto di Colapesce appartiene all’intera umanità. L’intervista
Approdi significa arrivare approdare da qualche parte e per arrivare bisogna partire quindi bisogna fare un viaggio dove incontri qualcosa o qualcuno, un viaggio implica lasciare una parte di te stesso per conoscere qualcosa che ancora non conosci, significa partire alla scoperta di qualcosa o qualcuno. Approdi vuole significare incontrarsi con l’altro, può essere una cultura, un paese, un popolo e tanto altro ancora. Ecco approdi indica la diversità e l’incontro con le altre culture per uscire dal proprio egocentrismo cognitivo ed etnologico e superare le barriere culturali. Mi sembra che approdi vuol dire tanto e non è un caso che sia la collana della Vertigo di Roma dove è stato pubblicato “Canto di Colapesce” e l’iniziativa culturale ed artistica promossa dal prof. Giuseppe Zambito a Torre Salsa abbiano una tematica comune per affinità.
Il suo poema sinfonico da quale tema è principalmente attraversato?
Il mio poema sinfonico è attraversato dal mare della vita in cui nuota Colapesce, i versi come le onde, riecheggiano la sua storia che è leggenda, è mito e che viene rinarrato come nei secoli passati sino ai secoli a venire e non solo dalle onde del mare che si propagano nell’infinito ma anche dalle voci cadenzate delle donne e dai pescatori che simile al coro della tragedia greca narrano il fato singolare di Colapesce. Il viaggio di Colapesce nel mare di Sicilia parte da una piccola isola di nome Formica nelle Egadi per approdare all’isola di Lampedusa e all’isola dei Conigli dove Colapesce incontrerà l’amore con la Venere Nera per continuare il suo viaggio nel mare di Sicilia. L’isola indica il nodo geografico dove si incontrano popoli, tante culture e molte diversità culturali ma costituisce fonte di tanta ricchezza ed è il luogo dove la leggenda di Colapesce è narrata in chiave contemporanea.
È stata una bella esperienza che mi ha permesso di crescere insieme agli altri: lo spettacolo di teatro danza “Catarsi” diretto dalla maesta Aurelia Lalicata nella splendida cornice della Badia Grande è stato rappresentato dal corpo di ballo su due lati affinché lo spettatore potesse scegliere, attraverso la scelta della poltrona, il luogo e l’occhio attraverso cui guardare la danza espressa insieme ai versi narrativi e declamati dal poemetto “Canto di Colapesce”. Una scelta artistica per far emergere le diverse angolazioni espressive e voci narrative che la realtà ci rappresenta e che molto spesso si vuole invece incatenare in ruoli o cristallizzare in schemi fisici e/o ambientali. In questo senso si è voluto – mediante l’espressione corporea, la mimica gestuale, la musica e l’io narrante e il gioco di luci ed ombre – emulare la realtà fluida, il pensiero libero, il credo escatologico e la dualità di Colapesce mezzu omu e mezzu pisci.