Ai Ministri del Lavoro e dell’Attività Produttive
Per sapere – premesso che :
il prosciuttificio “Gran Sasso” sito in Colledara (TE) a fine anno cesserà l’attività produttiva.
Lo stabilimento che occupa 82 lavoratori, ha una superficie coperta di 14mila metri quadri e possiede una capacità produttiva di 16.500 prosciutti a settimana. Inaugurato nel Duemila è completamente automatizzato e robotizzato ed è un’eccellenza del sistema produttivo teramano.
L’azienda fa parte di un grande gruppo specializzato nella produzione di prosciutti di Parma, la Crudi d’Italia. Si tratta di un gruppo che ha altri due stabilimenti: uno a San Vitale Baganza, proprio nel cuore della zona tipica di produzione del prosciutto di Parma, acquistato dall’Aba prosciutti nel 1986 e la Luppi Alimentari, sempre nella stessa località, acquisito nel 2005. In totale il gruppo ha una capacità produttiva di più di un milione di prosciutti all’anno ed esporta oltre che in Europa, anche in Cina, Australia, Giappone, Stati Uniti e Brasile.
Il fermo del moderno stabilimento avverrà alla fine dell’anno, ma già è stato firmato un accordo per la messa in cassa integrazione straordinaria degli 82 dipendenti e per una mobilità solo su base volontaria, a cui hanno aderito per ora solo un paio di persone.
In una nota i sindacati sottolineano che il gruppo è entrato in crisi esclusivamente per difficoltà di carattere finanziario dato che le banche pongono condizioni insostenibili. Il gruppo non ha problemi di mercato, a parte un lieve ed ininfluente calo dei consumi. La medesima situazione si è creata anche negli altri due stabilimenti in Emilia Romagna dove si è fatto già ricorso alla cassa integrazione straordinaria.
I sindacati hanno lanciato un appello alle istituzioni regionali e provinciali e ai ministeri del Lavoro e delle Attività produttive chiedendo l’apertura di un tavolo istituzionale a seguito del perdurare di questa grave crisi finanziaria e per evitare il precipitare degli eventi che, per ammissione dei vertici aziendali, condurranno alla chiusura dello stabilimento, con la conseguente perdita di 82 posti di lavoro, oltre ad un’indotto di difficile quantificazione.
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Se non intenda promuovere un tavolo istituzionale con l’Azienda, i sindacati e gli enti locali al fin di individuare un’alternativa industriale solida e credibile che possa scongiurare la chiusura del sito produttivo e possa garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali.
Roma novembre 2013 GIANNI MELILLA
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