Michele Boldrin e il Partito che non c’è
di Fabio GHIA
Tempo fa scrissi un articolo sull’Italia anarco-liberale nel quale enfatizzavo le devianze cui vanno soggetti, nel bene e nel male, “tutti” i partiti politici di stampo tradizionale di oggi. Si va dalla chiara discontinuità rispetto al passato, ai correttivi basati sull’equità, al pubblicizzato categorico rifiuto del consociativismo, alla morale e l’etica comportamentale, senza parlare poi delle competenze tecniche cui ogni politico tende a ostentare. Nella sostanza non esiste più una fisionomia politica propria come base comune ma (i Mattei Renzi e Salvini insegnano) una tendenza a mostrarsi quale “migliore allenatore” per questa nostra Italia! Dal punto di vista culturale per contro, nell’articolo, feci notare come la società contemporanea si trovi nelle stesse condizioni (con rispetto al quadro temporale di riferimento) di quelle che dettero origine all’illuminismo post-rinascimentale. Più propriamente il liberalismo inteso come una filiazione dell’Illuminismo, in cui i valori di tolleranza, libertà ed eguaglianza, prendono il sopravvento come garanzia contro l’arbitrio del potere dello Stato.
Sotto un punto di vista filosofico, dunque, una spinta irreversibile verso il primato di un liberalismo inteso come somma ed espressione delle varietà e singolarità umane, basato sulla volontà della maggioranza. Oggi, infatti, essendo scomparsi quasi del tutto i riferimenti dogmatici ideologici, all’interno dei singoli schieramenti emerge sempre più il rifiuto alla democrazia rappresentativa di partito, preferendo tentare di andare a soddisfare gli stimoli egocentrici delle aumentate esigenze di gruppi a se stanti minoritari, ma che nel loro insieme sono divenuti sicuramente maggioritari. La realtà di oggi, con il nascere di nuovi gruppi al di sopra di qualsiasi tipo di ideologia politica o riferimento dogmatico, vedi ad esempio i FORCONI (e assimilati), conferma quanto sopra espresso e enfatizza la possibilità di una concezione di un nuovo ordine sociale fondato sull’autonomia e la libertà dei singoli (gruppi di) individui, che si vorrebbe istintivamente contrapporre all’autorità centralizzata dello Stato. Il Nuovocentrodestra che si professa “liberista, riformista e progressista”, non ha fatto altro che tentare di agganciarsi ai nuovi “flussi” anarco-liberali mostrati dalla nostra società.
Se NCD è un tentativo (lo credo tale perché i soggetti all’interno sono eccessivamente impregnati dalla vecchia scuola politica consociativista!) non altrettanto si può dire di Michele Boldrin e la presentazione del “Partito che non c’è”, da lui organizzata sabato 14 dicembre. Quasi un regalo di Natale per tutti coloro che amano ancora oggi definirsi di spirito “liberale”. A prescindere dagli interessantissimi spunti dati da Passera e, ancor più, da Santo Versace, per l’intera mattinata si sono susseguite una miriade di mini presentazioni (tre minuti a testa) di rappresentanti di movimenti, associazioni, ONG, partiti, partitini e organizzazioni varie, che io, dopo tre intense ore di ascolto ininterrotto, ho detto: speriamo che non si aggiungano anche i “condomini”! Nonostante il mal di testa che mi ha preso, però, mi ha colpito l’unicità d’intenti dimostrata e dichiarata apertamente da tutti. Il tutto ancorato al nuovo progetto di “In Cammino per Cambiare”, firmato inizialmente da cinque soggetti politici (FARE FID, Partito Federalista Europeo, Liberali Italiani, Partito Liberale Italiano e Uniti verso Nord) cui si stanno aggregando, o almeno hanno mostrato tale intenzione, questa pletora di “soggetti” politici che, come lo stesso Boldrin ha detto hanno tutti un “minimo comun denominatore”: una radicale voglia di “cambiare la struttura dello Stato sia a livello nazionale sia a livello europeo, modernizzando la struttura statale italiana e gettando le basi per costruire un’Europa Federale, che superi i limiti istituzionali dell’attuale Unione Europea”.
In contrapposizione alle tendenze anarcoidi dei singoli interessi di gruppo, ecco quindi che si va concretando un progetto solidale, incentrate su un minimo comun denominatore caratterizzato da una politica di rinnovamento e di cambiamento all’insegna dell’innovazione e del rilancio della centralità dell’uomo e della sua creatività: un’enucleazione omogenea, dunque, del pensiero associativo moderato. “L’Italia ha bisogno di una grande formazione politica che rappresenti le componenti sociali più vive e produttive del paese per realizzare quella riforma liberale di cui si discute inutilmente da trent’anni” (Boldrin). Il Partito che non c’è non vuole altro che costruire, attraverso “in Cammino per il Cambiamento” tale formazione politica su un programma ben chiaro e definito, unificando e valorizzando le esperienze politiche che esistono nel paese e che, da diversi punti di vista, hanno a cuore quegli stessi obiettivi di rinascita della nazione.
Boldrin insiste: “non stiamo proponendo di unificare soltanto tutti coloro che si rifanno ai principi del liberalismo italiano ed europeo: occorre andare al di là delle vecchie barriere ideologiche che abbiamo ereditato dalla storia nazionale – o di quelle organizzative e di partito – per parlare ai cittadini ed in particolare a quelle realtà che maggiormente patiscono la crisi”. Pensando, sicuramente, a quei tanti movimenti autonomi e senza bandiera né ideologica, né altrettanto interessi di parte, che ha per minimo comun denominatore: IL LAVORO! Quei dieci milioni (10 Milioni) di disoccupati che oggi più che mai leggono e rileggono l’articolo uno della nostra Costituzione: “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Un controsenso ineguagliabile che, indubbiamente, porta come logica conseguenza molti interrogativi sulla validità della nostra Costituzione. E chissà che lungo il “cammino per cambiare” non ci sia anche la proposta di una nuova “Costituente”?