Un testo per un libro d’artista, sia esso critico ovvero letterario, è come una preghiera, un manuale d’istruzione, una prova di traduzione. Per dialogare in genere bisogna essere in due – almeno – e legittimati da un accordo, un’intesa tra le parti. Da quando ci conosciamo, Carlo Iacomucci ed io abbiamo inaugurato una piattaforma d’intesa che, in un lustro di stima, si è andata definendo.
Il linguaggio espressivo di Iacomucci è fatto di una vertiginosa corrispondenza tra la sostanziale univocità del tratto incisorio, puntuale e monocromo, e la rutilante eppur ordinata molteplicità del lavoro pittorico, altrettanto puntuale ma questa volta iridescente.
Il “mestiere” di Iacomucci è innegabile e lampante, supportato tuttavia da una freschezza d’ispirazione non comune. Il preciso tratto incisorio o la consapevole ed eloquente pennellata sono la cifra musicale della sua composizione, che risuona virtuosa per armonia e contrappunto.
La figura umana, onnipresente ma non ingombrante, proclama un antropocentrismo che si risolve nell’homo mensura protagoriano, nel vitruviano paragone con la realtà fenomenica. Più un simulacro che una presenza animata, parla alla nostra dimensione esistenziale con la fermezza del monito e il garbo di un invito. Il fuoco quadrangolare dell’opera si delinea come un proscenio, alla maniera della pittura rinascimentale che, per oggettive ragioni di provenienza e identità, permea dal primo istante l’universo di Iacomucci, in esso gestato. Il genius loci marchigiano non è estraneo – e come potrebbe? – all’arte del Nostro, tutt’affatto iconica, anzi figurativa. Come sorprendersi quindi di questa sua familiare dimensione metafisica, memore di Raffaello e dei Dioscuri (De Chirico e Savinio), che naturale si effonde nelle scene?
Che l’arte contemporanea si risolva soltanto in una questione di “concettosità” neobarocca, oppure di tautologia minimalista, credo che sia un pregiudizio ormai superato. Fatìco a esaurire il novero della creatività umana nell’oscillazione tra questi estremi. Iacomucci mostra a noi e agli altri una terza via, fatta di esperienza, ricerca e immaginazione.
Che cosa mai potremmo chiedere ad un artista del XXI secolo?
Mauro Carrera
Parma,
in un limbo primaverile orfano di profumi, maggio 2013