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BIOGRAFIA di Michel Pochet
Nato in Provenza il 2 marzo 1940, diplomato in architettura alla Scuola
Nazionale Superiore di Belle Arti. Alletà di tredici anni scopre la
vocazione pittorica. Il giovane Pochet intraprende un percorso artistico
alla ricerca costante di una bellezza perduta, riscontrabile secondo
lartista esclusivamente in Dio, per la quale sperimenta, in evoluzione
continua, tecniche, materiali e ambiti artistici sempre nuovi. Realizza per
lo più dipinti di grandi dimensioni, secondo il filone dellarte povera, con
materiali umili, quotidiani (tele, lenzuoli, pannelli
), i quali devono
secondo lartista entrare nella realtà dellosservatore, toccarlo, parlare
con lui. La sua tecnica scaturisce da un dialogo continuo fra segno e
colore: il colore è denso, materico, i segni sono mescolanza di antico e
nuovo.
La sua arte scaturisce da una esperienza di unità, i suoi dipinti, spesso
di grandi dimensioni, realizzati su materiali umili (tele, lenzuoli,
pannelli
) sembrano entrare nella realtà dellosservatore, toccarlo, parlare
con lui.
Michel Pochet oggi vive e lavora a Rocca di Papa (Roma).
Approfondimento
Brani tratti da http://www.flars.net/centromaria/testi/PENSAR.html
La mia esperienza
Un giovane brasiliano mi ha detto un giorno : ” In Brasile sei
conosciuto da
tutti come un grande artista che ha lasciato l’arte per Dio. ”
Malgrado l’aspetto doppiamente lusinghiero di questo
“riconoscimento”, non
mi sento proprio “uno che ha lasciato l’arte per Dio”. Ho
avuto la forza di
lasciare tutto per seguire Gesù perché a un certo momento ho trovato
espresso come realtà unica quello che nel più profondo di me coincideva : la
chiamata di Dio e quella del Bello.
Per anni avevo cercato di risolvere questa dialettica : Dio e bellezza – o
per lo meno arte e religione – sembravano in disaccordo ; santità e vita da
artista (vita di bohème) sembravano contraddizione in termini. Mentre per me
erano un tutt’uno al punto che la mia stessa fede in Dio era stata
fortemente scossa dal pensiero, venutomi durante l’adolescenza, che
avessi
potuto confonderla con l’esperienza estetica, dando al Bello il nome di
Dio.
Era – ne sono persuaso – una esperienza costitutiva della mia identità nel
senso che risaliva ai miei primi ricordi di bambino, e che non si era mai
smentita ma invece sempre rinnovata.
La mia prima esperienza religiosa infatti è nello stesso tempo la mia prima
esperienza estetica : Avevo tre anni e mezzo. Nel 1943, durante la seconda
guerra mondiale, assistette da qualche chilometro di distanza al
bombardamento della mia città. Ma quella notte stellata e le luci del
bombardamento si impressero nella mia mente e nella mia anima come pura
bellezza e perfetta pace in Dio. Quel Dio che i miei pregavano in questo
momento per loro disastroso e pieno di minacce.
Poi l’alternarsi ricorrente negli anni della mia infanzia e della
giovinezza
della chiamata a seguire Gesù – che nella mia mente coincideva col
sacerdozio – e di quella di essere artista, sempre più dolorosamente vissute
come incompatibili.
L’idea di rinunciare a l’una per scegliere l’altra era contro
natura e non
mi pareva quello che Dio volesse da me.
L’adolescenza fu per questa ragione un tempo di profondi e forti
scossoni
perché quello che sentivo e capivo della mia identità mi era senza
possibilità di attuazione. Non c’era posto per me in questo mondo rotto
in
due parti antagonistiche : il religioso e il profano. E rimpiangevo
amaramente altri tempi che pensavo avevano reso possibile l’arte di un
Fra
Angelico, o la fede di un Michelangelo – i miei più venerati modelli di
allora.
Pagina giovanile:
” Bellezza : sorta di coincidenza tra lo spirituale e il materiale ;
armonia
: simmetria tra il materiale e lo spirituale legati in maniera stabile. Una
cosa bella è una cosa in accordo con l’uomo intero. E’ poco
probabile che
una cosa bella abbia un’anima, e tuttavia possiede uno spirito, è la
proiezione dello spirito del suo creatore.
La bellezza della natura è semplicemente dovuta all’ordine stesso di
questa
natura e alla sua natura in rapporto all’uomo. Un’opera d’arte
ha in
aggiunta la personalità del suo creatore. Ecco perché un’opera
d’arte
dev’essere espressione dell’artista, pena l’esser soltanto per
puro caso in
accordo con qualche individuo. Un’opera astratta può essere bella, ma
solamente in una certa misura materiale, armoniosa, che quadra con la natura
e l’uomo nella sua materia, ma non nel suo spirito perché l’artista
non vi
ha messo veramente qualcosa di sé. Una macchina a cui si dessero istruzioni,
leggi di armonia, potrebbe fare un’opera armoniosa ma essa non sarebbe
umana, perché vi mancherebbero lo spirito, il morale, che rendono perfetta
un’opera.
Un’opera è bella allorché è utile (favorendo la vita, il naturale) ;
utile
allorché eleva lo spirito, perché lo spirito deve naturalmente elevarsi.
Così le opere sacre sono per essenza più belle delle altre perché complete,
non solo esteticamente belle, cioè armoniose materialmente ; esse sono belle
moralmente, non solo in accordo con l’uomo ; esse elevano l’uomo
verso il
sacro, verso Dio, fine assoluto dell’uomo.
Ma ogni opera, se l’artista è profondamente religioso, dev’essere
sacra nel
senso di elevare l’anima verso Dio. Perché l’armonia, in ultima
analisi, è
in qualche maniera il principio della creazione divina, è l’impronta di
Dio
“.
Ma l’arte e la religione non formavano più da secoli una coppia unita.
La
Chiesa e gli artisti avevano a poco a poco cessato di comprendersi e di
stimarsi, ed erano andati ciascuno per conto proprio combattendosi o
addirittura ignorandosi, il che, forse, e ancor peggio.
Ero un figlio del loro divorzio. Non potevo riandare a ritroso nel tempo, e
non lo volevo, a nessun costo. Vibravo con la mia epoca e provavo una
repulsione istintiva contro ogni illusione del passato. Io mi volgevo ora
verso l’arte ora verso la religione, non potendo scegliere l’una
contro
l’altra e serbando sempre la speranza di riconciliarle. Ma questa
separazione mi era imposta.
Nel mondo dell’arte inteso nel senso più ampio, mi sentivo la
vocazione
per tutto, e, se non ho mai ambito a diventare aviatore o corridore
automobilista, ho voluto però di volta in volta essere attore, cineasta,
cantante, sarto di alta moda, orefice e, naturalmente, scultore e pittore.
Scelsi l’architettura più per ragionamento che per amore, pensando che
questa formazione era pur sempre quella che mi avrebbe precluso meno
possibilità. Il regista Antonioni era architetto, come l’organista
Grünewald. L’architetto Le Corbusier era pittore e scultore ;
Michelangelo
era stato tutto questo, e in più poeta. L’immagine del missionario si
era
sfocata e, per dissolvenza, aveva lasciato il posto a quella di Vivaldi, il
prete rosso, o di fra Angelico, il pittore del Paradiso.
Michel Pochet
CRP – Mail (mail@prospettivapersona.it)