Santa Caterina, pensaci tu!
Di Tania Bonnici Castelli
«Andiamo a guardare la morta negli occhi». Lo sussurravo spesso a mia sorella quando da bambine restavamo sole a case. Terrore ed eccitazione facevano di noi piccole acrobate pronte a sfidare il pericolo della soffitta proibita, sopra la nostra cucina. Un sottotetto anomalo, accessibile solo attraverso una scala pesante di metallo che veniva appoggiata al muro per raggiungere, molto in alto, la botola di ingresso. Uno spazio grandissimo, buio, dall’odore di formaggio, non più calpestato da anni a causa del solaio fatiscente e prossimo al crollo. E noi lì, in bilico su travi fradice, a rischiare la vita per spiare, attraverso una fenditura della vecchia cassa di legno, una donna impagliata, con due orbite di vetro che non si chiudevano mai. Roba da rimanerci secchi. Mia madre, certa di piegarci all’obbedienza, ci ricordava spesso che sopra di noi vigilava Santa Caterina. Non immaginava nemmeno lontanamente quanto fosse vero, considerando i rischi che correvamo.
Santa Caterina di Alessandria è una martire cristiana del 300 dopo Cristo, protettrice dei giovani e dei filosofi e della mia famiglia, proprietaria da generazioni di una piccola chiesa a lei dedicata sul Corso Vecchio di Teramo. “Santa Caterina a Natale una trentina” è un antico proverbio teramano che ricorda la data del 25 novembre, unico giorno dell’anno nel quale viene aperto in suo onore questo luogo di culto ed esposta la conocchia settecentesca che la rappresenta, recentemente restaurata dopo essere stata sepolta per anni nella nostra soffitta pericolante. Intorno a questa affascinante diciannovenne egiziana che scelse il martirio su una ruota dentata pur di non sposare l’imperatore pagano e restare fedele alla sua religione, si è sviluppata una credenza tra il sacro e il profano: chiunque giri per tre volte la ruota di Santa Caterina posta sotto la sua statua nel giorno della festa, diventerà ricco e chi è in cerca di marito o moglie si sposerà entro l’anno. Sarà per le aspettative materiali ma anche per la struggente storia di una ragazza coraggiosa ed idealista che ogni anno la chiesetta viene visitata da una fiumana di gente, in fila per ore, in attesa di girare la ruota dei miracoli ai piedi della santa. In mattinata, in particolare, arrivano intere classi di studenti accompagnati dai loro professori. I più piccoli si mostrano subito curiosi e devoti a differenza dei quasi maggiorenni che entrano nella chiesa con fare irrispettoso. Parlano, ridono forte e, appena il docente gira loro le spalle, c’è anche qualcuno che si compiace di bestemmiare Dio e la Madonna. Insomma, il tutto viene vissuto come una «pagliacciata» a cui peraltro dicono di non credere.
Quel ragazzo alto, magrissimo, con un po’ di barbetta rossiccia appena accennata sotto il mento, pantaloni lacerati ad arte, calati oltre il dovuto e con slip a molla griffata ben in vista, io me lo ricordo bene. Mi aveva colpito un certo livore nel suo sguardo, quegli occhi torvi di chi usa la ferocia per farsi notare. Nonostante il divieto imposto dall’insegnante di non mangiare in chiesa, lui era entrato con un enorme cono gelato, probabilmente acquistato al bar di fronte, che leccava con spudoratezza seduto tra i compagni. Classe liceale dell’ultimo anno, a tenerla buona ci voleva il coraggio della professoressa di latino che, sfinita, si lasciava andare a minacce sulla mancata ammissione agli esami per cattiva condotta. I maschi si assomigliavano un po’ tutti tra di loro, li differenziava solo la quantità di peli tra faccia e testa. Le ragazze, molto carine, sfoggiavano micro gonne nere con calze velate e stivaletti in tinta. La sequenza di tatuaggi che si intravedeva sembrava la riproduzione delle incisioni sui muri delle tombe egizie della Valle dei Re. Approfittando di un frame di silenzio, come faccio ormai da anni, cominciai a raccontare la storia della giovane, ricca e colta Caterina, una ragazza della loro età, che preferì morire lacerata pur di non rinunciare alla propria castità e alle proprie idee. Una scelta che l’ha resa santa e dispensatrice di tante grazie, soprattutto verso quei giovani che protegge e che si rivolgono a lei. Sentivo i loro occhi puntati addosso, ironici, scanzonati ma poi, mano a mano, catturati dalla vicenda. Sapevo come fare, esperienza di anni e di laboratorio teatrale!
Terminata con successo la mia performance, invitai i ragazzi a mettersi in fila e a girare la ruota ognuno di loro per tre volte, esprimendo un desiderio. Evvai. Fu la stura a nuovi schiamazzi in dialetto, spintoni e bestemmie, tra le più fantasiose. «Ignoranti, cafoni e volgari – li apostrofava invano la professoressa – Quest’anno alla maturità esce greco e voi non sapete parlare nemmeno in italiano».
Si disposero dunque in formazione davanti alla ruota per il rito propiziatorio: prima le femmine ridanciane e vezzose e poi i maschi fintamente sprezzanti ma poi alquanto intimiditi. Ultimo della fila, il ragazzo dalla barbetta rossa: truce, scocciato e con un residuo di cono ancora in mano. Girò per tre volte lo strumento di tortura ad una velocità tale da farlo decollare e, fissando per un attimo il viso in cartapesta di Caterina, ingoiò strafottente l’ultimo boccone del suo gelato.
Colsi a volo lo sguardo avvilito e di sconfitta della docente. Ne ricambiai la pena quando la vidi uscire dalla chiesa, preceduta da commenti irripetibili della sua classe. Ricordo, però, di non essermi soffermata troppo perché stava entrando un’altra scolaresca.
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Puntualmente, il 25 novembre dell’anno successivo, in una giornata stranamente tiepida e primaverile, il portoncino della chiesetta di Santa Caterina tornò ad aprirsi ai suoi visitatori. Io ero lì come sempre a ricevere ed informare le persone che volevano vivere l’antica tradizione della ruota.
Stavo raccontando la storia di Caterina ad un gruppo di bambini della scuola elementare che mi ascoltavano a bocca aperta quando vidi entrare una coppia di ragazzi. Si tenevano per mano e si sorridevano. Denti perfetti, capelli lunghi e lisci lei, un’aria da americanina anni ’70. Gran fisico, sguardo limpido, un po’ pallido lui, un bel tipo. Quella barba rossa, però, la riconobbi subito. «Oddio – pensai – ecco il bestemmiatore, fine dell’incanto».
Li seguii con lo sguardo: lui le parlava all’orecchio con dolcezza insospettabile e lei, ad ogni sua parola, si guardava intorno, estasiata. Mi passarono davanti senza vedermi e raggiunsero la ruota posta ai piedi della Santa. Lì, ognuno di loro ripeté il rito per tre volte, con calma e serenità. Prima di andare via, quasi furtivamente, il ragazzo lanciò per terra, tra i fiori e i lumini, un sacchetto di carta bianca e si dileguò in un attimo.
«Butterò via quella cartaccia non appena escono i bambini», mi dissi, e così feci.
Un colpo al cuore, di quelli che non ti dimentichi più, quando capii che la piccola busta non era un rifiuto ma conteneva un cono gelato, appena acquistato nel bar di fronte. Era un dono, un ex voto per grazia ricevuta, da parte di quel ragazzo che ringraziava Caterina per aver trovato l’amore e forse altro. Glielo aveva chiesto l’anno prima, a modo suo. Io non l’avevo capito, mi ero fermata alle apparenze. Non avevo avuto fede.
La più bella e sincera delle offerte rimase insieme alle altre fino a sera. Ormai, però, era ora di chiudere la chiesa, di spegnere le candele e portare via i fiori. Intanto, appoggiato ai piedi di quella donna impagliata con gli occhi sempre aperti, il gelato era rimasto miracolosamente intatto. «Ci vediamo il prossimo anno, Caterina. Ti chiedo perdono per aver creduto che tu fossi morta. Il cono te lo lascio».
Tania Bonnici Castelli nasce a Teramo dove vive e studia fino al conseguimento del diploma di Liceo Classico al “Melchiorre Delfico”. Svolge i suoi studi universitari a Roma presso la scuola superiore di interpretariato presieduta dal professor Carlo Bo dove consegue il titolo di Interprete – Traduttore per le lingue inglese e francese. Nel 1983 crea e dirige la scuola provata si lingue “Queen’s School”. Nel 2005 consegue l’idoneità professionale diventando giornalista professionista. Collaboratrice per i quotidiani Il Tempo e Le Notizie, per il settimanale L’Araldo Abruzzese con una rubrica di politica, una lunga esperienza per Il Messaggero e poi corrispondente per il telegiornale regionale di Rete8. È stata direttore responsabile delle riviste No Profit News, edita dal Centro Servizi Volontariato di Teramo e di Notizie Donna della Commissione Pari Opportunità della Provincia di Teramo. Oggi è responsabile della redazione giornalistica Cooper Tv, conduttrice e autrice di format televisivi prodotti dal Gruppo Consorform in onda sulle emittenti regionali Rete8, Teleponte e Tv6.