A quindici anni dalla scomparsa del grande gallerista Leo Castelli
1999-2014 sono passati quindici anni dalla scomparsa del grande gallerista-mercante e mecenate dell’arte contemporanea Leo Castelli (Trieste, 1907 – New York, 1999).
Ci piace ricordarlo con l’artista Francesco Guadagnuolo che opera tra Roma, Parigi e New York che ebbe modo di conoscerlo.
Per l’occasione indichiamo l’interessante intervista a Leo Castelli apparso nella Rivista mensile ‘Scena-Illustrata’, Anno 124 – N.6 – Giugno 1989, pag. 37/38.
L’ARTE CONTEMPORANEA
INTERVISTA CON LEO CASTELLI
di Lilli Di Benedetto
Nel panorama dell’Arte contemporanea, il gallerista e mercante newyorkese, di origine italiana Leo Castelli, può essere considerato sicuramente uno dei più autorevoli nel campo internazionale.
Il suo merito più grande, oltre ad avere scoperto degli artisti, protagonisti dell’avanguardia americana, è quello di avere saputo individuare e diffondere le tendenze artistiche del momento.
Abbiamo incontrato, con il pittore Francesco Guadagnuolo, Leo Castelli, al quale abbiamo rivolto le seguenti domande:
D. Signor Castelli, hanno detto in molti che Lei ha un fiuto infallibile nello scoprire gli artisti. Come nasce il suo interesse verso un pittore? Sono forse i critici a suggerirle il nome oppure sono gli stessi pittori a contattarla?
R. Sono molti i modi per conoscere un pittore. Non sempre sono i critici a farmeli incontrare, anche se ce ne sono alcuni, amici degli artisti, molto attenti a quello che succede nel mondo dell’arte. A volte sono gli stessi artisti che mi presentano altri artisti. Io mi sono sempre trovato con pittori d’avanguardia come Jasper Johns, Rauschenberg, Lichtenstein. Quando arrivai in America, c’erano scrittori come Rosemberg che erano in stretto contatto con gli artisti. Io stesso facevo parte di quel gruppo. Era inevitabile, vivendo in quell’ambiente, conoscerli tutti. Era facile, quindi, scoprire i veri artisti, ma al giorno d’oggi le cose sono cambiate. Allora esisteva l’importante gruppo degli espressionisti astratti (fra i quali Gorky, Pollock e Rothko), anche se il pubblico ed i musei non l’avevano ancora riconosciuto. Dopo questi pittori, tra i primi dissidenti si fecero strada Rauschenberg, Johns, Lichtenstein e Frank Stella. Ho conosciuto Rauschenberg nel ’51, prima che iniziassi l’attività di gallerista, in occasione di una mostra; Johns l’ho incontrato ad una mostra di gruppo nel ’57. In quegli anni gestivo già la galleria ed andai nel suo studio per conoscere meglio le sue opere: le bandiere, i bersagli, le cifre e le lettere dei suoi quadri mi entusiasmarono a tal punto che organizzai io stesso una mostra. Il successo fu strepitoso: alla chiusura eravamo rimasti con solo due quadri. Lo scopritore, a mio avviso, oltre a dover assolvere il difficile compito di occuparsi dell’artista, deve anche riuscire a trasmettere agli altri l’entusiasmo.
D. Quando ha esposto per la prima volta opere di Johns, Rauschenberg, Lichtenstein, ha dovuto lottare molto per farle apprezzare al pubblico?
R. Per ciascuno di loro l’impatto con il pubblico è stato diverso: Johns, ad esempio, ebbe un successo straordinario. Quello che lui presentava era eccezionale e l’élite dei Musei capì subito il suo originale talento artistico. Rauschenberg, autore della famosa capra impagliata esposta al Museo di Stoccolma, anche se aveva precedentemente tenuto numerose esposizioni, non riscosse invece un grande entusiasmo. Ben più difficile fu per Lichtenstein a causa dei suoi fumetti che non furono apprezzati dal pubblico: soltanto in un secondo momento, quando scelse la tematica dei paesaggi, tutti si convinsero dell’interesse delle sue opere.
D. Lei che si è interessato ai pittori della Pop-Art, ha mai influito sulla produzione del singolo artista dandogli dei consigli?
R. No. Questa è una cosa che nessuno deve fare. Gli artisti fanno quello che vogliono ed anche se ci sono opere che non capisco molto, continuo ad esporle lo stesso.
D. Quando Lei scopre un giovane artista, cosa le interessa di più nella sua opera?
R. Credo che il ruolo più importante sia quello dell’emotività: la prima reazione è quella dell’istinto.
D. Cosa rappresenta per Lei un quadro oggi?
R. Qualsiasi cosa: deve colpire. Dapprima non si sa il perché, ma pian piano si trovano argomenti come, ad esempio, l’originalità o la struttura, oppure un particolare uso dei colori.
D. Quali tendenze ci sono oggi a New York ed in Europa?
R. Le tendenze cambiano continuamente. Ci sono delle correnti che noi incominciamo a scoprire e che si mantengono vive per un certo periodo di tempo e successivamente perdono di importanza lasciando il posto a nuove correnti. Devo dire che il pubblico di New York è molto educato alla cultura artistica anche per il fatto che in questa città sono presenti una dozzina di gallerie ed i Musei d’arte Contemporanea che svolgono un importante ruolo. Negli Stati Uniti l’ambiente è molto aperto ed artisticamente preparato: soprattutto a New York i galleristi, i critici ed i collezionisti sono dei veri professionisti. I collezionisti americani sono molto fieri di mostrare quello che comperano, anzi desiderano che si sappia che hanno comperato quadri di Johns ed altri nomi di valore. A volte fanno delle donazioni ai Musei per avere vantaggi fiscali. In Europa e più precisamente in Spagna, attualmente sta nascendo un gruppo molto interessante. Il movimento artistico di Madrid è straordinario.
D. Quale importanza Lei attribuisce ai critici d’arte, quale dovrebbe essere il loro ruolo?
R. Il ruolo dei critici d’arte dovrebbe essere quello di analizzare e valutare l’opera degli artisti, scrivendone poi sulle riviste e sui giornali. Abbiamo molti critici attenti e preparati, altri che invece scrivono a casaccio ed altri, infine, retrogradi, che non sanno accettare le novità.
D. Per l’ascesa al successo cosa è più importante: il ruolo del gallerista, del mercante o del critico?
R. Direi che la galleria ha il ruolo più importante: il gallerista è in contatto con i Musei ed i collezionisti. Il critico è come l’artista: ci sono pochi grandi critici e pochi grandi artisti.
D. Non le sembra che oggi ci sia una confusione di stili nell’arte?
R. No, non è una confusione. Ci sono numerosi stili, ma se lei li analizza, vedrà che provengono tutti da un’unica fonte, anzi da due fonti principali: l’influenza di Duchamp che è grandissima e, in campo astratto, quella di Mondrian, Malevich, Kandinsky, Clee e Brancusi.
D. Cosa pensa del Neomanierismo?
R. Di chi? Vuole dire Mariani? Credo che l’opera di Mariani sia interessante anche se un pò limitata, un pò troppo vicina a quello che J. Louis David faceva all’inizio della rivoluzione francese. Il riesame comunque è sempre utile se conduce a qualche risultato.
D. Che significato dà alla Transvanguardia?
R. In Italia il gruppo dei transavanguardisti (Cucchi, Chia, Paladino) è già superato.
D. Come vede l’opera di Renato Guttuso. Secondo Lei il figurativo avrà ancora un futuro?
R. L’arte figurativa esiste da sempre. Non citerei soltanto Guttuso come pittore figurativo, ce ne sono molti altri. Bisogna citare Guttuso come Guttuso, non come pittore di immagini. Sono lo spirito ed il contenuto le cose che ci interessano di più. Noi, forse, non l’abbiamo molto apprezzato perché c’era ostilità verso il figurativo che, invece, ora accettiamo. Bisognerebbe riesaminare e capire quello che Guttuso ha fatto nell’insieme e negli sviluppi meno rigidi dell’arte di oggi, dove tutto è possibile. Non so se Guttuso abbia avuto una grande influenza in America come, ad esempio, De Chirico: quest’ultimo è stato considerato un pittore di originalità ed importanza capitali fino al 1917. Dopo non fu più considerato abbastanza rigoroso.
D. Come funzionano le gallerie a New York, sono divise per tendenze o stili?
R. Ogni buona e vera galleria, come la mia, della Sonnabend, ha proprie tendenze. Anzi, ciò di cui mi sono occupato sin dall’inizio, da più di trent’anni, non è soltanto il fatto di scoprire gli artisti, ma di dare risalto alle tendenze.
D. Quali sono le gallerie che Lei stima maggiormente in Italia?
R. A Roma quella di Sperone che conosco bene da molti anni e quella di Sprovieri. A Napoli, Lucio Amelio e Lia Rumma sono molto preparati e seguono da vicino tutto quello che succede in America. Direi che le gallerie più attive sono a Napoli, ad eccezione di quella romana di Sperone.
D. L’arte è sempre stata l’espressione di un secolo. Secondo Lei, oggi, l’arte contemporanea si è avvicinata al nostro secolo, riesce ad esprimerlo veramente?
R. Credo che l’arte sia sempre il riflesso di quello che accade non in ogni secolo, ma in ogni anno. I cambiamenti, oggi, sono infinitamente più rapidi, quindi l’arte riflette molto più rapidamente le cose che avvengono momento per momento. L’arte è spesso responsabile di grandi mutamenti, e ciò possiamo riscontrarlo anche nella moda e nel designer.
(Rivista mensile ‘Scena-Illustrata’, Anno 124 – N.6 – Giugno 1989, pag. 37/38)
FONTE: osservatorioartecont@libero.it