Cultura & Società, In rilievo

CASTELBASSO. C’ERA UNA VOLTA A ROMA | Gli anni Sessanta intorno a piazza del Popolo

ARTE IN CENTRO

Cultura contemporanea nei borghi e nelle città
4 luglio – 28 settembre 2014

 

CASTELBASSO

C’ERA UNA VOLTA A ROMA | Gli anni Sessanta intorno a piazza del Popolo

ALBERTO DI FABIO | Paesaggi della mente

a cura di Laura Cherubini, Eugenio Viola
Palazzo De Sanctis

preview per la stampa e opening su invito: sabato 12 luglio, ore 18.00
apertura al pubblico: 13 luglio – 31 agosto
martedì – domenica | 19.00 – 24.00

 

Forse nessuna epoca ha mai suscitato tanta e tale nostalgia come gli anni Sessanta. E se la nostalgia è un sentimento che riguarda lo spazio prima ancora del tempo, il luogo di questo sentimento non può che essere una città: Roma.
Nei primi anni Sessantaa Roma un nutrito gruppo di giovani artisti, fuoriuscendo dalla stagione breve ma intensa della pittura informale, dopo aver azzerato tutto attraverso il monocromo, dà vita a una cultura dell’immagine che intreccia icone del consumo di massa (nel 1964 sbarcherà alla Biennale di Venezia la Pop Art americana) e citazioni dai movimenti italiani protagonisti del primo Novecento europeo, su tutti il Futurismo e la Metafisica.

Il gruppo eterogeneo, costituito da artisti diversi sia per sensibilità sia per modus operandi, è stato anche definito Scuola di piazza del Popolo perché si ritrovava in quella storica zona di Roma dove c’era il caffè Rosati – luogo di incontro quotidiano per letterati e artisti – ma soprattutto la galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis e inoltre, sempre nella stessa area, la galleria La Salita di Gian Tomaso Liverani. A queste due gallerie e a molte altre si aggiungerà, nella seconda metà della decade, l’Attico di Fabio Sargentini.
A piazza del Popolo e dintorni, oltre all’americano di Roma Cy Twombly (arrivato nel ’52 con Robert Rauschenberg, e poi tornato per restarvi nel ’57), troviamo De Kooning, l’italoamericano Scarpitta (che poi tornerà a New York con Leo Castelli), Mimmo RotellaFabio MauriGiuseppe Uncini e Francesco Lo Savio che con il fratello di quest’ultimo Tano Festa e con Mario Schifano e Franco Angeliespone in una serie di mostre. E ancora Jannis KounellisPino PascaliGiosetta FioroniMario CeroliUmberto BignardiGino MarottaSergio LombardoRenato MamborCesare Tacchi. Ognuno di questi artisti è impegnato in un personale cammino intellettuale, artistico ed esistenziale. Sono seguiti soprattutto dacritici-poeti, come il grande Emilio Villa e Cesare Vivaldi, dalla mitica direttrice della GNAM Palma Bucarelli, dai giovani Maurizio Fagiolo e Vittorio Rubiu.
In quegli stessi anni Piazza del Popolo è punto di ritrovo anche per il gruppo dei poeti Novissimi che spesso si intersecano con gli artisti romani, presentando i nuovi artisti con le loro poesie e viceversa, così come avviene, ad esempio, con il Gruppo ’63 e in particolare conNanni Balestrini.

Gli artisti che gravitano intorno a Piazza del Popolo vivono in osmosi con scrittori, registi e giornalisti, iun universo di cui fanno parte ancheAlberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Albero Arbasino, Goffredo Parise ed Ennio Flaiano.

La Roma di quegli anni restituisce un clima in ebollizione, in cui confluiscono stimoli diversi: teatro, performance, cinema, fotografia, letteratura e poesia, in favore di un plurilinguismo innovatore e di una contaminazione fra discipline diverse. Si sperimentano nuove tecniche, nuovi materiali, nuovi soggetti: nell’arco di un decennio il modo di fare arte cambia radicalmente. Il tratto distintivo degli artisti di Piazza del Popolo risiede nella scelta di rappresentare motivi presi dall’immaginario comune, teso alla creazione di un nuovo codice espressivo che non ha nulla a che fare con la semplice rappresentazione del reale a fini estetici o banalmente provocatori.
Il progetto espositivo prevede una selezione di opere, tra le più rappresentative, degli artisti protagonisti di questa irripetibile temperie culturale, espressione di un decennio per certi versi considerato oggi “mitico”, segnato dalla “dolce vita”, dal boom economico e da una teoria e una pratica destinate ad esercitare una duratura influenza sul presente dell’arte.

Artisti: Franco Angeli, Nanni Balestrini, Umberto Bignardi, Mario Ceroli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Jannis Kounellis, Sergio Lombardo, Francesco Lo Savio, Renato Mambor, Gino Marotta, Fabio Mauri, Pino Pascali, Mimmo Rotella, Salvatore Scarpitta, Mario Schifano, Cesare Tacchi, Cy Twombly, Giuseppe Uncini.

 

Alberto di Fabio torna in Abruzzo con una grande mostra antologica, organizzata dalla Fondazione Menegaz, curata da Laura Cherubini ed Eugenio Viola, nel borgo medievale di CastelbassoPaesaggi della mente diventa, in questo senso, un ritorno a casa dell’artista, conosciuto internazionalmente ma nato ad Avezzano, in provincia dell’Aquila, nel 1966.

Come Giacometti che viveva e creava a Parigi ma tornava nel suo Cantone Svizzero per rivedere le sue valli e montagne che gli suggerivano le linee guida dei suoi lavori, anche Alberto Di Fabio trae ispirazione e concentrazione tornando spesso tra le sue montagne d’Abruzzo, che diventano forme mentali di elevazione e permutazione. Le vette del Velino o del Gran Sasso D’Italia sono per l’artista “antenne collegate al cosmo” che gli permettono, fin da bambino, di percepire mondi e realtà parallele, diventano ai suoi occhi “piramidi di luci divine”, espressione di una trascendenza con cui dialogare, fornendogli l’accesso a una dimensione altra, cui l’artista giunge tramite concentrazione e pura meditazione, per tradurla infine in stimoli visivi, in percezioni sensoriali rievocate nei suoi dipinti enigmatici.

Paesaggi della mente è un titolo che l’artista ha dato, nel corso degli anni, a diverse opere dedicate a tutte le montagne del mondo: dall’Himalaya alle Alpi, agli Appennini abruzzesi. I lavori di questa serie ideale rimandano paesaggi montani, ottenuti con sgocciolature di colore che assumono le sembianze di neuroni e sinapsi che rappresentano l’elevazione e la permutazione dal mondo terreno. La ricerca di Alberto Di Fabio da sempre cortocircuitasuggestioni care alla storia dell’arte e le conquiste scientifiche in uno stile personale e fortemente evocativo. La sua è una pittura che si pone un obiettivo conoscitivo, un più profondo contatto con l’essenza del cosmo, trascinando l’osservatore in un viaggio a ritroso dal visibile all’invisibile, dal macrocosmo al microcosmo, dal microscopico all’invisibile.

Le opere di Alberto Di Fabio sono caratterizzate da forme astratte e quasi biologiche, che emergono da un gioco di velature cromatiche e sottili equilibri geometrici tra i singoli elementi. I suoi apparati neuronali rappresentano forme fisiche ma soprattutto mentali, trasmettono segnali elettromagnetici per connettersi con diverse realtà extra-sensoriali, sinestetiche e meditative caratterizzanti il suo personalissimo approccio al medium pittorico, che trae ispirazione dal cosmo e da tutti gli elementi fisici che compongono il mondo della natura. Le sue forme spesso geometriche vibrano sulle sue tele in colori brillanti e puri, creando contrasti e scale armoniche, variazioni tonali e accostamenti sorprendenti che coinvolgono lo spettatore in visioni cinetiche extrasensoriali. Di Fabio dipinge in acrilico sia su tela sia su carta di riso. Quest’ultime sono poi assemblate in suggestive istallazioni geometriche sospese nello spazio come concatenazioni cellulari.

I suoi lavori da sempre si relazionano alle teorie scientifiche, per una costante ricerca sulle realtà parallele che non si percepiscono a occhio nudo, come la teoria dell’antimateria. In questo contesto, nel 2010 l’artista riceve un premio dall’astrofisico Remo Ruffini all’interno del premio Fondazione Michetti. La scoperta nel 2012 all’interno del progetto ATLAS del bosone di Higgs, detto anche “la particella di Dio” che dà massa alle particelle elementari, costituisce la fonte d’ispirazione dei suoi ultimi lavori.

La mostra Paesaggi della mente raccoglie opere di Alberto Di Fabio dall’inizio degli anni Novanta a oggi, offrendo un panorama aperto sulla ricerca e l’opera dell’artista. Un insieme di lavori che diventa una sorta di canto collettivo, una danza di colori e forme per un profondo ritiro spirituale. “Un insieme di opere allestito per una lezione di fisica quantistica” (Alberto Di Fabio).

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