Il Governo e il Ministro dei Beni culturali Dario Franceschini portino i Bronzi di Riace all’Expo 2015. Non siamo riusciti come Italia a costruire nulla di orgogliosamente e maestosamente contemporaneo per la “World Exposition Milano 2015”, come invece realizzò Parigi quando, per ospitare l’Esposizione Universale del 1889 e per celebrare il centenario della Rivoluzione francese, scompaginò la capitale innalzando sul Louvre, sulla cattedrale di Notre-Dame, sulla Conciergerie, sul Pont Neuf, sul Pantheon, una verticalità di ferro e bulloni di 324 metri, la Torre Eiffel, che nonostante le violente critiche subite all’epoca (per molti era un’ignobile costruzione estetica, un ecomostro, diremmo oggi) è divenuta il simbolo inequivocabile di Parigi e della Francia.
Nuovamente, dunque, come paese Italia, nell’incapacità di saperci rigenerare, dobbiamo ripiegare anche per l’Expo sulla prevedibile celebrazione della nostra classicità: il patrimonio stratificatosi nei secoli ha sì prodotto cattedrali, piazze, palazzi civici, pale d’altare, abbazie di una bellezza e di una densità monumentale impareggiabile, ma è così impareggiabile che non ci vede mai innovatori di questo patrimonio. E così il progetto ideato da Vittorio Sgarbi, ambasciatore della cultura della Regione Lombardia per l’Expo, appoggiato dal presidente lombardo Roberto Maroni, non può che prevedere altro di diverso che una lunga camminata attraverso l’arte gloriosa dei secoli passati che si ammutolisce nel tempo presente: Leonardo, Antonello da Messina, Michelangelo, Caravaggio, Mantegna, Bellini, Raffaello, e ad apertura, i due Bronzi di Riace, o in alternativa, o in concomitanza, se verrà concessa, la Venere di Botticelli degli Uffizi.
A fronte dunque di una sconfitta storica del tempo in cui viviamo (e cioè il non saper far altro che portare all’attenzione del mondo la nostra sovranità artistica del passato), la proposta di traslocare temporaneamente i Bronzi o la Venere del Botticelli all’Expo deve essere fatta sua dal Governo. Perché?
Per una ragione né scientifica né artistica né di sperimentazione allestitiva o museale: ma per una ragione più elementare: con una disoccupazione giovanile al 43,3%, con un altissimo tasso di giovani o adulti che non vedono più serie speranze lavorative nel nostro paese (a gennaio 2013, sono 4 milioni gli italiani emigrati all’estero, Rapporto Fondazione Migrantes), nessuna opera d’arte, per quanto famosa e spostata in mostre o esposizioni, può incidere significativamente sull’emorragia del sistema lavoro italiano; eppure la quantità di turisti e viaggiatori che raggiungeranno la città di Milano nel 2015, in occasione dell’Expo, è stimata in 20-25 milioni di individui, che si aggiungono al traffico vacanziero che ha per tradizione la città (più di 6 milioni di presenze).
Con un paese alla canna del gas come il nostro, come si fa a dire ai milioni di visitatori: volete vedere i Bronzi? Prendete un treno, metteteci dodici ore, molte delle quali in piedi, e arrivate a Reggio. Volete vedere l’Ecce Homo di Antonello da Messina? Ricordatevi che il Collegio Alberoni di Piacenza, che lo ospita, sta chiuso nei mesi estivi di luglio, agosto e settembre, e per il resto dell’anno è aperto solo la domenica dalle 15,30 alle 18. Volete vedere il Raffaello di Lucca? Organizzatevi per bene, perché i treni per Lucca finiscono alle 18 e il museo che lo ospita è chiuso due giorni alla settimana, compresa la domenica. Volete vedere la Maestà di Ambrogio Lorenzetti a Massa Marittima? Il treno non vi arriva facilmente, potete scegliere gli scarsi autobus presenti, ma ricordatevi di correre perché il museo sta aperto dalle 11,30 alle 12,30 e dalle 15 alle 17. Insomma è un disastro.
L’esposizione universale capita una volta al secolo: per il bene, anche economico, dell’Italia, turiamoci il naso se le opere (dai Bronzi al Botticelli) vengono temporaneamente traslocate dai loro luoghi per andare in vacui spazi espositivi e ridotte a feticcio. Preferiamo, per una volta, ridurre le opere a cartolina, ma convincere possibilmente quei milioni di persone che di sfuggita le osservano a Milano, a ritornare, a visitare e, nella speranza migliore, a investire qui nel Paese.
Elisabetta Schiavi