Maria Elefante: La pastiera della passione Un viaggio tra le tradizioni culinarie, e non solo, del napoletano di Luigi Casale
La settimana santa di quest’anno mi ha riservato una gradita sorpresa: la professoressa Maria Elefante, carissima amica, ha invitato anche me a gustare la sua pastiera, il dolce tipico tradizionale della Pasqua napoletana. Per la verità alla ristretta cerchia dei suoi amici era stata già annunciata da Maria l’offerta di questa pastiera, già prevista per la primavera del 2014. Possibilmente in occasione della solennità di Pasqua. Così il 15 aprile di quest’anno, nella sala di rappresentanza della parrocchia della Trinità in via Gino Alfani, a Torre Annunziata, l’Autrice ha potuto offrire ai fedelissimi lettori un assaggio della pastiera. Infatti, l’originale suo racconto, “La pastiera della passione” appena pubblicato (Marcus Edizioni, Napoli 2014), puntualmente, veniva presentato al pubblico (l’assaggio oppure saggio) nella stessa settimana in cui la cristianità commemora la “passione del Signore”.
La pastiera è il dolce tipico napoletano – si sa – conosciuto ormai in tutta la penisola, e oltre, seguendo i flussi del napoletano migrante o sulla scia del traffico del restante turismo nazionale di ritorno. A Napoli: per Natale, cassate e cassatine; sesamelli, mostaccioli e roccocò; raffioli e pasta reale. Tutte cose preparate dalle rinomate pasticcerie del “regno”, insieme ai tradizionali e più modesti struffoli: l’unico preparato in casa. A Pasqua, invece, i casatielli – o rustici (con uova sode o sugna e pepe), oppure dolci – e la pastiera: torte preparate esclusivamente in casa, e in tutte le famiglie. Almeno così era una volta.
Sulla scorta di questi sentimenti e con l’intento di salvaguardare le tradizioni, nel 2013 a Conca dei Marini (costiera amalfitana) era stato istituito il “Premio sfoglia”, un premio letterario a tema, dove la “sfoglia” è l’impasto di farina e uova, tirato col mattarello, la spianata tagliata in vari modi che dà origine ai diversi tipi di pasta casereccia che ancora si produce la domenica nelle famiglie; o anche torte e dolci vari, tra cui spicca la pastiera per antonomasia. Né va trascurare la “sfogliatella”, che della sfoglia esalta addirittura il nome.
E così il primo agosto di quel 2013 la professoressa Maria Elefante, che per amore di cultura e per fedeltà di tradizione popolare aveva voluto partecipare al concorso, riceveva il meritato premio letterario col suo racconto inedito, originale, pertinente, dal titolo La pastiera della passione.
Intanto la polisemia della voce “sfoglia” sfruttata dagli ideatori del premio letterario per accostare i due mondi, quello della panetteria, della pasticceria, e dell’arte bianca in generale (a dimensione familiare), e quello della letteratura, della lettura e della divulgazione, si ripeteva analoga nel titolo del racconto. La pastiera, tipico dolce pasquale della tradizione delle famiglie napoletane, diviene “pastiera della passione”, fondendo le due accezioni più frequenti della parola, la passione di Cristo, emblema della settimana santa, centro e culmine del mistero della salvezza di cui nella Pasqua di risurrezione celebra la memoria il mondo cristiano, e la passione umana, l’altra, fatta di amore, trasporto, e dedizione, indispensabile nelle piccole o grandi cose che costituiscono motivo di impegno e di testimonianza nella vita del popolo, compresa l’arte culinaria e in particolare la lavorazione dei dolci.
Il breve racconto – non più di 20 pagine – è molto ben congegnato: una vicenda essenziale, pochi personaggi, tra protagonista, deuteragonista, e personaggi di contorno in primo piano; sulla sfondo invece la coralità di tutto un popolo che non ignaro delle sofferenze della vita quotidiana, tra riti religiosi e tradizioni di famiglia trascorre la settimana santa, animata, tra l’altro, anche dalla centralità della pastiera, imposta, questa volta, all’attenzione della comunità dalla intelligente intuizione del curato che si inventa un concorso tra tutte le massaie a chi meglio realizza il dolce simbolo della Pasqua.
La piccola comunità di paese, descritta nel racconto, diventa così modello propositivo per la odierna convivenza, tormentata anch’essa da preoccupazioni e paure, assillata da crisi annunciate e da privazioni reali, ma più ancora dissipata da tanta superficialità. Così la solidarietà, l’impegno civico, diventano impegno morale e matrice culturale. La comunità, nonostante le difficoltà, si ritrova unita nel recupero dei valori della tradizione, grazie alla carica vitale di padre Lino e alla risposta entusiastica dei suoi parrocchiani. Il tutto insaporito dall’aroma diffuso e dal gusto soave della pastiera.
La prosa è da maestra, qual è la professoressa Elefante. Limpida e nello stesso tempo brillante. Grazie alla paratassi il testo si mostra la più adatto al racconto orale, come usava una volta nelle piccole comunità del tipo di quella raccontata. Maria Elefante insegna Lingua e letteratura latina al dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Federico II di Napoli.