Il terremoto del 1915 nella Marsica, nel racconto del danese Johannes Jørgensen
5 novembre 2014
Sarà presentata al Pisa Book Festival l’edizione italiana del libro Civita d’Antino, edito da Menabò
di Goffredo Palmerini
L’AQUILA – A un secolo di distanza dal catastrofico terremoto che sconvolse l’Abruzzo, e in particolare Avezzano e la Marsica, l’editore D’Abruzzo-Menabò presenta a Pisa, nell’ambito di Pisa Book, festival dell’editoria indipendente (http://www.pisabookfestival.com), l’edizione in lingua italiana del racconto “Civita d’Antino”, una straordinaria testimonianza di quella tragedia del poeta e scrittore danese Johannes Jørgensen (Svendborg, 6 novembre 1866 – 29 maggio 1956). L’evento è previsto per le ore 13 del 9 novembre 2014, presso la Sala Blu del Palazzo dei Congressi di Pisa, sede del Festival che vedrà presenti 150 editori italiani e stranieri. La presentazione avverrà nel contesto della manifestazione, alla sua XII edizione, che registra un crescente interesse in Italia e che quest’anno riserva alla letteratura dei paesi scandinavi il ruolo di protagonista. Insieme all’editore, parteciperanno alla presentazione del libro Antonio Bini e Bruno Berni, che ha curato la traduzione del testo, grazie anche alla collaborazione dell’Associazione Culturale “Johannes Jørgensen” di Svendborg, città natale dello scrittore.
Quel tragico 13 gennaio 1915 Johannes Jørgensen si trovava in Italia, a Siena. Appresa la notizia del terribile terremoto che devastò tragicamente la Marsica, egli volle immediatamente raggiungere l’area colpita, e in modo particolare Civita d’Antino, per conoscere di persona le conseguenze del sisma nel borgo della Valle Roveto così caro a molti danesi, da oltre trent’anni sede estiva della scuola d’arte del maestro Kristian Zahrtmann. Da Siena arrivò a Roma, poi con un auto presa a noleggio, seguì l’itinerario per Tivoli, Tagliacozzo, Cappelle dei Marsi, Avezzano, Capistrello, Civitella Roveto, la stazione ferroviaria di Morino Civita d’Antino, per poi raggiungere finalmente Civita, erta sul colle, dolorosa tappa finale del suo viaggio in Abruzzo. Quella di Johannes Jørgensen, grande biografo di San Francesco d’Assisi, costituisce un’eccezionale testimonianza, lucida e al tempo stesso intensa e commovente, del dramma vissuto dalle popolazioni della Marsica, della devastazione provocata dal sisma, dei morti e feriti, ma anche della generosa opera di volontari e militari. Drammatica e prolungata la descrizione di Avezzano, interamente distrutta. Scriverà riferendo icasticamente d’aver avuto l’impressione d’essere tornato da un campo di battaglia.
Il suo racconto, pubblicato a Copenaghen nel 1915, aveva in particolare l’obiettivo d’informare i tanti danesi che conoscevano molto bene Civita d’Antino attraverso le tante opere dipinte da decine di artisti, amici o allievi di Zahrtmann. La notorietà del paese abruzzese in Danimarca è d’altra parte implicita nel titolo del racconto. Oltre alle migliaia di vittime, il terremoto segnò la fine d’una straordinaria stagione artistica, poi scivolata lentamente nell’oblio. La nuova edizione è curata da Antonio Bini, come la prima d’altronde, edita nel 2005 e andata subito esaurita, e segna una ripresa d’interesse nei confronti della scuola d’arte danese, frequentata anche da pittori svedesi, norvegesi e finlandesi. Il racconto viene riproposto all’attenzione del pubblico dopo le numerose richieste del volume che era andato ormai esaurito. La nuova edizione è ulteriormente arricchita dal saluto dell’Ambasciatore di Danimarca in Italia, Birger Riis Jørgensen. Un saluto non formale il suo, considerato che è stato il primo rappresentante ufficiale del paese natale di Zahrtmann ad aver visitato Civita d’Antino.
Nella sua nota di saluto inserita nel volume, l’ambasciatore Birger Riis Jørgensen scrive: “Per il pittore danese Kristian Zahrtmann e i suoi tanti allievi e amici artisti nordici, Civita d’Antino ha rappresentato per molti anni un rifugio meraviglioso, dove crescere artisticamente, essere sfidati dalla luce e dai motivi, seguire la vita del paesino nel quotidiano e durante le festività, instaurare amicizie con i cittadini e scoprire una cultura tanto differente da quella dei propri paesi d’origine. Quest’età d’oro è durata per circa 30 anni, lasciando tante tracce sia in Italia che nei paesi nordici. Civita d’Antino vive oggi in dipinti bellissimi che è possibile ritrovare in alcuni musei danesi ma anche in altri paesi. Anche l’Italia conserva tanti ricordi di Zahrtmann e dei suoi colleghi. Il terribile terremoto del 1915 segnò la fine di questa avventura e fu devastante per i migliaia di uomini che ne furono colpiti. Il diciannovesimo secolo aveva già portato eventi dolorosi in Italia e altri ne sarebbero seguiti presto. Molti anni dopo, il terremoto dell’Abruzzo è stato descritto come una delle catastrofi più tragiche della storia italiana.[…] Vale veramente la pena – annota infine l’Ambasciatore – dedicare un po’ di tempo alla lettura di questo racconto dello scrittore Johannes Jørgensen, il quale aveva già scritto una bellissima biografia su Francesco d’Assisi. Il racconto può sembrare quasi un reportage di un giornalista di guerra, con tutto il suo orrore e la sua disperazione. Ma il racconto porta anche il lettore a Civita d’Antino che non tornò mai più ad essere quel luogo d’incontro prezioso per i tanti artisti nordici.”
Ed in effetti Civita d’Antino, per opera del pittore danese Kristian Zahrtmann, era diventata davvero un vero e proprio cenacolo per centinaia di artisti scandinavi. L’artista vi era giunto nel giugno del 1883. Quel paese di montagna, la sua gente semplice e schiva, i ritmi della vita cadenzati dal lavoro nei campi, furono per Zahrtmann una scoperta che gli avrebbe cambiato l’esistenza. Così scrisse, in una lettera del 22 giugno, al suo amico Frederik Hendriksen: “Sono innamorato della montagna e del carattere che dona alla gente che l’abita. Dovresti vedere i giovani lavoratori tornare dai campi. Con le zappe in spalla, canticchiando allegri le loro melodie del Saltarello. Avresti detto con me che in nessun teatro s’era mai sentito un coro più bello. Questo perché tutti cantano di cuore, così che la loro gioia sale dritta nell’aria come una bolla scintillante”. Fatto sta che egli elesse proprio quello sperduto borgo come sua seconda patria, trascorrendovi ogni anno l’estate, fino al 1911. Entrò presto in comunione con quella gente, nella sua semplicità ricca di gentilezza e di valori dal sapore antico. D’ogni cosa che riguardasse la quotidianità di Civita d’Antino, le tradizioni e la religiosità, Zahrtmann rimase intrigato, tanto da amarla fortemente. Un amore certamente ricambiato, copioso di premure e d’affetto dei suoi abitanti, tanto da vedersi tributato, nel 1902, il conferimento della cittadinanza onoraria di Civita.
Non fu un caso isolato il fascino che questo borgo esercitò su Zahrtmann. Uguale folgorazione aveva subìto nel 1877 il pittore danese Enrik Olrik e prima ancora – scrive Antonio Bini in un suo libro – nel 1843 Edward Lear, inglese di nascita ma di genitori danesi, “landscape painter” com’egli si definiva e viaggiatore attento, che pagine superbe avrebbe vergato proprio sull’Abruzzo. Ebbene, proprio Kristian Zahrtmann, di sua iniziativa, fece nascere a Civita d’Antino una vera e propria scuola estiva per artisti scandinavi, che poi prese il suo nome, completamente innovativa nei programmi e nei metodi formativi, in aperta contestazione con le politiche dell’Accademia delle Arti danese. Da quel momento quel borgo della Valle Roveto divenne punto di riferimento per centinaia d’artisti dal nord Europa. “Proprio questo felice isolamento – scrive Antonio Bini – sembra essere stato apprezzato da Zahrtmann, il cui tormentato carattere ritrovava semplicità e vitalità creativa tra le montagne abruzzesi, dedicandosi interamente alla pittura e trasformando il piccolo paese in un laboratorio en plein air, dove si dipingeva dalla prima mattina fino al tramonto, con tanti modelli a disposizione, in un clima di spensierata amicizia e di sorprendente integrazione”.
E tuttavia una vicenda così straordinaria sarebbe stata sepolta dalla polvere dell’oblio, o rimasta nota a pochi spiriti eletti, se l’indomita passione di Antonio Bini, sopra tutto, non l’avesse riportata alla luce. Si deve infatti proprio a Bini la promozione d’una serie d’iniziative per rinverdire la splendida avventura, culturale ed umana, di Kristian Zahrtmann, della sua Scuola a Civita d’Antino, e delle centinaia d’artisti scandinavi che per oltre trent’anni vi passarono, fin quando il terremoto del 13 gennaio 1915 non sconvolse la Marsica, con le sue distruzioni e con le trentamila vittime, determinando anche la fine di quella meravigliosa esperienza artistica.
“[…] La riedizione, condivisa dall’amico Sitg Holsting, presidente dell’Associazione Jørgensen di Svendborg, – scrive Antonio Bini nella prefazione al volume “Civita d’Antino” – è dedicata alla memoria delle persone scomparse tragicamente a seguito del terremoto del 1915, ricordando con gratitudine quanti si adoperarono per soccorrere le popolazioni colpite, manifestando la loro solidarietà in diversi modi, a cominciare dagli stessi Jørgensen, Daniel Hvidt, Zahrtmann e i loro amici danesi, legati a Civita. Il racconto profondamente umano di Johannes Jørgensen segnala ad Avezzano, epicentro del sisma, l’encomiabile presenza dei Vigili del Fuoco di Bologna, che operò a supporto dell’esercito, ma anche di infermieri giunti da Roma in treno, di parroci e di tante persone. Nei paesi intorno ad Avezzano i soccorsi arriveranno più tardi, come nella stessa Civita, dove però lo stesso Jørgensen non mancò di cogliere l’operosità dei sopravvissuti e anche i primi segnali di ripresa, come sottolinea l’ambasciatore di Danimarca in Italia Birger Riis Jørgensen nel suo saluto, che arricchisce la presente edizione. Forme di solidarietà si manifesteranno anche nella successiva fase di ricostruzione, come ricorda, ad esempio, una targa apposta nell’attuale sede comunale di Civita d’Antino, un tempo scuola, edificata grazie alla solidarietà della popolazione di Genova che forse nulla sapeva di quel lontano paese tra le montagne abruzzesi, mentre l’Italia era in guerra”.
Antonio Bini, con la pazienza del ricercatore, ma anche con l’amore di chi fa le cose per pura passione, non s’è fermato ed ha portato, come in questo caso, ulteriori e preziosi contributi alla conoscenza delle singolarità della nostra regione. Egli meglio di chiunque altro sa che l’immagine dell’Abruzzo, il suo appeal all’estero, affonda le radici certo sulle bellezze naturali, sulla storia millenaria della sua gente, sul grande patrimonio artistico e architettonico delle città d’arte e degli splendidi borghi, sulla qualità della cucina abruzzese e dei prodotti tipici di questa terra. Ma anche sa bene che nel mondo il successo turistico della regione poggia anche su storie come questa dei pittori scandinavi, dalla quale ebbe origine anche il racconto di Johannes Jørgensen. Aspetti e singolarità che destano forte interesse e curiosità, che la migliore stampa internazionale non manca di cogliere.