Signor Prefetto, autorità civili, politiche e religiose, associazioni degli ex combattenti, studenti, concittadini, in questo 2014 la ricorrenza del 4 Novembre, nella quale onoriamo i caduti in guerra, celebriamo l’unità nazionale e festeggiamo le forze armate, coincide con un anniversario speciale: i cento anni dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Un anniversario che rimanda al coinvolgimento del nostro Paese – che come noto sarebbe avvenuto un anno più tardi – e inevitabilmente a quello della nostra città, della nostra terra. Fu una guerra terribile, che causò milioni di vittime e di feriti e che lasciò uno strascico inenarrabile di dolore, povertà, miserie economiche e sociali.
Quella odierna, è l’occasione propizia per provare a tornare al clima di quei tempi. Ritengo che sia prezioso, in questo senso, riproporre a tutti voi, non senza emozione, il saluto che il Sindaco dell’epoca, Luigi Paris, rivolse al reggimento che muoveva da Teramo per raggiungere il fronte. Era il 29 maggio del 2015, queste le sue parole:
“Comandante! Artiglieri! In quest’ora di distacco, che ci auguriamo sarà di breve durata, la città, per mio mezzo, torna ad esprimervi tutta la sua simpatia e il suo affetto. Il vostro gruppo è stato formato, è nato, si può dire, tra noi e questa città vi considera come suoi prediletti figlioli, e non può separarsi da voi (…) senza commozione. Ma non un momento di debolezza, non una furtiva lacrima. Noi ci sentiamo orgogliosi di voi e (…) vi avviamo sui campi dell’onore e della gloria con il presagio che con il vostro eroismo renderete più onorata questa regione, e tornerete ad essa (…) circondati del lauro (…)”.
Quante suggestioni, quante riflessioni, suscitano tali parole. Anche perché le cronache dell’epoca racontano di una città partecipe come non mai.
Leggiamo ancora “Al grido del Sindaco fece un coro imponente tutto il popolo (…). Poi il Reggimento si mosse e mentre traversava il corso da Porta San Giorgio a Porta Reale (l’attuale Porta Madonna delle Grazie), una vera fiumana di popolo lo circondava e quasi si mescolava con esso: da tutte le finestre piovevano fiori e fiori e fiori, e applausi. Il valoroso tenente Colonnello Giampietro, che cavalcava alla testa del Reggimento, raccoglieva fiori e saluti, e ricambiava saluti e sorrisi. Tutti i bravi giovani avevano sereni visi di gioia, mentre l’augurio di tutto un popolo si effondeva verso di loro”.
Ecco allora che a leggere oggi quelle cronache, emerge come la partecipazione, l’unità, il rispetto per le Forze Armate, contraddistinguevano i sentimenti di tutti, sentimenti che la guerra avrebbe esaltato e che – purtroppo – le innumerevoli perdite avrebbero onorato.
Perché ricordare tutto ciò? Perchè qualcosa di quelle atmosfere e di quei sentimenti ancora permane e perché molto di quelle atmosfere e di quei sentimenti corrono il rischio di scomparire. Non sembri contraddittorio quel che dico.
L’Italia (e anche la nostra realtà territoriale) è nel vivo di una situazione nella quale ogni aspetto della vita civile sembra scosso nel profondo, e molte implicazioni che coinvolgono la società sembrano attraversate da tensioni crescenti. Le difficoltà di categorie sociali come gli anziani, i senza lavoro, i disabili, le famiglie si fanno più forti, in un clima nel quale forze ostili sembrano alimentare il disprezzo verso le istituzioni, l’indifferenza nei confronti di chi non è in linea con le tendenze più accreditate. Il senso civico ne esce sconvolto, così come squassati sono sentimenti come la solidarietà, il rispetto dell’altro, la condivisione.
Non dobbiamo però lasciarci andare alla sfiducia ma dobbiamo sentirci animati dalla speranza, dobbiamo credere in noi, in questo straordinario e bellissimo Paese.
D’altronde è proprio la nostra storia che ce lo insegna e in un certo senso ce lo chiede.
Dalle parole che abbiamo ascoltato, emerge con impeto e forza travolgenti il sentimento dell’Unita’ dell’Italia. Declinato all’oggi, tutto ciò si traduce nel recupero e poi nella tutela di un patrimonio immateriale e materiale che sostanzia la nostra identità; parlo della cultura, della storia, delle tradizioni, del sentire diffuso e condiviso: tutti valori che hanno modellato il nostro popolo e che sono diventati un patrimonio comune, che proprio la celebrazione odierna ci invita a non disperdere.
Bisogna dire questo con convinzione e senza tentennamenti, perché il rischio e’ quello della disaffezione, del disfacimento, della disgregazione. Oggi voglio sottolineare quanto siano fondamentali, necessarie, basilari invece le istituzioni di un Paese, quanto il segno fisico della sua Unità – le istituzioni, appunto – abbia bisogno di rispetto, riconoscimento, cura.
Non à un caso, perciò se quella odierna è anche la Giornata delle Forze Armate. Un esempio, per questo Paese. Vogliamo ringraziarle per il loro operato. Anche qui balenano forze oscure che vorrebbero assegnare ad esse – nelle diverse articolazioni in cui si moltiplicano – connotazioni che invece non corrispondono al vero. Esse sono un baluardo della democrazia, esse ne sono il fulcro, ne sono garanti. A loro vada un ringraziamento istituzionale, cioè formale e sostanziale, collettivo e condiviso, solenne e austero.
Anche esse disegnano la nostra identità, quella che ci fa “popolo”, e che in nome dei suoi baluardi continua a camminare senza negarsi difficoltà, rallentamenti, ostacoli ma anche senza nascondersi i progressi, lungo un percorso nel quale vogliamo continuare a procedere.
Per tutte queste ragioni, oggi non celebriamo qualcosa di lontano dal sentire comune. Siamo qui, solennemente, per sottolineare il valore e l’importanza di tali principi fondanti del nostro Paese. Facciamo sì allora, che questa celebrazione, anche nel ricordo dei sacrifici causati dalle Guerre, possa riproporre l’importanza del nostro cammino unitario e il valore di una democrazia compiuta, matura, vera.
Viva l’Italia, Viva le Forze armate.