Abruzzo

WWF: 12 novembre Conferenza di Servizi sulla Centrale di Sulmona. Rischio concreto per l’Abruzzo

 

 

Siamo a pochi giorni dalla conferenza di servizi presso il Ministero dello Sviluppo Economico sulla centrale di compressione e spinta, prevista a Sulmona, con tre turbocompressori della potenza complessiva di 33 Mw (99 Mw di potenza termica): un vero e proprio ecomostro che occuperà una superficie di circa 12 ettari.

Nonostante la forte opposizione a livello locale, ribadita anche recentemente dalla Regione, la Snam Rete Gas ed il Governo nazionale sono intenzionati ad andare avanti.

L’opera fa parte di un gasdotto che percorrerà l’Appennino centrale, interessando altre 9 regioni oltre l’Abruzzo. 687 km da Brindisi a Minerbio (BO) lungo territori di grandissimo valore naturalistico.

Un impatto enorme su ambienti e zone archeologiche che si accompagna ad un elevato rischio sismico dato che l’opera complessiva, come la stessa centrale di Sulmona, intercetta numerose faglie nei territori di Abruzzo ed Umbria già interessati dai terremoti del 2009 e del 1997.

 

“Come sempre quello che colpisce maggiormente è che si progettino opere di questo tipo senza tenere conto del territorio su cui si interviene né della volontà dei cittadini”, dichiara Luciano Di Tizio, delegato WWF Abruzzo. “Come è possibile arrivare a pianificare opere che vedono la totale opposizione delle popolazioni locali, degli Enti comunali e del Governo regionale interessato? In Italia ormai è in atto una politica che tende a superare qualsiasi confronto con il territorio, semplicemente imponendo le scelte fatte il più delle volte neppure dal governo nazionale, ma dal proponente delle opere stesse. L’opera in questione attraversa decine di aree naturali protette, siti di interesse comunitario e zone di protezione speciale istituite perché ospitano habitat e specie protette dall’Italia e dall’Unione Europea. Come può essere compatibile tutto questo? È evidente che si progetta senza alcun rispetto dei luoghi come se costruire concretamente un gasdotto equivalga a tracciare una riga su una cartina”.

 

Il WWF auspica che la Regione sappia mantenere una posizione ferma nei confronti della Snam Rete Gas e del Governo nazionale nella prossima conferenza di servizi, difendendo le ragioni del territorio e di chi lo vive.

 

 

 

 

 

più altamente sismici dell’intera penisola correndo in parallelo o intersecando numerose faglie sismiche ed intercettando le località a più elevato rischio come tutti i centri dell’Aquilano (la sola provincia dell’Aquila ne è interessata per 103 Km.) colpiti dal disastroso sisma del 6 aprile 2009 e quelli dell’Umbria e delle Marche colpiti dal terremoto del 1997

Nessun preventivo confronto sulla localizzazione

 

, insiste su una zona sismica di 1° grado: infatti, il sito scelto per l’impianto di compressione, è nei pressi della faglia attiva del Monte Morrone.Il gasdotto Brindisi  – Minerbio (BO) di 687 Km. con centrale di compressione  e spinta da ubicare nel Comune di Sulmona, è un’opera progettata dalla nel 2004 . Esso interessa 10 Regioni (Puglia, Basilicata, Campania, Molise, Abruzzo, Lazio, Umbria, Marche, Toscana, Emilia-Romagna) e si compone dei seguenti lotti funzionali:

Massafra – Biccari di 194,7 Km.;

Biccari – Campochiaro di 70,6 Km.;

Sulmona – Foligno di 167,7 Km.;

Foligno – Sestino di 113,8 Km.;

Sestino – Minerbio di 142,6 Km.

Il condotto è di 1200 mm. di diametro, interrato a 5 mt. di profondità con una servitù di pertinenza di 40 mt. (20 per lato).

La denominazione scelta dalla Snam Rete Gas, società proponente dell’opera, è quella di “Rete Adriatica”, ed in effetti il metanodotto era stato concepito come raddoppio della infrastruttura di trasporto già esistente lungo il versante adriatico del territorio nazionale, ma sorprendentemente, all’altezza di Biccari (FG), è stato deviato all’interno per snodarsi lungo le depressioni dell’Appennino centrale, uno dei territori più altamente sismici dell’intera penisola correndo in parallelo o intersecando numerose faglie sismiche ed intercettando le località a più elevato rischio come tutti i centri dell’Aquilano (la sola provincia dell’Aquila ne è interessata per 103 Km.) colpiti dal disastroso sisma del 6 aprile 2009 e quelli dell’Umbria e delle Marche colpiti dal terremoto del 1997. Le motivazioni addotte per questo cambio di tracciato, sono presunte e non dimostrate criticità di natura geologica, ambientale ed urbanistica che avrebbero impedito di proseguire lungo il versante adriatico. In realtà la scelta di dirottare il metanodotto sull’asse appenninico è dettata essenzialmente da ragioni politiche ed economiche: con lo spostamento all’interno della penisola, la Snam otterrebbe una non trascurabile riduzione dei costi di realizzazione sia perché utilizza un pezzo del “Transmed”, il Campochiaro-Sulmona già costruito, e sia perché le spese per le servitù di passaggio sono più basse rispetto alla costa.

La Snam risparmia, ma scarica sulla collettività enormi costi ambientali, economici, sociali ed umani.

Tra le criticità dell’attuale percorso del progetto, quello relativo al rischio sismico è uno degli aspetti più macroscopici: la mappa della pericolosità sismica del territorio nazionale mette in evidenza, attraverso l’intensità della colorazione viola, le aree che sono a più elevato rischio dell’intera penisola e sono le stesse aree che, secondo la Snam, dovrebbero essere attraversate dal mega – gasdotto Brindisi – Minerbio.

L’8 maggio 2011 si è tenuto all’Aquila il  Convegno nazionale “Gasdotto Rete Adriatica Brindisi – Sulmona – L’Aquila –Foligno – Minerbio: perché sulla dorsale appenninica?”.

Nell’occasione, il sismologo dell’Università di Chieti, Prof. Alberto Pizzi ha evidenziato la pericolosità dell’opera per la “presenza delle faglie attive nell’area  della dorsale appenninica interessata dal progetto del gasdotto che attraversa proprio la zona dove si verificano le massime accelerazioni al suolo.

I sismologi pongono l’attenzione sulla faglia stessa, “dormiente” da oltre 1900 anni e  sulla particolare origine geologica della Conca Peligna caratterizzata da depositi alluvionali, come la piana dell’Aquila che, in caso di terremoto,    amplifica    notevolmente   gli   effetti dell’onda sismica a causa del fenomeno

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dell’accelerazione. Per meglio comprendere perché riteniamo che sia del tutto irrazionale localizzare una infrastruttura, potenzialmente molto pericolosa, come quella in oggetto in una zona così altamente sismica, riportiamo la dichiarazione del Prof.  Warner Marzocchi, sismologo dell’Ingv, nel convegno sulla sismicità nella Valle Peligna  promosso dall’Associazione Progetto M6.5 e tenutosi a Sulmona il 6 novembre 2010 per diffondere  la cultura della prevenzione

sismica: “Nei prossimi dieci anni potrebbe esserci in città un terremoto di magnitudo 5.5 o superiore (6.7). L’eventualità si attesta su una probabilità del 15%, che scende al 5 per i futuri 5 anni”.

Ci chiediamo: cosa potrebbe accadere se il gasdotto e la centrale saranno realizzati ? Come si può affermare con assoluta certezza che non sarà messa a repentaglio l’incolumità dei cittadini se la cronaca ci riferisce di episodi di esplosioni di gasdotti di diametro inferiore a quello che si intende realizzare, anche per un semplice smottamento di terreno, come è accaduto a Tarsia, in Calabria, l’11 febbraio 2011 o nella bassa molisana nella periferia di Montecilfone il 15 gennaio 2004 per una frana o a Tresana per lavori di manutenzione il 18 gennaio 2012 ed a Sciara (PA) il 20 luglio 2013, forse a causa della condotta danneggiata?

In merito ai costi ambientali, appare evidente quanto devastante e, quindi, sconsiderata sia la scelta di un tracciato che coincide con il progetto “A.P.E.” (Appennino Parco d’Europa), il più importante progetto di sistema avviato nel nostro Paese, finalizzato alla conservazione della natura e allo sviluppo eco-sostenibile con l’ambizione strategica della valorizzazione delle risorse naturali e culturali.  Ed a tal proposito induce ad una profonda riflessione quanto sostiene il servizio programmazione Forestale-Faunistico-Venatorio della Regione Umbria: “tutto il tracciato dell’opera ricade nel cuore dell’intera dorsale appenninica, un complesso sistema geografico ed ecologico ritenuto strategico per la conservazione e il ripristino della biodiversità animale della Penisola italiana la cui importanza è sancita a livello europeo. L’opera porterà ad una sottrazione d’habitat naturale valutabile, con approssimazione di ampio difetto, in non meno di 750 ettari. Tale sottrazione deve essere considerata in molti casi permanente, sia in riferimento alla totale trasformazione e alterazione nella fase di cantiere sia per l’impossibilità di effettuare un ripristino eco-sistemico delle condizioni precedenti, a causa della complessità, fragilità ed inerzia del paesaggio calcareo e marnoso arenaceo dell’area attraversata. Nel migliore dei casi infatti, nel corso di lunghi decenni, se non di secoli, si potrà ottenere la rinaturazione del sito”.

Il tracciato del gasdotto “Rete Adriatica” interessa – direttamente o indirettamente – numerose aree naturali protette così come definite dalla legge n. 394/1991 e successive modifiche ed integrazioni e in particolare:

Parchi nazionali della Majella, dei Monti Sibillini, del Gran Sasso – Monti della Laga; Parco naturale  regionale  del Velino – Sirente;   siti di importanza comunitaria  – S.I.C.  e/o  zone  di

protezione speciale – Z.P.S. “Area delle Gravine” (codice IT913007), “Valle Ofanto-Lago di Capaciotti” (codice IT9120011), “Valle del Cervaro-Bosco dell’Incoronata” (codice IT9110032), “Sorgenti ed Alta Valle del fiume Fortore” codice IT8020010), “Bosco di Castelvetere in Valfortore” (codice IT802006), “Bosco di Castelpagano” (codice IT2020005), “Sella di Vinchiatauro” (codice IT222296), “La Gallinola-Monte Miletto- Monti del Matese” (codice IT222287), “Majella” (codice IT7140203), “Majella sud-ovest” (codice IT7110204), “Monte Genzana” (codice IT7110100), “Parco nazionale della Majella” (Z.P.S., codice IT7140129), “Velino – Sirente” (codice IT1100130),“Fiume Topino” (codice IT5210024), “Boschi bacino di Gubbio” (codice IT5210010), “Boschi di Pietralunga” (codice

IT5210004), “Valli e ripristini ambientali di Argenta, Medicina e Molinella” (codice IT4050022), “Valli di Medicina e Molinella” (codice IT4050017), “Biotopi e ripristini ambientali di Budrio e Minerbio” (codice IT4050023), “Valle Benni” (codice IT4050006).

 

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Molto consistenti sono le superfici, interessate dal gasdotto, coperte da boschi e foreste, oasi faunistiche, aree sottoposte a vincolo idrogeologico o gravate da usi civici .

A proposito dei boschi situati nei SIC nei pressi di Pietralunga la stessa SNAM afferma candidamente di voler andare ad operare in un sito così descritto nei propri elaborati progettuali:

“L’area contiene uno degli ultimi lembi di bosco planiziale acidofilo dell’Umbria e, più in generale, dell’Italia centrale. Questa cenosi forestale, assieme alle fitocenosi ad essa legate dinamicamente (brughiere a Calluna vulgaris e stagni temporanei del Cicendietum filiformis), costituisce un importante esempio del Quercion roboripetrae, tipica del centro Europa, e qui al limite meridionale della distribuzione, e pertanto, di grande valore fitogeografico”.

Il progetto del metanodotto prevede l’attraversamento di numerosi fossi, torrenti e fiumi. L’importanza ecologica dei corsi d’acqua, per il ruolo che essi svolgono nel mantenimento della connettività ecologica e quali siti di rifugio, migrazione, alimentazione e riproduzione è stato più volte ribadito dai Servizi Tecnici della Regione Umbria i quali hanno sottolineato come “le modificazioni dell’alveo e delle sponde in seguito al loro attraversamento risultano negative e permanenti”;  basti pensare che nel solo tratto “Foligno-Sestino” verranno attraversati una trentina fra fiumi,  fossi e  torrenti,  mentre nel tratto “Sestino-Minerbio” il Savio, prospiciente il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, verrà attraversato 22 volte:  si possono  immaginare le dimensioni del taglio e dello sterro per far transitare un tubo delle dimensioni di metri 1,20 di diametro, il che provocherà la quasi certa estinzione delle popolazioni locali a carattere residuo di lontra (Prof. Berardino Ragni, Docente Università di Perugia) e di relitti glaciali come lo scazzone (piccolo pesce delle acque fredde molto localizzato in alcuni corsi d’acqua montani).

Buona parte dei terreni attraversati dal metanodotto sono sottoposti a vincolo idrogeologico; pertanto il rischio di alterare la falda idrica è molto elevato:  ciò potrebbe portare alla scomparsa di diverse sorgenti e comunque alla riduzione, anche notevole, dell’affioramento nelle zone umide, cui verrebbe a mancare l’apporto della circolazione sotterranea dell’acqua.

Il metanodotto e la centrale produrranno anche un danno economico notevole ai territori interessati, in special modo all’agricoltura di qualità, come uliveti, vigneti, frutteti, l’aglio rosso, coltivazione tipica ed esclusiva della Valle Peligna,  e la produzione del tartufo bianco, pregiato nel pesarese.

E’ davvero incredibile che territori già in forte sofferenza sul piano economico e che cercano un rilancio puntando sulla valorizzazione anche a fini turistici delle risorse ambientali, anziché essere sostenuti dallo Stato, siano  costretti a subire scelte del tutto irrazionali che ne provocheranno un ulteriore impoverimento.

Altrettanto degna di nota è la considerazione che, allo scempio ambientale, si associa  la compromissione di aree e siti archeologici di notevole importanza: quale ad esempio, il sito scelto

per l’ubicazione della centrale di compressione a Sulmona (Case Pente, il cui ambito è considerato  dalla Sovrintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo “un complesso archeologico tra i più importanti ed inediti dell’area peligna”); o l’Abbazia Celestiniana di S.Spirito al Morrone, imponente realizzazione architettonica di notevole valore monumentale fondata nel XIII secolo da Celestino V, dove l’interferenza del metanodotto sarebbe così pesante da provocare danni anche alle antiche opere di canalizzazione realizzate nel medioevo dai Celestini, i quali bonificarono la zona non a caso denominata “Paludi”.

Tutte le maggiori località dell’Aquilano interessate al tracciato, sono aree di interesse storico ed archeologico: da Navelli a Poggio Picenze, Cagnano Amiterno, San Demetrio né Vestini, Paganica. L’area di Valleverde, coinvolta dal tracciato, è una zona di particolare pregio ambientale e paesaggistico  e collega Paganica a Camarda , accesso quasi obbligato al Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga dal versante aquilano. Tale vallata, risulta tutelata  dal piano paesistico regionale anche per la presenza del Santuario della Madonna d’Appari, edificio religioso

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di età tardo medievale incastonato nella roccia e impreziosito da affreschi di età cinquecentesca, vero e proprio volano per la locale economia legata al turismo religioso. Altra località di particolare

pregio ambientale è quella di Montereale, dove il metanodotto Sulmona – Foligno  passa lungo l’Alta Valle del Fiume Aterno ed  entra nel territorio attraversando l’area forestale del demanio civico denominato Patrignone, coperto per lo più da vaste aree forestali di altissimo pregio naturalistico per tipologie di habitat e per le numerose specie animali e vegetali protette

presenti, come specificato nella nota del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali – Corpo Forestale dello Stato  – Comando Provinciale di L’Aquila,  prot. 3566 del 25.02.2011 . Il passaggio dell’opera produrrebbe a tale inestimabile ricchezza un danno irreparabile.

In particolare verrebbero arrecati danni consistenti ai castagneti secolari in prossimità di Ville di Fano e alla foresta vetusta e d’alto fusto di Patrignone; alle fungaie di Patrignone, risorsa ingente con tonnellate di produzione di Boletus aereus, B. aedulis, B. reticolatus    ed in prossimità di Colloncia, al sito archeologico del castello Carolingio detto “Le Casarine”,  compromettendo in questo  modo non solo l’economia agricola, ma anche il patrimonio storico e culturale.

L’opera produrrà un impatto fortemente negativo sul paesaggio dell’intero Appennino, bene comune tutelato dalla Costituzione Italiana (Art.9), nonché da leggi specifiche.

La tutela del paesaggio trova condivisione tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa, in quanto esso svolge importanti funzioni di interesse generale sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale.

Ed è proprio per questo che il 20 Ottobre 2000 gli Stati europei hanno sottoscritto una apposita convenzione denominata “Convenzione Europea del Paesaggio” e ratificata dall’Italia con L. n. 14/2006.

La Convenzione si prefigge l’obiettivo di promuovere la salvaguardia, la gestione e la pianificazione del paesaggio, in quanto componente essenziale della vita delle popolazioni, espressione dell’identità collettiva e patrimonio culturale e naturale.

Anche il Consiglio di Stato si è pronunciato in tema di paesaggio: il supremo Organo di giustizia amministrativa italiana ha ribadito (Cons. Stato, Sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2222) che il paesaggio – nel nostro Ordinamento – è bene primario e assoluto. La tutela del paesaggio è quindi prevalente su qualsiasi altro interesse giuridicamente rilevante, sia di carattere pubblico che privato.

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