Roma. MINORI. L’ATTACCAMENTO È DI TUTTI COME IL RESPIRO, È ISTINTIVO

65% SONO SICURI, 35% INSICURI DI CUI 10% AMBIVALENTI

Non c’è scelta. L’attaccamento è come il respiro e si sviluppa sempre per rispondere a un bisogno di protezione e sicurezza. “Nessuno di noi può smettere di bere o respirare, anche se siamo in un ambiente inquinato e le conseguenze saranno dannose . Fa parte del nostro comportamento istintivo”. Lo chiarisce subito David Oppenheim, ex presidente del dipartimento di Psicologia e membro senior del ‘Center for the study of child development’ dell’Università di Haifa, all’apertura della due giorni di studio dell’IdO a Roma su ‘Attaccamento e autismo: l’importanza dell’insightfullness genitoriale’.
“Sebbene tutti i bambini si attacchino ai genitori, questi ultimi sono diversi gli uni dagli altri- prosegue il professore- e bisogna dunque osservare le strategie adattive che i piccoli mettono in atto nella relazione: se, ad esempio, percepiscono il caregiver come distante, potranno mostrarsi autonomi, o cercare di attirare continuamente la sua attenzione lamentandosi e piangendo”.
DIFFERENZA TRA COMPORTAMENTO E RELAZIONE DI ATTACCAMENTO – Il comportamento di attaccamento è ogni atto che avvicina il bambino alla madre: un abbraccio, lo stare accanto. Emerge in una condizioni di disagio del minore, quando si sente insicuro e stressato. La relazione di attaccamento indica invece la dimensione qualità.
IL 65% DEI MINORI HA UN ATTACCAMENTO SICURO, IL 35% INSICURO – Assodato che tutti i bambini sviluppano un attaccamento, bisogna capire se esso sarà sicuro o insicuro. “Il primo vede i minori usare la prossimità dei genitori per sentirsi protetti- spiega Oppenheim- mentre il secondo riguarda la soluzione adattiva che il piccolo adotta per stare vicino a un genitore che si mostra meno sensibile ai suoi bisogni”. I due terzi dei bambini, “il 65%, sviluppano un attaccamento sicuro. Il 35% sono gli insicuri- precisa lo studioso israeliano- e si suddividono in evitanti, ansiosi e disorganizzati. Tra gli insicuri ci sono anche i bambini ambivalenti, che corrispondono al 10-15%. Sono ambivalenti perché possono attuare comportamenti di rabbia nonostante cerchino una vicinanza al genitore”.
L’attaccamento insicuro non indica “psicopatologia- avverte il docente universitario- è una strategia adattiva. Una madre può sviluppare un figlio con attaccamento sicuro e uno con attaccamento insicuro”.
IL CIRCOLO DELLA SICUREZZA – Il caregiver “deve servire da base sicura da cui il bambino si può separare per esplorare il mondo. È un rifugio in cui rintanarsi per ricevere protezione. Si chiama ‘circolo della sicurezza’- aggiunge l’ex presidente del dipartimento di Psicologia dell’Università di Haifa- all’interno del quale il minore si allontana dal genitore per esplorare il mondo e vi fa poi ritorno nella ricerca di aiuto. Il comportamento problematico emerge quando non c’è equilibrio tra la fase del rifugio sicuro e quella dell’esplorazione- sottolinea l’esperto- quando il bambino si attarda tra le due dimensioni senza mostrare flessibilità”.
Il modello sicuro indica quindi un bambino in equilibrio tra le due fasi. Al contrario i minori insicuri “mostrano uno squilibrio: per gli evitanti è difficile tornare alla base sicura e restano nella fase della ricerca. Quelli ambivalenti hanno invece difficoltà nella fase di esplorazione e restano in quella di conforto”. I disorganizzati, infine, “non hanno un’organizzazione definita dei comportamenti. Le loro strategie di adattamento appaiono congelate (freezing)- rimarca Oppenheim- e i movimenti sono rallentati e confusi”.
CIRCA IL10% DELLA POPOLAZIONE NORMALE È DISORGANIZZATA – “Circa il 10-15% della popolazione normale attua questi comportamenti disorganizzati- rivela lo studioso- e in un gruppo di bambini maltrattati, analizzati, la percentuale è salita fino all’85%”. La stessa difficoltà è emersa “nei figli di madri con vissuti traumatici e irrisolti”. Secondo Oppenheim l’attaccamento disorganizzato è uno dei “pattern più problematici tra quelli insicuri (ansioso e ambivalente). Un gruppo di studiosi di Boston ha approfondito tali comportamenti, rivelando che in adolescenza possono portare all’emersione di sintomi psicopatologici (in termini di rischio eventuale)”.
L’ATTACCAMENTO CAMBIA NEL TEMPO – L’attaccamento è flessibile e può cambiare nel tempo, “non riguarda solo l’infanzia e la fanciullezza ma ci accompagna in tutto il percorso della nostra vita. Bowlby infatti sostiene che il mondo interno dei bambini si basa sulle interazioni con i caregiver, e che gli attaccamenti in età precoce sono la base dello sviluppo di quelli successivi”.
COME SI FA A SAPERE COSA HA IN TESTA UN BAMBINO – “Attraverso degli aggiustamenti continui- ripete lo psicologo- in una sorta di comprensione empatica del caregiver (l’insightfulness), capace di promuovere nel bambino un attaccamento sicuro, perché coglie i suoi segnali”.
COME SI VALUTA L’ATTACCAMENTO NEI BAMBINI – Si utilizza la ‘Strange situation procedure’ (Ssp) per valutare il comportamento del bambino dai 12 ai 18 mesi. Dura 20 minuti e vede interagire in una stanza la madre, il piccolo e una persona estranea, che entra “in scena” dopo pochi minuti e cerca di giocare con il minore. La madre e la persona estranea si alternano nella stanza.
“La Ssp introduce elementi di stress per osservare come il bambino si bilancia tra la fase esplorativa e la ricerca di sicurezza. La relazione di attaccamento- sottolinea Oppenheim- si nota dal modo in cui il bambino reagisce all’uscita della madre dalla stanza. I bambini con attaccamento sicuro si riconnettono al loro caregiver quando rientra nella camera, e una volta calmi tornano alla fase dell’esplorazione, ovvero al gioco. L’ambivalence invece rimane arrabbiato”.
CHI NON SVILUPPA ATTACCAMENTO – “Non riescono a sviluppare attaccamento solo quei bambini che non hanno una figura di riferimento unica, ma più figure che vanno e vengono e a cui non riescono ad attaccarsi. In genere però- conclude lo studioso- anche i bambini con genitori abusanti si attaccano”.

MINORI. GENITORI CON INSIGHTFULNESS GUARDANO OLTRE PATOLOGIA

OPPENHEIM: “MAMME SENZA QUESTA CAPACITÀ SPESSO CON FIGLI AMBIVALENTI”

Guardare e sentire le cose dal punto di vista del bambino. Definisce cosi “l’insightfulness genitoriale” David Oppenheim, membro senior del ‘Center for the study of child development’ dell’Università di Haifa, al convegno dell’ Istituto di Ortofonologia. Una capacità che hanno alcuni genitori e che riguarda tutti i bambini, normodotati o meno.
“È difficile mantenere il punto di vista del minore- aggiunge il professore- e attraverso l’insightfulness si riesce a leggerlo non solo dalla prospettiva della diagnosi e della patologia”.
La base di un attaccamento sicuro, secondo lo studioso israeliano, si basa proprio sulla “osservazione del comportamento del bambino, sulla comprensione delle sue ragioni e sull’accettazione”.
COSA DEVONO FARE I GENITORI? – “I genitori devono mantenersi in apertura rispetto alle informazioni che ricevono dal figlio, accogliendole senza avere un atteggiamento pregiudizievole. Un’apertura- chiarisce Oppenheim- quale flessibile scambio con le nuove informazioni che arrivano dal bambino”.
COME SI COGLIE QUELLO CHE PASSA NELLA MENTE DEI GENITORI? – Per capire ciò che passa nella mente dei genitori lo studioso li intervista, utilizzando un video e un questionario. “Chiediamo ai padri di descrivere i figli in maniera positiva. L’apertura dei genitori si mostra nella loro capacità di accoglimento delle proposte del bambino, anche se non corrispondono alle aspettative che hanno. Loro devono accettarlo nella sua separatezza”.
MAMME SENZA INSIGHTFULNESS E FIGLI CON ATTACCAMENTO AMBIVALENTE – “Le madri senza insightfulness avranno più probabilità di avere figli con un attaccamento ambivalente. La loro capacita di vedere il bambino è inconsistente rispetto al comportamento del figlio- afferma Openheim- perché non guardano alle sue motivazioni reali. Non trovano una relazione tra il loro schema rigido- conclude- e il frammento specifico che gli viene presentato dal figlio. Il focus rimane la madre”.

DISABILITÀ. AUTISMO, OPPENHEIM: PUÒ COESISTERE CON ATTACCAMENTO SICURO

IMPORTANTI SENSIBILITA’ E RESPONSIVITA’

L’attaccamento insicuro non “causa” l’autismo e un attaccamento sicuro non “cura” l’autismo . Non è un gioco di parole, ma un modo per ricordare che l’autismo è un disturbo “dai volti infiniti e le cause alla base sono molteplici. Per questo motivo i soggetti coinvolti nella sindrome sono tutti diversi, ma è importante sapere che autismo e attaccamento sicuro possono coesistere allo stesso tempo”. A confermarlo è David Oppenheim, lo studioso dell’Università di Haifa presente al convegno dell’Istituto di Ortofonologia a Roma.
Il genitore con insightfulness “riesce a promuovere un attaccamento sicuro nel figlio perché sa fare i conti con il bambino reale, distinguendolo da quello ideale. Inoltre, le mamme che vengono da noi- fa sapere Oppenheim- non corrispondono alla descrizione delle ‘madri frigorifero'”.
IL CONTRIBUTO DEI GENITORI ALLO SVILUPPO DELL’ATTACCAMENTO NEL BAMBINO – Il contributo dei genitori alla qualità dell’attaccamento del figlio è analizzabile in base a tre elementi, spiega lo studioso: sensibilità, insightfulness e risoluzione. “La sensibilità riguarda sia la corretta lettura dei segnali del bambino, che il sapergli fornire una risposta corretta, appropriata e immediata. La figura di riferimento aiuta in questo modo il piccolo a sentire che in caso di bisogno il suo caregiver sarà disponibile ad accoglierlo”.
IL NUCLEO DELLA SENSIBILITA’ – “Il nucleo centrale della sensibilità di un genitore è il continuo tentativo di arrivare alla risposta giusta. Un avanti-indietro nella ricerca del contenimento adeguato, senza temere di sbagliare. La sensibilità materna- precisa il professore- è quindi la corretta interpretazione dei segnali del figlio”.
LA RESPONSIVITA’ – La responsivita’ materna è invece “il saper corrispondere con la giusta flessibilità ai segnali inviati dal bambino e si ravvisa nell’interesse genuino e autentico al figlio, nella flessibilità di negoziare i momenti di conflitto e di mancata corrispondenza, nel creare un’atmosfera piacevole e nel saper contenere i suoi momenti negativi”.
Una capacità che viene meno se la “mamma ha per i figlio un affetto appiattito, passivo e depresso, un tono di voce spiacevole e senza modulazione, se pensa ad altro e- conclude Oppenheim- se perde interesse verso il bambino”.

ORTOF