Chi visita Pescocostanzo, uno dei più bei paesi d’Abruzzo, resta meravigliato nel vedere scritto sulla pagina aperta d’un libro, all’ingresso del paese nel monumento a don Ottavio Colecchi, le parole in latino espresse da Kant: “Tu primus Me in Italiam introduxisti” (Tu per primo mi hai introdotto in Italia).
Come se il grande filosofo tedesco Immanuel Kant (Könisberg, 22 aprile 1724 – 12 febbraio 1804) volesse esprimere gratitudine al traduttore e al divulgatore italiano delle sue opere.
Ottavio Colecchi nasce a Pescocostanzo il 18 settembre 1773. Entra nell’Ordine dei Domenicani, diventa insegnante di matematica e di filosofia. Nel 1817-18, in Russia, è precettore dei figli dello zar. Impara il tedesco, soggiornando in Germania e leggendo le opere di Kant, nel testo originale.
La sensibilità e la formazione culturale di don Ottavio Colecchi sono particolarmente vicine alla figura e al pensiero di Kant, che proprio verso la fine del secolo XVIII, trovano completa maturazione.
Nel 1781 era uscita la “Critica della Ragion Pura”, l’opera con la quale Kant intendeva sottoporre la ragione umana ad un processo, in cui se ne stabilivano i limiti, arrivando alla conclusione che la metafisica non può essere considerata alla pari di una scienza, come la matematica e la fisica. E’ solo un’esigenza, un’aspirazione che troverà la legittimazione nella “Critica della Ragion Pratica”.
Anche don Colecchi affronterà il problema della metafisica, pubblicando un’opera sull’argomento. E come Kant, in ambiente protestante, dovette affrontare difficoltà personali per conservare il suo impiego all’Università di Koenigsberg, don Colecchi, in ambiente cattolico, dovette subire dall’istituzione ecclesiastica la punizione canonica della “sospensione a divinis”. Moriva a Napoli il 23 agosto 1847.
Kant si era ispirato a Newton e a Rousseau, tanto che sulla sua tomba sono scritte le stesse parole che concludono la “Critica della Ragion Pratica”: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me”. Ed è innegabile che la storia del pensiero occidentale, dal ‘700 ad oggi, sia segnata dal “criticismo kantiano”.
Karl Popper ritiene che la vita di Kant sia una “emancipazione attraverso la conoscenza”. Sforzo che Kant propone a tutti, anche se spesso gli uomini preferiscono restare in stato di minorità: «Molti uomini – scrive nella famosa risposta all’interrogativo: “Che cos’è l’illuminismo?” – rimangono volentieri minorenni per l’intera vita; per questo riesce tanto facile agli altri ergersi a loro tutori. E’ tanto comodo essere minorenni! […] Solo pochi sono riusciti, con l’educazione del proprio spirito, a liberarsi dalla minorità e a camminare con passo sicuro.»
Ralf Dahrendorf, uno dei maggiori osservatori critici della società moderna, ritiene che il progetto politico di Kant sia ancora di grande attualità. In particolare, Dahrendorf si riferisce ad uno scritto del 1784, dal titolo “Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico”, in cui il filosofo tedesco, prima ancora dell’opuscolo “Per la pace perpetua”, pubblicato nel 1795, espone le sue idee sul cosmopolitismo. “Per chi come me – scrive Dahrendorf – segue Kant e Popper piuttosto che Hegel o Marx, né l’utopia di una qualsivoglia Arcadia né l’incubo dell’autodistruzione dell’umanità è un’utile guida del nostro agire”.
Al di là, quindi, delle utopie ottimistiche (Platone, Moro, Marx) o pessimistiche (Orwell, Huxley), si potrebbe cercare, realisticamente, di raggiungere qualche obiettivo positivo per il benessere dell’umanità. Obiettivo che, secondo Kant, deve consistere, innanzitutto, nella costruzione di una società cosmopolitica, fondata su una Costituzione universale.
Mai, come in questo periodo di grave crisi socio-economico-politica, sembra così impellente e improcrastinabile il bisogno di una Costituzione Universale. La terra è diventata finalmente la “casa comune”, ma la globalizzazione non può ridursi alla compravendita di uomini e di merci.
E’ urgente che i “potenti”, le grandi istituzioni e le menti più eccelse a livello mondiale si ritrovino uniti per realizzare il Progetto che Kant prefigura come “consolante prospettiva per il futuro… in cui il genere umano si sollevi proprio a quello stato in cui tutti i germi che la natura ha posto in esso siano pienamente sviluppati e la sua destinazione qui sulla Terra possa essere soddisfatta.”
Dopo oltre due secoli, in un momento in cui la parola “Futuro” viene gridata da ogni parte, col rischio della retorica o dell’inflazione, il messaggio di speranza di Kant non è svanito nel nulla. Resta il più ambizioso e più grande Progetto da realizzare. Un appello e un monito per gli uomini di oggi e di domani.
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Mario Setta è nato nel 1936 a Bussi sul Tirino (Pescara). Ha studiato alla Pontificia Università Gregoriana conseguendo la licenza in Scienze Sociali. Si è laureato all’Università di Urbino in Sociologia e Filosofia. Già Parroco a Badia di Sulmona, “sospeso a divinis” per motivi ideologici, ha insegnato Storia e Filosofia al Liceo Scientifico di Sulmona, curando la pubblicazione dei volumi “E si divisero il pane che non c’era”, “Il sentiero della libertà. Un libro della memoria con Carlo Azeglio Ciampi” ed altre memorie degli ex-prigionieri di guerra alleati del Campo 78. Ha inoltre pubblicato “Il volto scoperto” (Edizioni Qualevita, 2011) e curato con Maria Rosaria La Morgia la pubblicazione del volume “Terra di libertà” (Edizioni Tracce – Fondazione Pescarabruzzo, 2014). Cofondatore e storico dell’Associazione “Il sentiero della Libertà/Freedom” Trail”, è stato nominato dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi Cavaliere della Repubblica Italiana.
Annotazione biografica a cura di Goffredo Palmerini