Teramo, 24 marzo 2015 ‒ Il 31 marzo prossimo è la scadenza fissata dalla legge per la chiusura dei sei Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) ancora aperti sul territorio nazionale. Per l’occasione anche l’Università degli Studi di Teramo, sulla scorta di altre iniziative nazionali, promuove una riflessione e un confronto per sollecitare l’attenzione dell’opinione pubblica su una questione da anni al centro del dibattito politico e sociale. Punti di vista ed esperienze diverse affronteranno le implicazioni legate alla chiusura degli OPG, «nella consapevolezza che solo un’adeguata conoscenza del problema può rendere la società più responsabile e sensibile sulla questione dei diritti umani e del diritto alle cure di coloro che sono ancora reclusi in queste strutture e che nonostante la loro condizione restano persone che soffrono, esseri umani a cui la Costituzione attribuisce dignità e diritti inalienabili».
Il convegno, che si terrà giovedì 26 marzo alle ore 16.00 nella Sala delle lauree della Facoltà di Giurisprudenza, sarà aperto dal rettore Luciano D’Amico e introdotto da Annacarla Valeriano, che illustrerà le radici culturali del manicomio criminale. Seguirà il dibattito Sguardi a confronto, presieduto da Rita Bernardini, segretario nazionale dei Radicali italiani, al quale parteciperanno Francesco Saverio Moschetta, medico psichiatra, che parlerà della Legge 180 e della chiusura del Manicomio di Teramo; Igor De Amicis, commissario di Polizia Penitenziaria, che si soffermerà sul tema della sicurezza intramurale; Giovanni Spinosa, presidente del Tribunale di Teramo con un intervento dal titolo La chiusura degli OPG: un’occasione da non perdere. Il dibattito sarà moderato dal giornalista Rai Antimo Amore.
«A gennaio 2014 – spiega Annacarla Valeriano, storica e ricercatrice della Fondazione Università di Teramo ‒ erano internati nei sei OPG di Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere e Montelupo Fiorentino, 880 uomini e donne, diventati 793 nel settembre dello stesso anno. In queste strutture almeno il 40% degli internati non è più socialmente pericoloso e potrebbe accedere a forme di cura alternative. Nel 20% dei casi i reati commessi non sarebbero di una gravità tale da comportare il ricovero in OPG e addirittura nel 4% dei casi manca una diagnosi psichiatrica e dunque non si conoscono i motivi del ricovero. Nonostante siano state introdotte misure detentive alternative all’internamento in OPG ‒ conclude ‒ gli ingressi non si fermano (dal 1° giugno al 9 settembre 2014 sono stati internati negli OPG 84 nuovi pazienti) ed esiste la possibilità concreta che le vecchie strutture vengano sostituite con nuove strutture manicomiali, le cosiddette REMS (i “mini OPG”), in cui le persone continueranno a essere segregate a vita anziché essere curate».