Pescara. Giornata mondiale della poesia organizzata dalla Fondazione Tiboni e dalle Edizioni Tracce,
Nell’ambito della manifestazione “La poesia ci salverà” che si terrà sabato 21 marzo alle ore 16 presso il Mediamuseum di Pescara, nell’ambito delle iniziative previste per celebrare la giornata mondiale della poesia organizzata dalla Fondazione Tiboni e dalle Edizioni Tracce, si terrtà una mostra fotografica,
“POETI – Ritratti poetici in controtempo” di Ginevra Di Matteo – a cura di Massimo Pamio, dedicata alla memoria di Marco Tornar.
– a Marco Tornar (Enrico), alle tue storie, ai tuoi sogni, ai tuoi versi che hanno cercato di imprimere sulla pagina il volto misterioso e sfuggente della bellezza
Nota di presentazione di Massimo Pamio
Perché una mostra fotografica sul “(ris)volto” dei poeti, sul loro volto esibito come una contropagina? Per celebrare, in modo non retorico, un manipolo di uomini che, attraverso la parola, cerca di mantenere il contatto con un mondo non noto, non evidente, oppure invisibile, altrimenti con un mondo in procinto di disfarsi, o che ha fretta di finire. I poeti sono sempre gli ultimi – quelli che credono nell’isola della nostalgia, ma anche nella povertà delle minime cose e delle illusioni, da sempre considerate la parte inferiore – bassa – del sociale, degli interessi, ma anche sono quelli che credono nella “trasgressione”, nel corpo, nel male, nell’incubo, nella ribellione e in tutto ciò che la società tende a controllare, ad espellere, a gettare ai suoi margini; tuttavia i poeti sono anche coloro che annunciano quel che verrà, profeti spesso inascoltati. Profeti di tragedie incombenti (la guerra oppure una pace ipocrita o un benessere omologanti, la distruzione della natura e delle altre specie viventi), di un modo romantico o dandystico o bohémien di comportarsi, i poeti sono comunque sempre “contro” l’establishment, sono la coscienza inquieta della società, sono gli esaltatori di innovazioni folli o sconsiderate (le automobili o perfino la guerra se ritenuta purificatrice e rinnovatrice come per i futuristi, pronti allo scandalo, alla provocazione, a “épater les bourgeoises”) di un raffinato estetismo che va a rompere gli schemi (come in Wilde o in D’Annunzio) o a difendere i lati più oscuri della psiche (da Carroll a Poe, da Novalis a Hölderlin, da Céline a Celan) infine, martiri della verità, se, in definitva, ciò che distingue la poesia è la ricerca della verità – da un poeta ci si aspetta verità esemplari, la testimonianza più spregiudicata e sfacciata nei confronti di ogni tipo di deviazione del potere (Ken Saro Wiwa, Neruda, Lorca, Majakovskij, quanti i poeti uccisi per aver combattuto per la libertà!), ma anche e soprattutto la verità che appare ogni giorno nella nostra vita e che ci parla di un continuo manifestarsi nella quotidianità del miracolo; il “vero” poeta ci svela che perfino l’oggetto più insignificante e mai degnato di uno sguardo riserva sorprese e un’autenticità degna di essere conosciuta. I poeti sono maieuti, riescono a tirar fuori la verità nascosta nella nostra intimità e a farla palpitare e a renderla unica, irripetibile. Infine, sono gli inascoltati custodi di ciò che è essenziale nella nostra vita, la gioia, la spiritualità, l’amore, i poeti non sono “uomini di cultura” come spesso vengono categorizzati per spegnerne la portata dirompente di sognatori d’un mondo dove, non invasi da surrogati del vivere, si rinasce in ogni istante, per combaciare con gli altri, per irrompere negli altri, in una comunione vitalistica.
I poeti abruzzesi meritano di essere celebrati; sono tra i più validi in Italia, anche se, a causa della sudditanza economica e culturale dell’Abruzzo (e del Meridione) nei confronti del Nord, di Milano soprattutto, la capitale del potere industriale editoriale, risultano poco conosciuti. Volti che parlano delle verità nascoste, emarginate, derelitte, ma che, fieri di essere, si annunciano una volta per sempre al mondo declamando la loro interiorità ancora integra, ancora non intaccata da nessun morbo della globalizzazione: i poeti abruzzesi sono volti disadorni, d’una disappartenenza al sociale che solo pochi altri possono vantare; i loro tratti tradiscono il segno di una fedeltà a loro stessi e a un’ideologia inconsistente che li fa quasi santi: testimone del sacro, il poeta abruzzese è la sua terra eremitica, un separato testimone di vastità desolate aperte sull’orizzonte, laddove è già il sacro, è già il compiersi d’ogni miracolo, dall’alba al tramonto, nell’alba e nel tramonto.
La fotografa Ginevra Di Matteo ha interpretato con animo personale, ha letto, ha scavato in quei volti la loro vocazione e la loro autentica voce: un clamore sommesso, una timidezza esplosiva e una sfrontatezza curiosa che si annunciano, una risata interiore ma pronta, un verso cantato a boccuccia di rosa, gesticolato, riletto con un ghigno compiaciuto, un silenzio che si è appropriato di quel volto per sempre, una tristezza lancinante come un taglio, la posa di una esistenza tesa verso l’Est Immaginato, un groviglio da cui sorgere sdoppiato, animale e fantasma, uno sguardo di chi ha conosciuto a infinite distanze l’alterità, un essere restituiti all’oltre assorti, una mano che accarezza la propria vita e quella dei libri, un colorato destino d’arte, un primo piano dialogico, che chiarisce le complessità riducendole al sovrapporsi di tempi d’infanzia, di maturità e di altre estensioni, uno sguardo profondo che raccoglie in sé lo sguardo di mille altre esistenze e le tramanda proprio in quell’istante che concede all’osservazione del fotografo, cioè dello spettatore. L’osservazione è tutto, i ritratti sono il terreno dove la parte diabolica e quella divina che convivono in ogni poeta sono resi evidenti, risolti che siano, oppure confliggenti o ineffabilmente complicati. Ginevra ha studiato i volti, li ha guidati affinché rivelassero la loro interiore espressione, il loro segno indelebile, il loro marchiare la vita ed esserne ustionati, grazie a una precisa strategia, ad un affettuoso coinvolgimento psicologico e a un’implacabile artiglio tecnico è riuscita a indurre il poeta a concedersi, a scrivere insieme col fotografo la pagina del suo volto, a crearla ex novo. E’ la persona che “fa” la foto; il poeta stesso a trovare, di fronte a un lettore di volti, un’intuizione verbale, una particolare dimensione: la propria. Grazie a coloro che si sono prestati, Antonio Allegrini, Pina Allegrini, Marilia Bonincontro, Daniele Cavicchia, Rolando D’Alonzo, Pasquale Del Cimmuto, Tino Di Cicco, Grazia Di Lisio, Francesco Di Rocco, Ottaviano Giannangeli, Marcello Marciani, Dante Marianacci, Vito Moretti, Remo Rapino, Giuseppe Rosato, Benito Sablone, Anna Ventura, la poesia abruzzese ha espresso qualcosa in più del suo semplice evocare, ha creato, nei volti, le ultime maschere sacre della poesia.
Ogni foto è accompagnata da una poesia scritta a mano e autografata, una evidente provocazione, in un tempo che ormai affida la scrittura al mezzo tecnico, sollevando le dita nodose e adunche dal loro compito di graffiare la pagina: domani chi benedirà con scrittura amanuense le lettere dell’alfabeto, chi compirà una frase disegnando il punto con rabbia o commozione? Sono così diversi tra loro i poeti, ammirate quanta bellezza è nella loro “calligrafia”…
Nella mostra c’è una foto di Claudio Carella scattata a Marco Tornar (al secolo Enrico Ciancetta) che aveva aderito all’iniziativa ma che è improvvisamente venuto a mancare in questi giorni. Marco era non solo poeta ma anche scrittore di valore nazionale, studioso d’arte, appassionato testimone d’una generosità che si incarnava in una fase di rinnovata passione per la creaturalità. I personaggi dei suoi romanzi sono persone storicamente vissute, della cui esistenza Marco si era innamorato, vivendole a sua volta fino in fondo: Marco era stato Mabel Lodge Luhan, Enrico VII di Lussemburgo, Claire Clermont, e anche Kate Field, Vernon Lee, Francesca Alexander, Henry James di cui aveva tradotto le opere. In uno, era mille volti, in una, Marco era mille esistenze, o forse ne era la loro reincarnazione, fatto sta che la sua sensibilità vivissima, romantica e ottocentesca, lo rendono figura indimenticabile, uscita in modo inatteso dal quadro della vita, cogliendo ancora una volta di sorpresa tutti noi, rimasti qui, semplici spettatori di un’eternità che egli adesso coglie e non può che suggerirci, stavolta senza parole.
Ginevra Di Matteo, psicologa, nata a Piano Vetrale nel Cilento, ha tenuto una mostra dal titolo “Namasté”, reportage sul Nepal.
Massimo Pamio, poeta e saggista, è direttore del Museo della Lettera d’Amore, museo unico al mondo che è ospitato nel Palazzo Valignani di Torrevecchia Teatina. Nominato nel 2007 Cavaliere dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”, per meriti culturali. Studioso di letteratura moderna, ha pubblicato in volume numerose opere di saggistica e di poesia.
Marco Tornar (Pescara, 1960-2015) aveva dato alle stampe le raccolte di poesia Segni naturali (Bastogi, Foggia 1983); La scelta (Jaca Book, Milano 1996); Sonetti d’amor sacro (Tabula Fati, 2014), le prose Rituali marginali (Bastogi, Foggia 1985), Errando di notte in luoghi solitari (Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme 2000); i romanzi Niente più che l’amore (Sperling & Kupfer, Milano 2004), Claire Clermont (Solfanelli, 2010), Nello specchio di Mabel (Tracce, 2011), Lo splendore dell’aquila nell’oro. L’Italia di Enrico Vii di Lussemburgo (Tabula Fati, 2014), il monologo drammatico Allegra per sempre (Tabula Fati, 2011). Aveva curato l’antologia di poesia italiana La furia di Pegaso (Archinto, Milano 1996) e tradotto opere di Francesca Alexander, Henry James, Vernon Lee, Kate Field in qualità di studioso appassionato degli scrittori romantici inglesi in Italia; esperto di arte aveva curato alcune monografie su pittori dimenticati tra i quali Friedrich Overbeck.