Secondo giorno a Riccione per ICAR la VII Conferenza italiana su Aids e retrovirus: 1200 gli specialisti presenti, provenienti anche dall’estero.
HIV- PROFILASSI PRE-ESPOSIZIONE: DUBBI SULLA TERAPIA. “AUMENTA IL RISCHIO DI CONTAGIO HIV, EPATITI E SIFILIDE”
Se il preservativo è efficace nel 99%, quella della Prep è variato dall’iniziale 92% del 2011 all’86% delle ultime rilevazioni. Il 48% dei partecipanti ritiene non vi siano ragioni sufficienti per rendere disponibile la PrEP anche in Italia.
Durante la VII Conferenza italiana su Aids e retrovirus (Icar), che si è aperta ieri a Riccione,ricercatori, rappresentanti delle Associazioni di pazienti, di istituzioni e di aziende, si confrontano sulla PrEP (profilassi pre-esposizione) in Europa e Usa. Questa è una terapia antiretrovirale che permette di prevenire l’infezione da Hiv: si basa sull’assunzione di una pillola, già sperimentata, in persone non sieropositive, in America. Numerosi gli studi a riguardo, che tengono sotto controllo le statistiche relative soprattutto alla popolazione omosessuale. Da un lato, ci sono i numeri del successo della PrEP (86% di riduzione della trasmissione del virus), le speranze e le attese di chi la considera l’unico strumento di prevenzione contro l’HIV. Dall’altro, i timori e i pareri contrari di chi ritiene siano altre le priorità attuali nella lotta all’HIV e teme che la PrEP sia solo una difesa contro il virus, efficace tanto quanto il preservativo, ma con ricadute economiche e sociali non prevedibili.
LA TAVOLA ROTONDA SULLA PrEP – ICAR ospita nella Tavola Rotonda “PrEP: is it the right time to act” (martedì 18 maggio, ore 15.00-16.00, Auditorium Concordia Hall, moderata da G.M. Corbelli, E. Girardi, C.Mussini) i ricercatori che hanno condotto gli studi clinici più noti e recenti (Sheena Mc Cormick per lo studio PROUD e Eric Cua per l’IPERGAY), insieme a Roy M.Gulick, infettivologo USA con anni di esperienza in questo ambito, e a Sabrina Spinoza Guzman, dell’Agenzia europea regolatoria sui farmaci, insieme alle Associazioni di persone con HIV e alla comunità scientifica infettivologica.
“I dati ottenuti dagli studi PROUD e IPERGAY – spiegano i presidenti del Congresso Cristina Mussini, Laura Sighinolfi e Andrea Cossarizza– entrambi rivolti a MSM (uomini che fanno sesso con uomini) e donne transgender, sono sicuramente importanti, ma il fatto che entrambi abbiano dimostrato livelli di efficacia tanto elevati e statisticamente testimonia l’efficacia preventiva della PrEP, e rivela anche quanto sia alto il tasso di infezione in determinati gruppi nei paesi occidentali. Solo a loro, quindi, insieme alle coppie sierodiscordanti) dovrebbe essere offerta la PrEP, secondo alcuni, e non a tutti, come invece chiede la maggior parte di chi la sostiene”.
A livello europeo, il primo paese a richiederla è stata la Francia, dove è attesa per questa estate l’autorizzazione “sub judice” (per i prossimi 2 anni la PrEP sarà disponibile gratuitamente). Per quanto riguarda la posizione italiana, un centinaio di infettivologi hanno risposto ad un questionario, promosso dall’IRCCS AOU San Martino di Genova, che viene presentato durante i lavori a Riccione: il 48% dei partecipanti ritiene non vi siano ragioni sufficienti per rendere disponibile la PrEP anche in Italia, ma il 35% la sostiene comunque. Il 71% degli intervistati teme lo spostamento di attenzione da altri interventi preventivi più utili, il 16% teme il rischio di una eccessiva medicalizzazione della prevenzione di HIV. Del campione, solo il 33% ha “familiarità” con la PrEP e il 63% ha ricevuto domande, soprattutto (86%) da coppie sierodiscordanti.
La disponibilità, comunque, della PrEP non modificherebbe il tipo di vita sessuale per il 64% del campione, anche se è diminuita la percentuale di chi userebbe sempre il preservativo (dal 37% al 27%) e, viceversa, è aumentata quella di chi non lo userebbe mai (dall’11% al 17%).
“In Italia non riusciamo a far diminuire il numero di nuove diagnosi di infezione da HIV registrate ogni anno – dichiara Giulio Maria Corbelli, membro del Direttivo di Plus – È evidente che, se vogliamo davvero fermare la diffusione dell’HIV in Italia, dobbiamo adottare una strategia innovativa: quello che si dimostra più efficace è un approccio “di combinazione”, cioè che metta a disposizione diversi strumenti e diffonda una informazione capillare in modo che ciascuno possa scegliere la strategia più adatta alle proprie esigenze. In questo approccio la PrEP – cioè la possibilità per persone sieronegative ad alto rischio di contrarre l’infezione da HIV di assumere un farmaco per evitare di contrarre l’infezione – può avere un ruolo essenziale perché consente, ad esempio, di prevenire l’infezione in persone che nonostante siano bene informate non riescono o non vogliono usare costantemente il preservativo con diversi partner sessuali”.
L’ASSOCIAZIONE DEI PAZIENTI NPS –“Allo stato attuale siamo contrari alla PrEP – dichiara Margherita Errico, Presidente di NPS Italia Onlus – Non troviamo giusto l’approccio culturale di medicalizzare il sesso, ma ci rendono molto perplessi anche gli alti problemi di costi, di cui ancora non è chiaro su chi dovrebbero ricadere. In più manca completezza dei dati fondamentali, quelli italiani ed europei, perché quelli americani non bastano, e questo gap di dati sulla tollerabilità non va trascurato. Non si hanno neanche dati sufficienti sul livello di penetrabilità della PrEP a livello degli organi genitali. E non abbiamo neanche dati certi sul rischio di aumentato sviluppo di resistenze ai trattamenti antiretrovirali. Infine, allo stato attuale, gli studi sottolineano e confermano come nel lungo termine i pazienti con Hiv riscontrino problemi sia con i reni che con le ossa.
“Se il preservativo è efficace nel 99%, quella della PrEP è variato dall’iniziale 92% del 2011 all’86% delle ultime rilevazioni – prosegue la Dr.ssa Errico –Questo margine scoraggia chi si approccia a questa terapia, a nostro avviso. Un dato importante e preoccupante, per cui sentiamo fervida la responsabilità di chiedere al Sistema Sanitario di non intervenire a favore della stessa terapia. A farci preoccupare un dato che molti sembrano trascurare: molti di questi pazienti americani non stanno usando il preservativo, così le ultime dichiarazioni dagli studi presentati a Seattle lo scorso marzo, quindi non c’è copertura rispetto ad epatite, sifilide e altre malattie infettive che sono a loro volta terreno fertile per l’acquisizione comunque dell’infezione da Hiv. Cosa non da poco, per esempio, se si pensa che la sifilide, secondo dati ECDC,è stata rintracciata nel 48% dei casi tra gli omosessuali.”