Il Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo sbarca in Argentina
18 maggio 2015
Intervista al Console Generale d’Italia, Giuseppe Scognamiglio, e al direttore dell’IIC, Maria Mazza
di Goffredo Palmerini *
Grande interesse ha destato nel mondo culturale l’uscita del Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo (DEMIM), edito da SER ItaliAteneo e Fondazione Migrantes, la prima opera che strutturalmente affronta il tema della nostra emigrazione. Dopo l’Università La Sapienza di Roma, la Società Dante Alighieri e il Senato della Repubblica, il Dizionario sarà presentato in Argentina, il 19 maggio a Buenos Aires, presso l’Istituto Italiano di Cultura (Sala Benedetto Croce), e il 20 maggio a Mar del Plata, presso il Teatro Municipal Diagonal. Scelta non casuale per il direttore del progetto Tiziana Grassi, infaticabile studiosa cui si deve anche il concepimento dell’idea del Dizionario, perché questa prima tappa all’estero del Dizionario privilegi un Paese in cui vive una tra le più numerose comunità di italiani e discendenti. Ne parliamo con il Console Generale d’Italia a Buenos Aires, dr. Giuseppe Scognamiglio, e con il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, dr. Maria Mazza. Nato a Napoli e cresciuto a La Spezia, il dr. Scognamiglio ha fatto gli studi economici laureandosi alla “Bocconi”. E’ entrato nella carriera diplomatica nel 1995, prestando servizio presso le Ambasciate italiane all’Avana e al Cairo, poi nel 2006 a Roma come responsabile del Servizio Stampa e Informazione della Farnesina. Dal 2011 è Console Generale a Buenos Aires. Anche Maria Mazza è di origini napoletane. La carriera di addetto culturale per il Ministero degli Affari Esteri l’ha portata a Skopje, come responsabile del lettorato d’italiano all’università della capitale di Macedonia, quindi negli Istituti italiani di Cultura di Amburgo e Belgrado. Vivace promotrice di iniziative culturali e musicali nella capitale argentina, la dr. Mazza, su proposta della studiosa italo-argentina Maria Rosa Mauro (tra gli autori del Dizionario), ha voluto promuovere questa iniziativa legata ad un volume che il Presidente emerito della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, nel suo saluto di apertura all’opera, ha definito “una vera e propria summa di un fenomeno che ha segnato indelebilmente la storia del nostro Paese (…)”.
E’ utile ricordare che il Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo (DEMIM) è un’opera ideata e diretta da Tiziana Grassi, con il coordinamento scientifico di Delfina Licata e la direzione editoriale di Enzo Caffarelli. Il volume si articola in 1.500 pagine con 700 lemmi-articoli e 160 box di approfondimento, 17 appendici monotematiche, 500 illustrazioni a colori e in bianco e nero. È frutto del lavoro di 168 autori, per lo più docenti universitari e rappresentanti di istituzioni e associazioni impegnate nell’ambito delle migrazioni italiane all’estero, supervisionati da un consiglio scientifico di 50 esperti che rappresentano l’Italia e numerose altre nazioni. Il Dizionario racconta una pagina fondativa della storia italiana quale è stata la Grande Emigrazione tra Otto e Novecento e che giunge fino ai nostri giorni, con migliaia di italiani che continuano a muoversi verso altre terre. Una pagina fatta di coraggio, sacrifici, sogni, conquiste e che ha visto partire oltre 27 milioni di connazionali, che oggi esprimono un portato di circa 80 milioni di oriundi (gli “italiani col trattino” sparsi nel mondo). Il taglio è scientifico, nel senso che i testi sono opera di studiosi esperti che hanno approfondito quasi ogni aspetto possibile del grande tema dell’emigrazione italiana con gli strumenti analitici, le fonti accreditate, i richiami bibliografici, insomma i ferri del proprio mestiere. Tuttavia il taglio è anche divulgativo, perché i ricercatori e docenti universitari e gli altri studiosi hanno evitato un linguaggio troppo tecnico, concependo l’opera come una dimensione di servizio, per favorire la conoscenza dell’epopea migratoria italiana sia in Italia che all’estero.
Intervista a Giuseppe Scognamiglio, Console Generale d’Italia a Buenos Aires
Dr. Scognamiglio, lei ha la responsabilità di un grande Consolato Generale, in un paese come l’Argentina che in termini percentuali ha più della metà della popolazione di origine italiana. La nostra comunità ha avuto, ed ha, un ruolo di rilievo nello sviluppo del Paese. Ritiene lei che sia possibile consolidare e far crescere le relazioni tra Italia ed Argentina per poter cogliere tutte le opportunità per i due Paesi, e come?
Nell’area della Gran Buenos Aires risiede la collettività più numerosa al mondo. Quasi 400 mila connazionali risultano regolarmente registrati nell’anagrafe consolare, vale a dire un numero superiore a quello degli abitanti della città di Bologna, il che fa di Buenos Aires la settima “città italiana”. Si tratta di una risorsa preziosa, che vive fuori dal territorio nazionale, una realtà unica che va conosciuta e compresa. Ciò comporta una grossa responsabilità per questo Consolato, ma anche molte soddisfazioni e interessanti opportunità da sfruttare per accrescere ulteriormente i rapporti tra Italia e Argentina. La nostra collettività, storicamente, ha esercitato un’influenza notevole nella formazione dell’identità argentina e nello sviluppo del Paese, pur non riuscendo a strutturarsi in una vera e propria lobby sul modello, ad esempio, della NIAF negli Stati Uniti.
Oggi, evidentemente, non si tratta più di quegli emigranti in cerca di fortuna che affollavano il porto e le strade della capitale argentina nel secolo scorso e che venivano costretti a sopportare inenarrabili fatiche e miserie per sopravvivere. Le ultime generazioni di discendenti italiani (dalla seconda fino addirittura alla sesta-settima generazione!) hanno fatto strada, sono costituite da professionisti, gente dinamica, preparata, che ha studiato e che è riuscita ad integrarsi perfettamente nel tessuto politico e sociale argentino. I discendenti degli emigranti si sentono, prima di tutto, com’è giusto, cittadini argentini. Il contributo che la nostra emigrazione ha dato allo sviluppo dell’Argentina è indiscutibile ed è tale che il Parlamento argentino decise di dedicare il 3 giugno al Dia del Inmigrante italiano, come tributo a quanto fatto dalla nostra immigrazione per la costruzione e la grandezza di questo Paese: si tratta dell’unica collettività cui sia stato riservato un simile onore.
Va poi sottolineato che in Argentina continua ad esserci una fortissima “domanda” di Italia, Paese verso cui qui si prova in generale un sentimento di affetto, di vicinanza spirituale, un amore che va al di là dei legami di sangue e di conoscenza della lingua. L’Italia, con la sua storia, arte e cultura, costituisce un modello che attrae tutti, giovani e adulti, italofoni e non. Qui esiste un vero e proprio mito del “Bel Paese”. Ciò rappresenta un humus fertile su cui seminare per rafforzare e sviluppare ulteriormente la nostra presenza in un’Argentina da sempre ricca di risorse e di potenzialità. Perciò bisogna promuovere e far conoscere continuamente l’Italia. Credo che il Consolato, insieme alle altre Istituzioni del Sistema Italia, l’abbia fatto e stia continuando a farlo, investendo in particolare nei giovani italo-agentini, stimolando la curiosità per un’Italia che spesso non conoscono, magari perché la rappresentazione che gliene hanno dato i nonni é comprensibilmente quella dell’epoca in cui sono emigrati: un paese diverso, moderno, con straordinarie punte di eccellenze, che svolge un ruolo importante a livello internazionale. Insomma, credo si debba far leva sulla curiosità dei giovani per far capire che delle proprie origini devono essere orgogliosi, doppiamente orgogliosi perché i loro padri hanno contribuito sia allo sviluppo dell’Italia che a quello dell’Argentina.
Uno strumento straordinario al riguardo, anche per i risvolti sulle relazioni economiche e commerciali, è la promozione culturale, mediante l’organizzazione di mostre, concerti, spettacoli teatrali, corsi di promozione della lingua italiana, l’attività delle scuole italiane, la formazione: uno strumento che permette di avvicinare ulteriormente i due Paesi, cementando e rinnovando continuamente una relazione di amicizia secolare fatta di interscambi continui fra i due popoli, mai interrottisi neanche nei momenti di difficoltà registratisi in passato nelle relazioni tra i governi. Per questo, ad esempio, abbiamo promosso il “Verano Italiano”, un sorta di festival della cultura italiana che si tiene a giugno e che, giunto ormai alla sua terza edizione, è diventato un appuntamento atteso dal pubblico e che promette di crescere ogni anno di più.
L’Italia avrebbe grandi opportunità se investisse di più sulle comunità italiane nel mondo, un’altra Italia persino più numerosa di quella dentro i confini. Talenti, intelligenze, qualità professionali spesso poco conosciute in Patria, che potrebbero essere utili all’Italia. E nel caso reciproco dall’Italia verso l’Argentina. In fondo, i 140 milioni di italiani e italici nel mondo sarebbero un prezioso giacimento di orgoglio, ingegno e cultura su cui investire, se le politiche fossero meglio attente a questa straordinaria realtà. Qual è la sua opinione da un osservatorio privilegiato come il Consolato Generale di Buenos Aires?
Con riguardo all’Argentina, posso certamente confermare che la comunità italiana costituisce, foss’anche solo per una mera questione numerica, un asset straordinario che merita di essere ulteriormente valorizzato e su cui investire. Per evitare però di cadere nella vuota retorica, occorre partire da un’analisi attenta della realtà, affinché sia possibile individuare modalità e strumenti per valorizzare quel patrimonio rappresentato dagli italiani all’estero. In particolare, quando si parla di comunità italiana in Argentina, ci si confronta con almeno tre realtà differenti: la prima è quella di cui ho già parlato in termini generali, ovvero gli italo-argentini dalla seconda generazione in poi, che rappresentano quasi l’80% dei nostri connazionali in Argentina, riguardo ai quali sarebbe forse più corretto parlare di argentini di origini italiane. Vi sono poi i nati in Italia, che rappresentano circa il 20 per cento dei nostri connazionali: si tratta di persone che hanno, nella stragrande maggioranza, un’età superiore ai 70 anni, e quindi con caratteristiche ed esigenze profondamente diverse dagli altri connazionali. Testimoni di storie familiari straordinarie e spesso tragiche e commoventi, portatori di un’ammirevole etica del lavoro, hanno costituito il nocciolo duro dell’italianità, il cui vessillo hanno esibito con orgoglio, attraverso innumerevoli associazioni ed iniziative. Ma che si sono andati progressivamente ripiegando su se stessi, senza riuscire a coinvolgere, se non in pochi meritevoli casi, le nuove generazioni, riducendo nel tempo, anche per ragioni anagrafiche, il proprio raggio di azione e capacità di iniziativa. Infine, va segnalato un fenomeno più recente: ogni anno, in Argentina, si registrano nuovi arrivi dall’Italia, anche se con numeri neanche lontanamente paragonabili alle ondate migratorie del passato (parliamo di circa 8.000 connazionali all’anno). Si tratta per lo più di studenti universitari, giovani professionisti, imprenditori, che lasciano il nostro Paese e si trasferiscono a Buenos Aires per svolgere tirocini e corsi di specializzazione, per realizzare le prime esperienze professionali. In molti casi, quello che inizialmente è un periodo temporaneo di formazione si trasforma in una permanenza più lunga in questo Paese, se non addirittura definitiva. Questa nuova mobilità internazionale, che comunque è bidirezionale ed è quindi diretta anche verso l’Italia, è principalmente costituita da giovani. E’ anche a loro che le Istituzioni devono rivolgersi, al fine di creare un tessuto connettivo stabile e duraturo, a tutto vantaggio delle relazioni bilaterali politiche, commerciali e culturali.
La comunità italiana di oggi in Argentina, in tutte le sue articolazioni, deve essere opportunamente seguita e tenuta nel dovuto conto, come risorsa ma anche come una vera e propria componente del “Sistema Italia”. Per parte nostra, dalla postazione del Consolato, oltre a fornire i tradizionali servizi consolari, ivi inclusa l’assistenza ai connazionali più bisognosi, cerchiamo di diffondere al meglio e ad ampio raggio le informazioni, proviamo a fare rete e a stimolare il senso di “community”. Per quanto riguarda in particolare i giovani in arrivo dall’Italia, cerchiamo di favorirne l’inserimento nella realtà locale. A tal fine, in collaborazione con la Camera Commercio italiana di Buenos Aires, abbiamo preparato una guida, un prontuario pratico e di facile uso destinato a chi sia in cerca di opportunità di lavoro o formazione. Il sito web del Consolato, inoltre, è diventato un importante punto di riferimento, dove è possibile trovare offerte di lavoro, borse di studio, opportunità di vario tipo. In conclusione, è necessario ripensare il concetto di comunità all’estero. Occorre guardare alla collettività in un’ottica nuova, più rispondente alle esigenze pratiche ed operative dei nostri tempi. Si tratta di un’operazione che nel medio e lungo termine non mancherà di portare i suoi frutti, creando sinergie, dinamiche positive e proficue.
In Italia c’è un forte deficit di conoscenza della storia dell’emigrazione italiana. Anche perché l’emigrazione – aspetto rilevante in termini economici, sociali, politici e culturali – non è ancora entrata nella Storia d’Italia con la dimensione che le compete. A suo parere, quali iniziative sarebbero auspicabili per far conoscere meglio il mondo dell’emigrazione e quale potrebbe essere il ruolo della formazione, dalle università e alle scuole di ogni ordine e grado, per recuperare questo gap culturale?
E’ un dato di fatto che fuori dall’Italia ci sia un’altra Italia, ricca di risorse e potenzialità. Ciò è il prodotto della nostra migrazione, un fenomeno certamente complesso e non omogeneo, ma che, giusto per restare in Argentina, ha costituito un elemento fondante dell’identità nazionale di questo popolo e dello sviluppo di questo Paese, di cui in Italia, purtroppo, si sa poco. Non c’è stata in passato, e per certi versi non esiste nemmeno oggi, una piena consapevolezza della consistenza e delle dimensioni del fenomeno migratorio italiano nella sua interezza e prospettiva storica. Ciò discende probabilmente dal fatto che il fenomeno migratorio è stato in qualche modo rimosso dalle classi politiche del passato, con una sorta di processo di rimozione, di imbarazzo nei riguardi delle centinaia di migliaia di connazionali cui non si fu in grado di offrire un futuro nella nostra penisola.
Occorre pertanto restituire dignità e valenza storica a tale fenomeno. Il contributo che può venire dal mondo universitario e della ricerca è assai rilevante.
Ci sono interessanti tematiche da approfondire e chiarire con l’obiettivo di valorizzare l’apporto dato dagli emigranti allo sviluppo del Paese di accoglienza così come allo sviluppo dell’Italia, direttamente attraverso le rimesse o indirettamente per il sol fatto, ad esempio, di aver lasciato, dopo le due guerre mondiali, un paese che non era in grado di sfamarli. Ciò affinché, come dice lei giustamente, il fenomeno migratorio, con tutti i suoi risvolti politici, economici, culturali e sociali entri a pieno titolo e con il giusto peso nella Storia d’Italia. Nell’ambito delle varie iniziative di diffusione e divulgazione di carattere storiografico in materia, desidero segnalare che il Consolato sostiene un’interessante progetto di ricerca scientifica portato avanti da un gruppo di professori dell’Università di Bologna – sezione di Buenos Aires, finalizzato ad approfondire il significato della nostra emigrazione in Argentina e a preservarne la memoria, attraverso lo studio delle fonti originali conservate presso le principali associazioni ed enti italiani di Buenos Aires. Inoltre, l’Ambasciata d’Italia, in collaborazione con il Consolato, ha creato un gruppo di studio, un vero e proprio “think tank” di giovani (L.I.A. – Laboratorio Italia-Argentina) allo scopo di studiare e approfondire le tematiche migratorie in chiave attuale e rigorosamente scientifica.
E quanto può essere utile a tale scopo un’opera sistemica come il Dizionario Enciclopedico?
Ritengo che il Dizionario, così come è stato concepito, sia uno strumento di lavoro e consultazione assai utile non solo per gli addetti al lavoro, ma anche per gli studenti e, in generale, per tutti coloro che sono interessati a comprendere meglio e più approfonditamente la natura di un fenomeno intrinseco alla nostra storia, che fa parte della nostra essenza ed identità. Sono certo che grazie all’approccio scientifico ma giustamente divulgativo troverà un’accoglienza assai favorevole anche qui in Argentina.
Mentre le auguro un proficuo lavoro al servizio della vasta comunità italiana nella capitale argentina, conoscendo la stima che i nostri connazionali riservano alla sua persona, qual è il ruolo che la cultura argentina e la cultura italiana possono insieme svolgere per far crescere le relazioni e le opportunità tra i due Paesi? E quanto può influire il reticolo del sistema associativo dei nostri connazionali?
L’Italia e l’Argentina sono due paesi amici e idealmente vicini, uniti da un vincolo profondo che supera le barriere linguistiche, le distanze geografiche e le particolarità localistiche. C’è nei due popoli un’intima relazione e una speciale somiglianza che affonda le sue radici nel percorso storico dei secoli precedenti. Le rispettive identità culturali presentano delle affinità notevoli, il cui immediato risultato è un rapporto di grande familiarità esistente tra i due popoli. Il comune substrato culturale facilita la comunicazione, agevola i contatti e rende possibile un livello di collaborazione difficilmente ripetibile in altri contesti. Rappresenta uno straordinario volano per lo sviluppo dei rapporti economico-commerciali, culturali e politici, e un vantaggio competitivo dell’Italia rispetto ad altri Paesi su cui però occorre continuamente investire anche in maniera creativa, senza commettere l’errore di dimenticare differenze e peculiarità della realtà argentina. Se l’associazionismo tradizionale, come ho detto, segna il passo, d’altra parte è indubbio che in un Paese in cui quasi il 50% della popolazione ha origini italiane vi sia ampio spazio per far crescere ulteriormente le relazioni fra Italia e Argentina. In tutti i settori, dall’economia alla cultura alla politica, nei posti chiave, vi sono argentini con passaporto italiano. Basti pensare che vi è una forte probabilità che il prossimo Presidente dell’Argentina – le elezioni presidenziali avranno luogo nel mese di ottobre prossimo – sia anche italiano, considerato che i candidati più titolati sono doppi cittadini!
(seconda parte)
Intervista a Maria Mazza, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires
Dottoressa Mazza, prima di parlare di questo evento di presentazione, molto atteso nella comunità italo-argentina, le chiedo della sua importante missione di promotrice della diffusione della cultura italiana a Buenos Aires, una città dal grande respiro internazionale. Come potrebbe definire questa esperienza, e perché?
Buenos Aires, come lei giustamente ricorda, è una grande capitale internazionale, con una vita culturale intensissima e a tratti vorticosa. Rappresenta ancora oggi un punto di riferimento nell’America Latina, sebbene anche altre città di questa parte del mondo – penso ad esempio a Città del Messico, San Paolo, Rio, Santiago del Cile, Bogotà – abbiano oggi un’offerta culturale di tutto rispetto e in alcuni settori contendano il primato a Buenos Aires. Ma è chiaro che, soprattutto per noi europei, Buenos Aires ha un fascino unico, che non si ritrova altrove: è quel mix ineguagliabile di raffinatezza europea, vitalità latino americana e snobismo proprio di tutte le grandi capitali, che risulta impossibile comprendere a fondo se non si vive qui. Noi italiani, tuttavia, a volte tendiamo a dimenticare che Buenos Aires è stato il punto di arrivo non solo di centinaia di migliaia di nostro connazionali, che hanno lasciato un’impronta inconfondibile nella cultura e nella stessa edilizia e urbanistica della città, ma anche di moltissimi emigranti provenienti da altri paesi europei, che pure hanno dato il loro apporto alla formazione dello spirito e della cultura locali. Ha fatto caso a come qui le persone fanno ordinatamente la fila alla fermata dell’autobus? Ho l’impressione che non sia un’abitudine che deriva da noi italiani… Il risultato è che oggi ciascun europeo, ciascun latinoamericano e persino ciascun asiatico (la comunità cinese a Buenos Aires è numerosissima) ritrova qui un pezzo della propria cultura e della propria identità, ed è per questo che ciascuno finisce per sentirsi rapidamente a casa e a identificarsi nella “sua” Buenos Aires. Ma la capitale argentina è la somma di tutte queste identità culturali, un vero crogiolo di nazioni e culture. E’ per questo che lavorare qui nella promozione culturale è particolarmente entusiasmante, anche se spesso costituisce una sfida continua. I porteños, come si chiamano gli abitanti di Buenos Aires, sono veri e propri “tifosi” della cultura, seguono gli eventi culturali con una partecipazione e un entusiasmo che ho visto in poche altre parti del mondo. Ma come tutti i tifosi sono molto esigenti, guai a deluderli! E poi qui l’offerta culturale è immensa, la competizione tra le istituzioni culturali per assicurarsi il pubblico è spietata e bisogna rimboccarsi le maniche per far arrivare ai giornali o al grande pubblico quello che fai. Ma l’entusiasmo del pubblico poi ti ripaga sempre degli sforzi.
Lei ha dato un’impronta particolare alla programmazione delle attività culturali dell’Istituto che dirige da oltre due anni, dando rilievo alle Personalità che illustrano la nostra cultura e il prestigio dell’Italia nel mondo, cercando di rafforzare il legame culturale della comunità italiana in Argentina con la Madrepatria. Ce ne vuole parlare?
Ho sempre ritenuto molto importante stabilire un proficuo dialogo con la comunità italiana, anche quando lavoravo in paesi in cui essa era decisamente meno numerosa. E’ chiaro che gli Istituti Italiani di Cultura si rivolgono a tutti, non solo al pubblico dei connazionali; ma c’è stato un tempo, per fortuna ormai tramontato, in cui i connazionali si sono sentiti tenuti un po’ al margine dell’attività degli istituti. Oggi è completamente diverso. La collaborazione tra l’Istituto e le associazioni dei connazionali funziona benissimo, per noi rappresentano tra l’altro un’efficace cassa di risonanza dei nostri eventi. Tenga presente che questo è un paese in cui chi può esibisce la propria ascendenza italiana (la “nona” italiana, come dicono qui) come un blasone nobiliare. E’ una cosa che ogni volta mi commuove e che, da italiana, mi riempie d’orgoglio. Piuttosto la vera sfida è ora coinvolgere i giovani: gli italiani d’Argentina sono per lo più di terza o quarta generazione, quelli nati in Italia sono venuti qui da bambini e si sono ormai totalmente integrati; in proporzione sono pochi invece gli italiani giunti a Buenos Aires da adulti negli ultimi decenni. Questo ci obbliga a tener presente i diversi interessi e le diverse sensibilità dei vari italo-argentini. Però una cosa li accomuna tutti: il grande orgoglio di sentirsi italiani quando proponiamo loro eventi culturali di qualità, e il calore con cui ci ringraziano. E’ una cosa impagabile.
Fare sistema. Secondo lei, la Cultura può essere una grande risorsa per l’Italia, forse la più grande, anche fuori dai confini nazionali?
Certamente! Ma non sono io a dirlo, ci sono studi autorevoli che sostengono che la cultura è il nostro “petrolio”. Sicuramente gli anni di crisi economica che abbiamo attraversato e che stiamo attraversando hanno aggravato la situazione relativa alla cura del nostro patrimonio culturale e alla sua presentazione all’estero, anche per quanto riguarda direttamente gli Istituti italiani di cultura. Forse anche in questo qualcosa possiamo imparare dagli amici argentini: non ho dati precisi e non so dunque se è una leggenda metropolitana, ma pare che dopo il crack del 2001 a Buenos Aires non abbia chiuso nessun teatro, e che anzi se ne siano aperti di nuovi. Non so se è vero, ma mi piace crederlo. Quanto al fare sistema, ormai si opera molto in questa direzione: sostenendosi a vicenda per raggiungere un obiettivo comune; posso dire con soddisfazione che qui a Buenos Aires rappresentiamo un esempio virtuoso: l’intesa tra l’Istituto, l’Ambasciata, il Consolato, l’ICE, l’ENIT e il Teatro Coliseo è ottima e continuamente mettiamo insieme risorse economiche e umane per realizzare progetti culturali. Un esempio lampante è a giugno il “Verano italiano”, giunto già alla terza edizione: un mese di cultura italiana, che porta nell’inverno porteño il calore e la vivacità dell’estate italiana.
Di formazione lei è anche musicista e ha studiato canto lirico al Conservatorio. Quanto c’è di questa dimensione – storicamente parte rilevante del patrimonio culturale italiano – nella sua missione?
La musica è un settore molto importante nell’attività degli istituti di cultura, ma non è l’unica, perché dobbiamo occuparci di tutti gli aspetti della cultura italiana, letteratura, cinema, arte, ecc. Certamente ogni direttore ha le sue preferenze, però questo non deve distoglierci dal presentare – con le modeste risorse disponibili – un quadro il più possibile variegato della realtà culturale italiana. Piuttosto, parlando di musica, mi piace ricordare che abbiamo acquistato di recente per il nostro Istituto un pianoforte della ditta Fazioli, considerata dagli esperti la migliore fabbrica di pianoforti al mondo, la “Ferrari” dei pianoforti. Per me anche questo è un modo di fare sistema e promuovere l’Italia.
Direttore, secondo i dati recentemente emersi nel quadro della ricerca “L’italiano nel mondo” della Farnesina, ben settantamila persone – e il numero è solo indicativo per difetto – studiano l’italiano in Argentina. Dal suo osservatorio quotidiano, conferma l’interesse che la lingua italiana continua a destare in questo Paese nel quale è particolarmente profondo e permanente il segno della presenza italiana? L’Istituto che dirige quali iniziative porta avanti in ambito linguistico? C’è una collaborazione con il locale Comitato della Dante Alighieri, punto di riferimento per gli italiani, gli italofili, gli argentini e non solo?
Conosco bene quei dati e confermo l’enorme interesse che qui c’è per l’Italia e per la lingua italiana, non solo tra gli italo-argentini, ma anche tra coloro che hanno origini spagnole, tedesche, russe, inglesi… Gli alunni dei nostri corsi sono per la metà circa italiani di terza e quarta generazione, che in genere hanno il passaporto italiano e che vogliono recuperare la lingua dei nonni, magari per cercare un lavoro in Italia o semplicemente per poter parlare con i loro lontani parenti italiani. Nei corsi di conversazione predominano invece gli italiani di seconda generazione, che da bambini a casa hanno parlato italiano, magari contaminato dal dialetto, e che ora vogliono tenere viva o perfezionare la conoscenza della lingua. Alcuni anni fa ci fu un alunno illustre dell’Istituto appartenente a questo gruppo di italo-argentini: il cardinale Bergoglio, oggi papa Francesco. Tra i giovani alunni dei corsi invece ci sono moltissimi argentini che non hanno alcun legame familiare con l’Italia. E poi ci sono moltissimi ragazzi colombiani, brasiliani, cileni, peruviani che studiano in Argentina e che imparano l’italiano da noi; tutti sono stati portati ad avvicinarsi all’Italia perché hanno sentito parlare moltissimo del nostro paese a Buenos Aires e hanno deciso di conoscerci più da vicino. Con la Dante Alighieri, così come con le scuole italiane di Buenos Aires, abbiamo un ottimo rapporto di collaborazione. Inoltre l’Istituto organizza corsi di aggiornamento per docenti di italiano, aperti sia agli insegnanti di italiano delle scuole, sia a coloro che insegnano l’italiano agli adulti.
A proposito di lingua italiana, il 29 aprile scorso è stato presentato presso la sede centrale della Dante Alighieri, a Roma, il “Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo” (dizionarioitalianinelmondo@gmail.com), alla presenza del Segretario Generale dr. Alessandro Masi e di Tiziana Grassi, che ha ideato e diretto il progetto. Lei lo presenterà presso il suo Istituto il prossimo 19 maggio. Un Dizionario, sottolineo, che dedica molti lemmi all’emigrazione italiana in Argentina, al cocoliche, alle tradizioni etnologiche ed etnomusicali, ai principali insediamenti di italiani nel Paese, ai numerosi gemellaggi con città italiane, ai cognomi, alla devozione – come quella a Nostra Signora di Lujan a Buenos Aires -, ai nomi delle strade, alle associazioni, ai Monumenti all’Emigrante, a Manuel Belgrano, oriundo di Imperia che si batté per l’indipendenza dell’Argentina, creatore nel 1812 della bandiera nazionale, oltre agli studi onomastici su Papa Francesco, straordinario oriundo italiano d’Argentina. Tanto premesso, come pensa di strutturare l’evento del 19 maggio prossimo, quali saranno i Relatori e soprattutto quanto ritiene possa essere importante, per la comunità italo-argentina, un’occasione culturale su un’opera che parla di loro, della loro storia, una storia italiana che ha fortemente segnato lo sviluppo dell’Argentina?
L’importanza e il valore culturale di una pubblicazione come il DEMIM per un paese come l’Argentina è evidente. Come ho già accennato in precedenza, qui il senso di appartenenza all’Italia, anche nel caso di coloro che sono argentini da più generazioni, è fortissimo. Il punto è semmai che molto spesso gli italo-argentini conoscono poco il nostro paese, molte volte solo attraverso i ricordi familiari, intrisi di nostalgia ma anche di amarezza nei confronti di una patria che non ha saputo garantire loro un futuro e li ha costretti ad emigrare. Molti italiani, inoltre, rompevano del tutto i contatti con la terra d’origine una volta arrivati nella nuova patria. Era una maniera per guardare in avanti e soffocare la nostalgia. Qui a Buenos Aires ho sentito dire più volte che la città, che solo in pochi tratti ha un lungo fiume sul Rio della Plata, dà volutamente le spalle all’acqua, come per lasciarsi dietro simbolicamente il passato di stenti e sofferenze che spinsero la maggior parte degli emigranti, italiani e non, a lasciare i loro luoghi di origine. Tutto ciò, unito al processo spesso forzoso di assimilazione imposto dalle nuova realtà, ha creato una sorta di cesura nella memoria storica degli italo-argentini. Provi a far vedere a un italo-argentino una cartina dell’Italia e vedrà che immediatamente si metterà a cercare il paese dei nonni; e se non lo trova, cosa assai frequente, perché spesso gli emigranti riportavano ai familiari i nomi di piccoli borghi o frazioni che non esistono nella toponomastica ufficiale, allora inizierà a fare delle domande per sapere se almeno noi, italiani di nascita, sappiamo qualcosa di quella remota parte d’Italia. E’ come un “Chi l’ha visto?” della geografia e della memoria, veramente toccante, che rivela il desiderio di riannodare dei fili di memoria e di affetti recisi dall’emigrazione.
Pertanto uno studio come quello del DEMIM, dotato di rigore scientifico e che fornisce dati concreti sull’emigrazione italiana, è fondamentale per colmare la lacuna di informazioni che ancora esiste circa l’emigrazione italiana in Argentina. Va detto tuttavia che negli ultimi anni, soprattutto qui in Argentina, sono stati pubblicati autorevoli studi sul fenomeno, analizzato in chiave socio-economica, culturale e linguistica. Per la presentazione del DEMIM in Istituto il 19 maggio avremo un panel di relatori straordinario: ci sarà in primo luogo Tiziana Grassi, come lei ha appena ricordato; avremo poi Francesca Ambrogetti, giornalista dell’ANSA e coautrice di una biografia di papa Francesco, che parlerà dell’emigrazione italiana vista dalla prospettiva delle donne; Carlos Alberto Mahiques, giudice di Cassazione, parlerà del diritto penale italiano e della sua influenza su quello argentino; infine avremo con noi Flavio Lauria, sacerdote scalabriniano e Segretario Generale della Commissione episcopale argentina dell’emigrazione e del turismo.
L’italianità, l’appartenenza, l’identità, le radici, le ricerche genealogiche, la Madre-Terra, le seconde generazioni, i discendenti, sono tra i temi trattati nel Dizionario Enciclopedico che sta per presentare a Buenos Aires: nelle complesse dinamiche transgenerazionali dei processi migratori, come vivono gli italo-argentini questi sentimenti di legame identitario con il Paese di origine?
In generale devo dire che qui in Argentina, terra di immigrazione tutto sommato recente, la ricerca delle radici e della propria identità culturale è fortissima, direi quasi un tratto distintivo della mentalità argentina. Per quanto ci riguarda, come ho detto poco fa, il legame identitario con l’Italia è fortissimo tra gli italo-argentini, direi quasi viscerale, che va al di là persino del legame di sangue. Intendo dire che tutti gli argentini, italiani e non, sentono di essere in qualche misura “italiani” quando mangiano, si vestono, scrivono, pensano, fanno politica o vanno allo stadio. E’ una nazione plasmata di italianità, che prova un istintivo senso di simpatia e affetto per noi italiani e a volte persino di complicità, soprattutto quando si tratta di giustificare le proprie magagne. Credo che la nostra missione, come Istituto di Cultura e in generale come Sistema Italia, sia quella di far perno su questo sentimento di affinità spirituale, presentando l’immagine di un paese che non è più quello che lasciarono gli emigranti cento anni fa, bensì un paese moderno, dinamico, che offre opportunità di crescita personale ed economica.
Per concludere, direttore Mazza, qual è il suo augurio per la comunità italiana d’Argentina?
Che possa conoscere sempre meglio il nostro Paese, che possano imparare ad amarlo per quello che è stato nella sua storia millenaria ma anche e soprattutto per quello che è oggi. E’ questo il mio augurio e la mia speranza. Ma molto dipenderà anche da noi “italiani d’Italia”, che a volte siamo i primi a denigrarci e a non vedere il lato positivo di un paese che nonostante i suoi vecchi e nuovi problemi, resta magnifico e seducente.
*Autore e membro del Comitato scientifico del Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo