Cagliari. SIMSPe/SIMIT- CARCERI: IL 6% HA ATTIVITA’ SESSUALE DI NATURA OMOSESSUALE. IL 78,2% NON SODDISFA QUESTO BISOGNO
Prosegure a Cagliari, sino a stasera, il Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (SIMSPe) per la tutela delle condizioni di salute dei detenuti italiani
La prevalenza del virus dell’HIV all’interno delle mura carcerarie è circa dieci volte maggiore rispetto al mondo dei cittadini liberi; le malattie infettive sono circa sei volte di più rispetto alla popolazione libera
Secondo una nuova ricerca il 6% del campione, solo femminile, dichiara che in carcere ha un’attività sessuale: il 100% di loro affermano che ciò avviene mediante rapporti sessuali con persone dello stesso sesso. Il 78,2% del campione indagato non riesce invece a soddisfare i propri bisogni sessuali in carcere (Perugia-Capanne100% vs Roma-Rebibbia 66,7%).
IL CONGRESSO – Lo studio, i cui risultati saranno pubblicati a breve sulle riviste specializzate, è stato presentato in anteprima nazionale a Cagliari durante il XVI Congresso Nazionale SIMSPe-Onlus/L’Agorà Penitenziaria 2015: “Se il Paziente è anche Detenuto”. L’appuntamento, che prevede la presenza di 250 specialisti, italiani ed europei, e che proseguirà sino a stasera, è organizzato e presieduto da Sergio Babudieri, Professore di Malattie Infettive all’Università di Sassari nonché Presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (SIMSPe). Molti gli argomenti previsti: si parlerà di emergenze cardiologiche e di “Sex Offender”, tra punizione e risocializzazione, nonché di rischio clinico e responsabilità degli operatori sanitari penitenziari, di gestione dello stress e del malessere organizzativo in carcere.
“Come aspetto innovativo di questo Congresso – aggiunge il Prof.Luciano Lucanìa, attuale vice-Presidente SIMSPe – io individuo la tavola rotonda sul rapporto tra Sanità e Giustizia: è la prima volta che se ne parla in maniera esplicita e se ne parlerà anche in maniera piuttosto “vivace”. Altro elemento peculiare, gli aspetti sulla telemedicina, che verrà trattata con il contributo di Federsanità, che è oggi il soggetto istituzionale che in Italia che la sta affrontando più intensamente. Questi sono i due punti di forza. La sanità penitenziaria appartiene alla medicina sociale: il carcere non è un luogo di cura o di ricovero, ma una residenza, ospitando coattivamente delle persone che altrimenti sarebbero altrove. Ciò che avviene nelle carceri ha dunque una valenza socio-sanitaria, in quanto il carcere resta una parentesi transitoria nella vita di un individuo: la questione sociale è dunque una componente del problema”.
“La SIMIT, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali – dichiara Massimo Andreoni, Professore di Malattie Infettive, Università di Roma “Tor Vergata” e Presidente SIMIT – è molto interessata al prossimo convegno nazionale di medicina penitenziaria in quanto ritiene che le istituzioni nel mondo carcerario rappresentano una priorità. Recenti studi condotti in merito, infatti, dimostrano come la percentuale di detenuti con infezioni da virus epatitici, dal virus dell’AIDS e da tubercolosi sia rilevante. Inoltre, il periodo di detenzione può rappresentare un momento fondamentale sia per l’eventuale diagnosi di infezioni non riconosciute sia per avviare cicli di terapia che permettano, come nel caso dell’epatite C, di guarire dall’infezione. In tal senso, il periodo di detenzione, che rappresenta un momento drammatico per la vita del detenuto, sotto il profilo sanitario può essere funzionale sia a fini diagnostici che terapeutici per le malattie infettive in atto”.
LA RICERCA SUI COMPORTAMENTI SESSUALI – Il sesso rappresenta l’argomento maggiormente ignorato all’interno del carcere, al punto che ad oggi esistono scarsissimi studi in merito. Tra questi rientrano quelli scaturiti dalle intuizioni del Prof. Alfredo De Risio, Responsabile UOS di Psicologia Penitenziaria ASL Roma H, il quale ha progettato attività di studio, ricerca e formazione in collaborazione con prestigiosi Atenei, Enti di ricerca e società scientifiche,tra cui la SIMSPe e l’Istituto per lo Studio delle Psicoterapie.
Nell’ambito delle articolate collaborazioni poste in essere dal Prof. De Risio, l’Università di Tor Vergata e i professori Alvaro e Antonetti, è stato sviluppato un recentissimo percorso di ricerca i cui risultati definitivi saranno presentati in anteprima nazionale durante il XVI Congresso SIMSPe, condotto dal gruppo dellaProf.ssa Rosaria Alvaro e del Prof. Giovanni Antonetti nell’ambito delle attività del Dottorato di ricerca in Scienze infermieristiche della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, relativamente ai bisogni di salute della popolazione carceraria femminile nelle strutture carcerarie di Roma- Rebibbia e Perugia- Capanne, ha indagato specificamente sui bisogni di relazioni interpersonali e di sessualità. Dai dati rilevati si evince che il 6% del campione dichiara che in carcere hanno una attività sessuale: il 100% di loro affermano che ciò avviene mediante rapporti sessuali con persone dello stesso sesso. Il 78,2% delle donne detenute affermano che, complessivamente, non ritengono di riuscire a soddisfare i propri bisogni sessuali in carcere (Perugia-Capanne100% vs Roma-Rebibbia 66,7%).
LE CAUSE – I primi dati elaborati della ricerca sugli abusi sessuali permettono di rilevare che, tra le cause principali del disagio da reclusione, vi è una sindrome rilevabile esclusivamente nelle comunità confinate, quali sono le carceri: il“panico omosessuale”. “Esso – spiega il Prof. Alfredo De Risio, Comitato Scientifico SIMSPe– è espressione di una sessualità coatta, ed è ricollegabile, inoltre, al bisogno di confermarsi sia nelle sottoculture carcerarie che come “uomo” e “donna”. L’evidente delicatezza del sondare nei luoghi della reclusione il tema della sessualità, rimanda comunque alla possibilità di monitorare il fenomeno attraverso lo studio delle malattie sessualmente trasmissibili, quali ad esempio l’HPV (Papilloma Virus)e la sifilide, come i numerosi studi di sigla confermano”.
MALATTIE INFETTIVE NELLE CARCERI – I dati rilevati sulle patologie infettive a livello internazionale indicano che l’HIV, l’HCV e le malattie a trasmissione sessuale sono più frequenti nei detenuti rispetto alla popolazione generale. In Italia, la prevalenza del virus dell’HIV all’interno delle mura carcerarie è circa dieci volte maggiore rispetto al mondo dei cittadini liberi (2,08% vs 0,20%), così come all’interno delle mura carcerarie è stata rilevata una prevalenza di malattie infettive di circa sei volte maggiore rispetto alla popolazione libera (6,64% vs 1,10%). Nello specifico dello studio sopra menzionato, condotto dal gruppo della Prof.ssa Rosaria Alvaro e del Prof. Giovanni Antonetti, il 9,1% delle detenute sono affette da epatite C, il 7,3% da epatite B, il 3,6% da HIV, il 3,6% da Herpes genitale, il 3,6% da HPV e l’1,8% da Candida.