Roma, 16 giugno – “Proteggiamo il minore quando l’avvocato bussa alla porta dello psicologo e interferisce nella terapia dei bambini per un interesse proprio o di un singolo genitore separato”. Lo chiede Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutiva, che ha deciso di stabilire un contratto che tuteli i piccoli pazienti figli di genitori separati ed eviti situazioni spiacevoli. Una tutela attuata tramite la firma di un accordo terapeutico che prevede non solo il consenso di entrambi i genitori alla terapia, ma anche la tutela dell’intervento sul minore. “Lo psicologo e il Centro/Studio non possono essere coinvolti in eventuali conflitti o contenziosi giudiziari tra i coniugi”, afferma Castelbianco.
Attualmente “i terapeuti, oltre ad affrontare le difficoltà connesse alla professione di aiuto, si trovano anche a gestire interferenze che nulla hanno a che fare con l’obiettivo primario: l’aiuto al minore. Sempre più spesso lo psicologo- spiega lo psicoterapeuta dell’età evolutiva impegnato nella professione da oltre 40 anni a livello nazionale- si trova a ricevere telefonate da parte di avvocati o richieste di certificazioni che non hanno l’intento di mera conoscenza dell’andamento terapeutico o dello stato di salute del bambino, ma che si traducono in strumenti di attacco adottati da uno dei due genitori verso il coniuge separato, o richiesti dall’avvocato da portare in tribunale a favore della propria posizione”.
Oltre al “fastidio di essere strumentalizzati per interessi diversi da quelli del bambino- sottolinea Castelbianco- tali richieste nuocciono al lavoro di aiuto e quindi al minore. Il ruolo dello psicologo che prende in terapia un figlio di genitori separati non è quello di mediatore della coppia, ma di aiuto al bambino al fine di fargli superare il suo disagio. Non è possibile essere spettatori, o anche ignari partecipanti, alla progettazione negativa nei confronti del piccolo”.
Nell’accordo viene chiarito ad entrambi i genitori “che non verrà dato seguito a richieste avanzate da avvocati, ma solo a quelle eventuali del giudice. Lo psicologo e il suo Centro/Studio non rilasceranno pareri scritti di qualsiasi tipo a un singolo o a entrambi i genitori, salvo periodiche relazioni sull’andamento della terapia che saranno consegnate a entrambi. Proprio perché il padre e la madre portano il figlio in terapia in quanto riconoscono la presenza di un disagio, il cui superamento è un obiettivo condiviso, non può essere accettato- afferma Castelbianco- che il minore sia coinvolto direttamente o indirettamente in squalifiche sull’operato del Centro/Studio, del terapeuta o dell’altro genitore. Comportamenti contrari a queste linee di condotta- conclude- impediscono in modo fondamentale l’andamento e il buon esito della terapia”.