24 settembre 2015
Il presule brasiliano, oriundo italiano, torna dopo 15 anni; la storia della famiglia
di Goffredo Palmerini
L’AQUILA – Ha voluto dedicare gli ultimi tre giorni del suo viaggio a Roma, dove con tutti gli altri vescovi nominati nel 2014 ha fatto un “pellegrinaggio sulla tomba di Pietro” – così Papa Francesco ha definito il convegno -, per rivedere gli amici di Paganica, popolosa frazione della città capoluogo d’Abruzzo. Mons. Adelar Baruffi, vescovo della diocesi di Cruz Alta nel Rio Grande do Sul, in Brasile, è arrivato giovedì scorso all’Aquila, accolto da don Dante Di Nardo, parroco di San Francesco a Pettino (L’Aquila) e fino al 2007, per 16 anni, alla guida della parrocchia di Santa Maria Assunta in Paganica. Don Adelar aveva frequentato Paganica per oltre due anni, dal 1998 al 2001, su invito di don Dante, mentre era a Roma per seguire gli studi presso la Pontificia Facoltà Teologica “Teresianum”. Nei fine settimana, però, veniva a Paganica ad aiutare il parroco nelle celebrazioni e nella attività pastorali. Una frequentazione che peraltro aveva interessato, dal 1992 in poi, numerosi altri sacerdoti brasiliani impegnati negli studi teologici presso le università Gregoriana, Lateranense, Urbaniana ed altre, che il sabato e la domenica volentieri raggiungevano Paganica per dare una mano in parrocchia. Restano infatti nel cuore e nel ricordo della comunità paganichese don Uba, don Claudio, don Gilmar, don Jaime, don Giovanni, don Casimiro, don Daniele e infine don Vital Corbellini, diventato poi vescovo di Marabà, in Amazzonia.
Doloroso ed emozionante, per Mons. Baruffi, l’impatto con il centro storico dell’Aquila. Laceranti le ferite inferte dal terremoto del 2009 ad una delle città d’arte più belle d’Italia, che egli ricordava come una bomboniera d’incantevoli architetture, scorci stupendi, superbi monumenti e preziosità artistiche. Ma la visita nel cuore antico della città, in compagnia di don Dante, nondimeno l’ha potuto rinfrancare alla vista di tanti cantieri in attività e dei palazzi già restituiti alla loro luminosa bellezza. La visita si è poi conclusa alla Basilica di San Bernardino, di recente riconsegnata agli aquilani dopo un pregevole restauro che ne esalta la rinascimentale magnificenza, sebbene restino ancora da realizzare i lavori alle cappelle laterali e al finissimo mausoleo del santo senese che all’Aquila volle venire a morire nel 1444, opera dello scultore Silvestro dell’Aquila, allievo di Donatello.
Nel pomeriggio l’arrivo a Paganica. Ci si incontra davanti la Chiesa madre di Santa Maria Assunta, ancora fasciata da funi d’acciaio e puntellamenti. Se ne attende l’avvio dei lavori, già da tempo finanziati. Sarà questo il segno della rinascita, l’incipit della faticosa ricostruzione del paese e del senso stesso della comunità paganichese, annichilita dalla distruzione del centro storico più vasto dopo quello dell’Aquila. Se infatti ci sono segni importanti per la città capoluogo, diverso è il caso dei centri storici delle 64 frazioni dell’Aquila, ancora in attesa dei primi interventi di ricostruzione, tuttavia annunciati per la prossima primavera, mentre nel frattempo molte sono le case dirute e la vegetazione invade muri e vie, riconquistandoli alla natura. Partiamo dalla piazza principale di Paganica, per un giro tra le macerie. Per don Adelar, don Dante e chi scrive è un’indicibile sofferenza percorrere le vie, già specchio dell’armonia architettonica e della suggestione che i nostri centri antichi evocavano. Ma s’avverte anche la speranza di veder presto cantieri che faranno risorgere Paganica, con il suo intrico di viuzze, sdruccioli ed archi che arrancano al Colle, da dove s’apprezza una meravigliosa vista della conca aquilana. Riscendiamo verso la Chiesa di Santa Maria del Presepe, detta del Castello per via d’essere sorta nel 1605 sulle rovine dell’antico castello distrutto da Antonuccio Camponeschi dopo la vittoria degli aquilani nella decisiva battaglia del 2 giugno 1424 contro le truppe di Braccio da Montone. Il tempio nella sua imponenza s’erge sull’alta spianata di roccia, appena scalfito dal sisma nel campanile a vela e sulla parte sommitale della facciata in pietra squadrata, indorata dal tempo.
Lasciamo quel luogo per l’ultimo tratto in “zona rossa”, così sono confinati e definiti i centri storici da quel terribile 6 aprile 2009. E’ ora di avviarsi per la messa vespertina alla Chiesa degli Angeli Custodi, bella struttura in legno costruita dai volontari del Trentino con le donazioni di Pinzolo e degli altri comuni della Val Rendena. Con Mons. Baruffi concelebrano don Dante e don Federico. Commossa l’omelia di don Adelar, al ricordo del tempo condiviso in parrocchia a Paganica, nei week end di quei due anni di studi teologici a Roma. La ricchezza dei rapporti umani, le amicizie, le esperienze di fraternità vissute nel percorso di fede restano vivi come un vero patrimonio d’umanità. E vivo ancora è il ricordo d’un chierichetto assiduo e “sapiente”, che poi ha conosciuto la grazia della vocazione al sacerdozio: quel Federico, appunto, che ora gli è accanto. Dopo la celebrazione eucaristica l’abbraccio della comunità al vescovo, all’amico di Paganica che nell’omelia ha richiamato le origini bergamasche del suo bisnonno, emigrato nel 1875 in Brasile da Fornovo San Giovanni. Un intenso tributo d’affetto si riversa verso il presule brasiliano.
Il sole declina al tramonto, trapuntando di porpora le cime del Gran Sasso e di luce dorata i contrafforti boscosi della maestosa catena di monti. C’è ancora tempo per una puntata al Santuario d’Appari. Si segue il nuovo percorso pedonale che costeggia il torrente Raiale, immerso nel verde. Arriviamo con il buio incipiente. La duecentesca chiesa, incastonata tra le rocce, ha la facciata illuminata di calda luce. Contrasta, d’intorno, con il grigio della sera. Entriamo. Chiede notizie, don Adelar, sulle conseguenze del terremoto. Pochi i danni subiti dal Santuario, già risanati con un tempestivo intervento disposto dalla Soprintendenza ai Beni Culturali. Il prelato s’incanta al cospetto degli affreschi intorno all’altare, i più antichi della chiesa impreziosita per tre quarti da dipinti murali. Grande la maestria degli artisti che affrescarono scene di vita del Cristo, la sua passione, crocifissione e deposizione dalla Croce. Quegli affreschi sono attribuiti alla scuola di Francesco da Montereale, uno dei grandi pittori dell’arte abruzzese nel Quattrocento. L’emozione di don Adelar è davvero forte. Si torna a Paganica, ancora esprimendo sensazioni intense mentre si va verso il Centro Parrocchiale San Giustino, dove ci attende un’agape fraterna preparata dalla comunità. E’ ancora clima di festa, di comunione e di grande amicizia. Fin quasi al volgere della notte. Sabato scorso, prima di volare l’indomani per il Brasile, don Adelar è tornato a Paganica a celebrare la messa mattutina al Monastero delle Clarisse. Ha potuto così ammirare anche il restauro della chiesetta di San Bartolomeo che, in attesa del completamento dei lavori alla Chiesa del Carmine, custodisce il corpo della Beata Antonia da Firenze, fondatrice nel 1447 della comunità claustrale aquilana sotto l’impulso di S. Giovanni da Capestrano.
Don Adelar Baruffi, e la schiera di sacerdoti brasiliani avvicendatisi per un quindicennio a Paganica, sono tutti discendenti di italiani. Nonni o bisnonni di origini venete, lombarde e trentine, emigrarono tra Ottocento e Novecento nel grande Paese sudamericano. In quella zona meridionale del Brasile, il Rio Grande do Sul, a confine con Uruguay e Argentina, si diresse infatti un imponente flusso migratorio dall’Italia, sopra tutto dal Veneto, Lombardia e Trentino. Portarono in Brasile la propria cultura e le abitudini regionali. Lavorarono sodo, strappando talvolta quelle terre alla selva, convertendole all’agricoltura. E a vigneti. Lo racconta efficacemente la geografa Flavia Cristaldi in un bel libro, “E andarono per mar a piantar vigneti”, pubblicato quest’anno dalla Tau Editrice per la Fondazione Migrantes. Vigneti e conoscenze enologiche ora vanno aprendo al Brasile promettenti prospettive nella produzione autoctona di vini, grazie a quei vitigni portati dall’Italia quasi un secolo e mezzo fa dai primi emigranti, sui bastimenti diretti nel Paese carioca. Fu una vera e propria colonizzazione, quella italiana nel Rio Grande do Sul, insieme a tedeschi e portoghesi. Basti pensare che Caxias do Sul, la seconda città più popolosa di quello stato meridionale del Brasile, nel 1890 fu proprio fondata da immigrati veneti. Il Brasile, d’altronde, è il Paese che in termini assoluti ha più cittadini d’origine italiana, con una stima che raggiunge i 25 milioni. Singolare il caso di San Paolo, oggi la terza area metropolitana più popolata al mondo, dove la città paulista è per metà italiana, con oltre 7 milioni di oriundi: la più grande città italiana si trova dunque fuori dell’Italia, in Brasile!
Là, nel Rio Grande do Sul, nel 1875 era giunto da Fornovo San Giovanni (Bergamo) Francesco Baruffi (1845 – 1931), insieme alla moglie Rosa Fontana e ai primi due figli. Altri cinque ne sarebbero nati da Rosa, nella nuova terra. Alla morte della moglie, risposato con Lucia Bettio, Francesco ebbe altri sette figli, dando così vita ad una stirpe numerosa. Don Adelar Baruffi, figlio di Melibio e di Iraci Benini, è nato il 19 ottobre 1969 a Coronel Pilar, frazione della municipalità di Garibaldi, da una modesta famiglia di contadini e piccoli proprietari di terra in una regione di montagna. “La prima lingua che ho imparato – ci dice Mons. Baruffi – è stato il dialetto bergamasco, che tuttora parlano i miei genitori, ogni giorno. Due caratteristiche hanno distinto la mia famiglia: la fede e il lavoro. La giornata, impegnata nel lavoro dei campi, finiva soltanto dopo che tutta la famiglia si raccoglieva per recitatare il rosario. In quell’ambiente semplice, in compagnia dei genitori, dei miei fratelli Alexandre e Arlete, dei nonni Eolino e Linda, ho scoperto che Dio mi chiamava alla vocazione sacerdotale. Uscii da casa per entrare nel seminario di Caxias do Sul quando avevo 14 anni.”
Adelar Baruffi ha compiuto gli studi di Filosofia presso l’Università di Caxias do Sul e quelli di Teologia presso la Pontificia Università Cattolica di Rio Grande do Sul. Il 12 gennaio 1995 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale nella chiesa parrocchiale di S. Lorenzo, a Coronel Pilar, ed è stato incardinato nella diocesi di Caxias do Sul. Ha poi conseguito la Licenza in Antropologia Teologica e Teologia Spirituale presso la Pontificia Facoltà Teologica del Teresianum a Roma e ha seguito corsi per Formatori di Seminario in Brasile e a Santiago del Cile. Dopo l’ordinazione sacerdotale, è stato chiamato a seguire la formazione dei giovani al sacerdozio, per 15 anni, come Rettore dei Seminari minore e maggiore della diocesi. E’ stato anche coordinatore della Pastorale Presbiterale diocesana. Negli ultimi tre anni è stato vicario nella Parrocchia S. Antonio, a Bento Gonçalves. Il 17 dicembre 2014 Papa Francesco l’ha nominato vescovo della diocesi di Cruz Alta. L’ordinazione episcopale è avvenuta nel Santuario di S. Antonio, il 7 marzo 2015, a Bento Gonçalves. Una settimana dopo è iniziato la sua missione episcopale a Cruz Alta. La diocesi di Cruz Alta è estesa 16 mila kmq, ha una popolazione di 400 mila abitanti, in maggioranza cattolici. Sono discendenti di italiani, tedeschi, portoghesi, africani e polacchi. La diocesi è stata costituita soltanto 42 anni fa. E’ formata da 32 parrocchie che assistono quasi 500 comunità cattoliche nelle città, nei villaggi e in campagna. 28 sono i sacerdoti diocesani, più 8 religiosi, coadiuvati da laici che assolvono ad un significativo impegno nella pastorale delle parrocchie, dato il ridotto numero di sacerdoti.
Questa, dunque, la storia familiare di Mons. Adelar Baruffi, un “figlio” dell’emigrazione italiana in Brasile. Un oriundo orgoglioso delle origini italiane dei suoi avi. Un notevole impegno pastorale, il suo, una grande responsabilità nella Chiesa del Brasile. Con i suoi 45 anni don Adelar è il più giovane vescovo del Paese. Anche questo è il risultato della nostra emigrazione. Un esempio del servizio che un oriundo italiano rende al popolo del Brasile, come lo è nella fede il servizio episcopale. D’altronde, proprio da un Paese “ai confini del mondo” Jorge Maria Bergoglio, figlio di emigrati piemontesi in Argentina, ha cominciato la sua missione di pastore di anime che lo ha portato sul Soglio di Pietro.