Uno dei mali più gravi e corrosivi del mondo è l’indifferenza, a simbolo della quale assurge la cecità assoluta di ogni protagonista che abbia scelto (senza mai scegliere) di rimanere sospeso tra la possibilità e l’incapacità di essere. La popolazione mondiale degli indifferenti sta aumentando negli ultimi anni in modo spropositato.
Le parole sono sempre più vuote, sempre meno significative. C’è ancora la buona poesia, per fortuna. Perfettamente inutile agli occhi di tutti, ma ancora straordinariamente efficace perché è l’unica a parlare da un pulpito improvvisato; l’unica a parlare aggirando anche il mentale di colui che scrive.
E parlando proprio di poesia, è uscito in questi giorni, edito da LietoColle, Telepatia di Gian Mario Villalta. Un libro di poesie che parla dalla realtà, parla da focolai di sofferenze, di finzioni, di speranze cannibali e di sogni che sono veri solo quando si dorme:
“ Che cosa è stato pretendere una vita/ senza sapere della vita nulla …”// – né si sa più cosa c’è/ dietro gli occhi sereni,/ lo sguardo che giura che va tutto bene,/ buono per i genitori e anche per quel signore/ che fa le foto al primo giorno di scuola.// Che cosa obbliga una psiche/ stupefatta di tutto/ una farfalla ancora mezzo in bozzolo, a sognare/ – macché sognare, a volere per sé/ una felicità al futuro./ E come lo sa che c’è, questa felicità?”
Un libro che consigliamo di leggere, questo di Villalta, un libro figlio del nostro tempo che guarda in faccia, senza abbassare lo sguardo, la vita e il mondo per quelli che sono.
LietoColle
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