Leopoldo “Leo” Mascioli: favorì e curò l’arrivo, in Canada, di oltre 25.000 … Era nato a Cocullo (AQ) nel 1876.
Associazione Culturale “AMBASCIATORI DELLA FAME”
Pescara, 19 gennaio 2017
Leopoldo “Leo” Mascioli: favorì e curò l’arrivo, in Canada, di oltre 25.000 suoi connazionali (dei quali, moltissimi, abruzzesi). Da loro fu sempre amato. Divenne un imprenditore di grande successo e costruì un, vero e proprio, impero economico. Nel 1940 conobbe, ingiustamente, la prigionia al “Campo Petawawa”. Era nato a Cocullo (AQ) nel 1876.
Leopoldo “Leo” Mascioli nacque a Cocullo (AQ) nel 1876. All’età di dieci anni, accompagnato da un lontano parente, arrivò a Boston dove lavorò come lustrascarpe, “strillone” ed infine come cameriere. A 19 anni, “Leo” , ebbe l’occasione di leggere una pubblicità che esaltava le opportunità, lavorative, offerte dal Canada. Questa cosa suscitò il suo interesse. Convinse anche alcuni suoi amici a firmare un contratto, di sei mesi, per una società siderurgica di Sydney, Contea Nova Scotia, in Ontario. Intuì, da subito, che questa terra aveva estremo bisogno di manodopera e allora si ingegnò ed ingegnò per farvi giungere il maggior numero di italiani (abruzzesi in particolare). In breve tempo, anche se giovanissimo, riuscì a conquistare la fiducia dei suoi connazionali ed esercitare un’enorme influenza sulla intera comunità. Nel 1904 tornò in Italia per sposare, la sua amica d’infanzia, Raffaella De Dominicis. Tornato in Canada si stabilì a Timmins. Da questo momento in poi, “Leo”, iniziò una scalata che lo portò ad accumulare una incredibile fortuna economica. Ci fu una richiesta di personale per la ricerca di argento e solo lui fu in grado di fornire 150 operai. Mascioli divenne indispensabile per il reclutando di minatori. Sempre in quegli anni strinse un rapporto con l’importante e potente “ Hollinger Inc.” di Toronto. Nel 1914, nella convinzione che questo potesse servire a migliorare lo stato di salute di sua moglie, tornò in Italia. Purtroppo non fu così perché, a Cocullo, la sua amata Raffaella morì. In seguito Mascioli ampliò la sua attività e praticamente tutto quello che veniva fatto a Timmins e in Ontario era opera sua. Intanto continuava a favorire l’arrivo di suoi connazionali, si parlò di una cifra pari a 25.000, in Canada. Per loro curò l’arrivo, la collocazione di lavoro e poi quella abitativa. E non disdegnò, mai, di essere con loro solidale. Fu, per questo, sempre amato dai suoi connazionali. “Leo” vinse appalti per ampliamenti, marciapiedi, acqua e fogna, costruzioni e manutenzioni. Costruì e ne fu proprietario il più lussuoso albergo dell’Ontario: l’Empire di Timminns. Divenne proprietario dei migliori hotel della zona, così come di una catena di sale cinematografiche, concessionarie di automobili e garage. La più importante macchina economica fu sicuramente la “Mascioli Construction Company”. Divenne una figura di spicco dell’élite locale e i politici sapevano che senza il suo appoggio non sarebbero andati da nessuna parte. Ricoprì numerosi e prestigiosi ruoli: in particolare fu Presidente della “Timmins Theatres Limited”, “Northern Empire Theatres”,”Empire Hotel Company”, “Timmins Garage Compan”, “Mascioli Construction Company,”, “Lady Laurier Hotel” e Amministratore Delegato della “Timmins Teatri Limited”. Al suo fianco lavorò per lunghi anni il fratello Antonio. Nel 1940, l’Italia dichiarò guerra al Canada e questo portò ad identificare molti italiani come “ stranieri nemici”. Tra questi ,“Leo” Mascioli, al quale venne imputata la responsabilità di una tessera del PNF risalente al 1938 (in quell’anno aveva fatto ritorno in Italia per la morte della madre). Per questo fu internato come prigioniero al “Campo Petawawa”. Ne uscì, pesantemente provato, otto mesi dopo. Riprese, con successo, le sue attività e infine passò il “testimone” a suo figlio Daniele (prestigioso avvocato). Leopoldo “Leo” Mascioli morì il 24 aprile del 1951.
Foto 1: Leopoldo “Leo” Mascioli;
Foto 2: Leopoldo “Leo” Mascioli, secondo da sinistra, su uno dei suoi tanti cantieri.
Geremia Mancini – Presidente onorario “Ambasciatori della fame”