Celebrazione 25 aprile a Pescara. Il discorso del Sottosegretario d’Abruzzo Mario Mazzocca.

“Un doveroso saluto a tutti coloro i quali hanno ritenuto importante sottolineare l’importanza dell’odierno evento con la diffusa e qualificata partecipazione. Ringrazio, pertanto, tutti i cittadini che ci hanno voluto onorare della loro presenza, le autorità militari, religiose e civili, i partiti politi ci, l’ANPI e le associazioni combattentistiche e d’arma, i gruppi di volontariato, le associazioni culturali e ricreative e i tanti giovani presenti.
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Alcune considerazioni.
La data del 25 aprile rappresenta un giorno fondamentale per la storia della giovane repubblica italiana. E’ l’anniversario della rivolta armata partigiana e popolare contro le truppe di occupazione naziste tedesche e contro i loro fiancheggiatori fascisti della Repubblica Sociale Italiana. Il 25 aprile 1945 segna il culmine del risveglio della coscienza nazionale e civile italiana impegnata nella riscossa contro gli invasori e come momento di riscatto morale di una importante parte della popolazione italiana dopo il ventennio di dittatura. Alla liberazione dell’Italia dalla dittatura si poté arrivare grazie al sacrificio di tanti giovani, ragazzi e ragazze che, pur appartenendo ad un ampio ed eterogeneo schieramento politico (dai comunisti ai gruppi cattolici, dai socialisti agli azionisti), si chiamavano con un solo nome: partigiani; combatterono (sotto diverse forme) al fianco di molti soldati provenienti da paesi diversi e lontani (dagli USA all’Australia, dall’India alla Nuova Zelanda), tutti accolti come alleati. Non è nostra intenzione fornire una ricostruzione storica dei fatti e dei protagonisti, ma semplicemente contribuire a sfatare una teoria storiografica revisionista che, soprattutto negli ultimi anni, è stata molto di moda: la Resistenza come “guerra civile”. Benché la Resistenza sia stato un fatto coinvolgente per lo più gli italiani delle aree centrali e settentrionali, essa non è stata affatto una guerra di italiani contro italiani, come in Spagna, nel 1936. Il 25 aprile 1945 i partigiani liberano Milano dall’occupazione dei nazisti e dai fascisti. In Europa capitola definitivamente il terzo Reich, di fronte all’avanzata dell’Armata Rossa e degli anglo-americani; il suo duce, Hitler, si suicida nel suo bunker. Più di cinque anni dopo l’invasione tedesca della Polonia, dunque, la guerra mondiale giunge al suo capolinea. L’ultimo atto del fascismo è il tentativo di fuga, prima, e la fucilazione, poi, di Benito Mussolini. Si conclude così, con questo tragico epilogo, un periodo caratterizzato da venti anni di dittatura fascista e da cinque anni di guerra. Questi i fatti che alcuni vorrebbero reinterpretare, eventi storici che taluni provano faticosamente a riscrivere. In realtà si trattò dello scontro tra soldati e combattenti italiani contro gli invasori tedeschi ed i collaboratori repubblichini: i primi, nel rispetto della pluralità politica, combattevano in nome della libertà e della democrazia, i secondi combattevano a fianco delle SS hitleriane sostenitrici della necessità di uno “spazio vitale” per la Germania nazista. La storia della Resistenza non si riscrive. In Italia, ormai da qualche tempo, si ripetono tentativi, tanto goffi quanto pericolosi, tendenti a voler confondere artatamente la memoria collettiva con la memoria condivisa. Memoria collettiva e memoria condivisa, infatti, non sempre sono sinonimi, dal momento che mentre la prima rimanda ad un unico passato, cui nessuno di noi può sottrarsi e che coincide appunto con la nostra storia, la seconda sembra tendere ad un’operazione più o meno forzosa di azzeramento delle identità e di occultamento delle differenze. Il rischio di una memoria condivisa è quello di una smemoratezza patteggiata, con la conseguenza che la richiesta di pacificazione si traduce sempre più in pretesa di parificazione. La costruzione di una storia condivisa per ogni italiano non deve comportare alcuna parificazione, ancorché postuma, fra le ragioni della democrazia e quelle dell’oppressione totalitaria. Anche per questi motivi, la storia della Resistenza non si riscrive. Per quanto accaduto, pertanto, diciamo no a «un improponibile revisionismo». Per quanto accaduto, oggi, 25 Aprile 2017, nel 72° anniversario della Liberazione Nazionale, queste mie scarne parole vogliono essere memoria e testimonianza di una delle più tragiche pagine di storia che il secolo scorso ha fatto ricordare alla nostra nazione e al mondo intero. La seconda guerra mondiale è stata la più devastante quanto a perdite umane e distruzione materiale. Un conflitto che ha coinvolto 61 nazioni, provocato la morte di 55 milioni di persone tra militari e civili. Una guerra di una ferocia senza pari fino all’uso di armi di distruzione di massa mai viste fino allora (bomba atomica), nella quale la popolazione civile fu coinvolta direttamente nei combattimenti, nelle rappresaglie e nei bombardamenti aerei. Come quelli 14, 17 e 20 settembre 1943 qui a Pescara, nei quali rimasero uccise 3.000 persone e fu distrutto o danneggiato l’80% degli edifici della città. Anni in cui il mondo dovette assistere al più terribile dei crimini: la deportazione e lo sterminio di oltre 6 milioni di ebrei e di altri milioni di uomini e donne nei lager nazisti. Ma il coraggio, la forza, la volontà di riscatto e di difesa della nazione italiana dall’oppressione nazi-fascista, spinse tanti uomini, donne e ragazzi di diversa formazione culturale ed ideologica, ad unirsi nel combattere per la libertà e la democrazia. La loro determinazione ci ha regalato una nazione nuova, ha permesso alle generazioni successive di vivere nella pace e nel progresso, ha riunificato l’Italia e gettato le basi per lo sviluppo della convivenza civile rappresentata dai valori fondamentali iscritti nella Carta Costituzionale. Ma dobbiamo ricordare che la nostra libertà è nata dal sacrificio umano di tanti partigiani, di tanti soldati, ufficiali e semplici cittadini accomunati da un unico obiettivo: ridare dignità, libertà e democrazia all’Italia. La Resistenza ha dovuto pagare un tributo di sangue altissimo. Il ricordo e il doveroso rispetto umano per gli italiani che combatterono e morirono avendo scelto idealmente e in buona fede di rimanere dall’altra parte non può però far sottacere la verità e la sostanziale differenza tra le due scelte: questi ultimi scelsero di difendere fino all’estremo un regime interno oppressivo, dittatoriale e connivente con le efferatezze degli occupanti nazisti, gli altri avevano scelto di combattere per la libertà, la democrazia e la pace. La riconciliazione nazionale non può passare attraverso il disconoscimento della verità e l’annullamento delle differenze di scelte! Ed è da questa memoria che deve nascere l’impegno di tutti, a non abbassare mai la guardia verso ogni forma di oppressione, di barbarie, di distruzione umana che purtroppo ancora oggi affliggono questa nostra umanità. La testimonianza odierna deve ribadire il netto rifiuto verso tutto ciò che è sopraffazione, verso ciò che è contro la dignità umana e la civile convivenza. Ma oggi è anche la giornata della testimonianza della volontà comune degli italiani di continuare a riconoscersi nei valori fondamentali della Costituzione che ha garantito decenni di convivenza democratica e civile, attraverso la consapevolezza che la libertà, la democrazia e la pace si possono coltivare solo con la condivisione dei grandi principi che ispirarono i nostri padri costituenti e che riunirono uomini pur radicati in forti contrapposizioni ideali e ideologiche. Il ricordo dei martiri della ‘Palombaro’. In ultimo, ma non da ultimo, ritengo doveroso ricordare i trucidati da nazi-fascisti nel periodo di occupazione tedesca intercorrente fra i mesi di settembre 1943 e giugno 1944, sottolineando ora ed esplicitamente l’alta valenza del loro estremo sacrificio. Per tutti loro valga il mio pensiero a ciò che accadde qui a Pescara l’11 febbraio 1944, ai 9 partigiani della banda “Palombaro” fucilati da paracadutisti tedeschi nei pressi della pineta di Pescara. Catturati a Chieti dai fascisti repubblicani di Mario Fioresi, furono rinchiusi, torturati e consegnati ai tedeschi che, dopo un veloce processo-farsa, ne decretarono la condanna a morte: Pietro Cappelletti, Nicola Cavorso, Aldo e Alfredo Grifone, Massimo Beniamino Di Matteo, Raffaele Di Natale, Stelio Falasca, Aldo Sebastiani e Vittorio Mannelli pagarono, così, con la vita il desiderio di libertà che li aveva portati a combattere a Palombaro, a pochi chilometri dal fronte, in nome di un futuro ancora da scrivere. Ricordarli, come oggi abbiamo fatto e come abbiamo l’obbligo di fare in ogni occasione, farà sì che il loro martirio non venga tradito ma anzi possa servire di monito e di insegnamento soprattutto per le attuali e future giovani generazioni.

Viva la Repubblica Italiana, Democratica e Costituzionale! In uno, Viva l’Italia!”

Mario Mazzocca, Sottosegretario alla Presidenza d’Abruzzo