Dalla parte delle donne, In rilievo

CHI SEI? NESSUNO

 

Prof.ssa Lucia Denise Marcone ©

 

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RIVEDERSI (C) Foto Walter De Berardinis per www.giulianovanews.it (C)

E’ passato qualche giorno dall’ultimo articolo, in quanto ho atteso la risposta di una scrittrice abruzzese per poter commentare insieme a lei le ultime notizie. Poi è trascorso qualche giorno per smaltire la sorpresa e la delusione dell’assenza assoluta di risposta. Ancora una volta mi si conferma la difficoltà di comunicazione da parte di chi avrebbe qualcosa da dire ma lo dice ad un cenacolo ristretto di persone, gli intellettuali, tralasciando gran parte della gente. Cavolo!!!! E io mi ci arrabbio perché la gente, quella che talvolta ho sentito definire “ il popolino” mi piace e perché, diciamola tutta, mi hanno insegnato che ciascuno è portatore della propria magnifica realtà e anche quando sembra essere incomprensibile e inaccettabile, lo sforzo di una mente che permea l’apparenza, è in grado di rivelarne la chiave di lettura. Quindi io per formamentis non tralascio mai il gusto di un incontro, di un confronto e di una contaminazione di idee. Il passaggio successivo è il compito precipuo degli intellettuali, cioè quello di accogliere le realtà della società e costruire cornici di senso, riallacciare i fili con i valori fondanti di quella che viene definita civiltà, fornire la propria interpretazione, sempre e comunque. L’arroganza, la supponente superiorità ecco che tali temi ritornano sempre quando c’è indifferenza o abuso verso l’altro che sono due facce della stessa medaglia. Di questo voglio parlarvi, dell’escalation di violenze perpetrate sui corpi femminili. Prima l’efferata violenza di Rimini, la violenza sessuale ai danni di un’anziana a Milano, l’orrore che vive Roma con le violenze sulle turiste belga, finlandese e tedesca da parte di stranieri errabondi, il delitto dell’adolescente a Lecce insomma ci potremmo redigere un atlante geografico che non risparmia nessun luogo e nessun ceto. Dal centro alle periferie, dall’agio al disagio.  Per i reati commessi da stranieri la verità è evidente da quando si è intrapresa una “scelta” di accoglienza sconsiderata e non si provvede a mettere in sicurezza le città: condannare senza se e senza ma. A Parigi i marines girano armati fino ai denti e nessuno si scandalizza. Ma ciò che mi preme è la nostra avanzatissima società dove, secondo un dossier del Viminale ogni giorno si verificano 11 stupri di cui 4 commessi da stranieri ; tra gennaio e giugno 2017 sono state commesse 2.333 violenze carnali, colpite più di 1.000.000 donne e questi dati sono al ribasso perché spesso non si denuncia, per timore, per vergogna, per ricatto. Un intero capitolo del dossier è dedicato alle violenze in famiglia con percentuali del 37,6% delle denunce. Ad aggravare il quadro ci sono le sentenze shock e riporto come esempio eclatante quella del Tribunale di Torino su un episodio di violenza denunciato da un’autista barelliere della Croce Rossa che ha accusato di molestia il collega. L’imputato è stato assolto perché la donna durante lo stupro non avrebbe urlato e con questi argomenti: “… la teste rimane sul vago…non riferisce condotte e sensazioni molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori, ecc…”, dimostrando di voler ridurre uno stupro ad un “caso da manuale” e d’ignorare la complessità emotività femminile, come se la denuncia fatta non fosse di per sé sufficiente. La controdenuncia per calunnia chiude la via crucis della sventurata.

Dunque, con queste premesse, io penso che rincorrere questi episodi di violenza singolarmente, sia come passare il tempo a schiacciare le zanzare con le mani e le donne non possono più permetterselo, occorre trovare uno zampirone bello forte che agisca su un bel numero di esemplari pungenti. Mi sovviene il ricordo di Ulisse che intrappolato da Polifemo fa ricorso all’astuzia per sfuggirgli. Egli si qualifica “Nessuno”, acceca Polifemo che lancia alte urla e al sopraggiungere dei fratelli Ciclopi grida a squarciagola che è stato Nessuno ad accecarlo.  Rassicurati dall’assenza di nemici, i Ciclopi lo lasciarono solo e sconfitto perché il prigioniero Ulisse riesce anche a fuggire aggrappato al vello dell’ariete, nonostante il controllo serrato di Polifemo.Questa identità priva di contenuto mi piace molto perché ci fa capire che la violenza le donne la subiscono sovente e non solo dagli uomini, bensì dagli stereotipi.Tutti noi subiamo l’influenza della cosiddetta “memoria collettiva”, cioè quegli standard che si generano nel periodo storico in cui si vive ed è un fattore inevitabile per costruire una coesione sociale e una civiltà organizzata. Quello su cui non riflettiamo è la possibilità di costruire paradigmi culturali e stereotipi più funzionali, più efficaci e più rispettosi delle donne. La società è un organismo vivente, è fatto di uomini e donne che possono scegliere le idee, i valori fondanti della propria comunità; questo passaggio, cruciale e salvifico non viene presidiato ma delegato ai mass media, alle lobby, all’ignoranza culturale e sociale, ai condizionamenti delle elitè che perseguono i propri interessi che sono volti a controllare le azioni umane a vantaggio della società. Ecco che molte cose sono soggette all’uso e al consumo, compresa l’identità umana. Classificare, etichettare, giudicare, calunniare, controllare, punire, sopprimere, sono verbi che girano intorno al medesimo concetto di identità e incasellamento. Quanto più sei controverso/a rispetto allo stereotipo che trasmette la propria cultura di appartenenza, tanto più sei da avversare con differenti livelli di violenza.Tale concetto illuminante non fa sconti alle classi sociali, si affievolisce solo al crescere della conoscenza e al comprendere il “dono” preziosissimo della differenza” insito in ciascuno di noi. Parte di questo processo passa attraverso l’educazione scolastica, sia chiaro.“Uniti nella diversità” è il motto dell’UE per intendere che la pace e la prosperità si raggiungono attraverso la consonanza tra culture diverse ma occorre GOVERNARE I PROCESSI cioè avere una preparazione solida che porti ad individuare le scelte necessarie da compiere per raggiungere l’obiettivo della coesistenza pacifica e della valorizzazione delle persone nella società.Nella comunicazione si dice che: “ quando due persone litigano, non sono mai loro a litigare, bensì le loro idee” e sarà vero se la maggior parte delle discussioni le facciamo con le persone a cui teniamo, mentre con gli estranei lasciamo correre.Perché, cari lettori, c’è sempre quella memoria collettiva, con i suoi dogmi, regole, credenze e convinzioni a condizionarci ed influenzarci. Frasi come: “Si è sempre fatto così”, “non fai il tuo dovere”, “e’ obbligatorio questo” e tanto ancora ci fanno capire lo stridore a cui siamo destinati quotidianamente.In questa interpretazione della donna colloco le identità generate dalla “coscienza collettiva” che spesso si riconducono ad una dicotomia: “Santa o poco di buono”, la croce a cui appendere tutte le donne. In realtà da sempre le donne sono molto di più; sono oltre la loro fisicità, la loro maternità, la loro obbedienza, la loro fragilità, sono TANTE IDENTITÀ e per questo “NESSUNO STEREOTIPO”; sono universi complessi e talentuosi da scoprire e rispettare da parte dell’uomo e da parte della memoria collettiva maschile.Noi donne, tuttavia dobbiamo essere consapevoli di vivere uno scontro culturale e ogni guerra presuppone strategia e perseveranza. Accettare un compromesso sulla propria identità per sentirsi “a posto” spinge suadentemente in quel cantuccio da cui si uscirà sempre più difficilmente. Lo dice con aspra chiarezza la cantante Madonna, di origini abruzzesi, nel discorso tenuto in occasione del premio come donna dell’anno 2016 scelta da Billboard.Lei parla di una carriera di 34 anni portata avanti nonostante la palese misoginia e il bullismo. E’ davvero toccante il suo discorso e non voglio anticiparvi nulla ma esortarvi ad ascoltarlo: http://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/madonna-si-commuove-ai-billboard-women-in-music-sono-viva-e-combatto-la-misoginia/262395/262748 A me hanno colpito i suoi occhi pieni di emozione quando raccontava le esperienze che l’avevano indotta a pensare: “… che le donne non hanno la stessa libertà degli uomini e i messaggi pervasivi che le dicevano che non sarebbe riuscita, che non doveva, che non poteva…” io penso, come Kant, che non sia utopistico immaginare una società dove ci siano imperativi categorici fondati sull’assunzione delle proprie responsabilità, anziché la delega delle scelte ad una morale esterna a noi stessi che come un coltello ha il manico sempre in mano a qualcun altro e la lama puntata all’altezza del cuore.

 

Prof.ssa Lucia Denise Marcone ©

 

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