DA VENEZIA A FOGGIA il passo è breve….la straordinaria scultura luminosa di Marco Lodola
Da Venezia a Foggia il passo è breve…
Sarà esposta nel piazzale della stazione F.S. di Venezia “Dolphin”, la straordinaria scultura luminosa di Marco Lodola, allietando milioni di turisti che affolleranno la magica città lagunare nel periodo natalizio.
Un impercettibile ma significativo filo unisce Venezia e Foggia in questo straordinario periodo: un Natale diverso nel quale le magiche luci di Marco Lodola un po’ mitigano le oggettive difficoltà del nostro territorio. Grazie al costante impegno della Contemporanea Galleria d’Arte di Giuseppe Benvenuto, una nuova iniziativa di alto spessore culturale che catalizzerà l’interesse di migliaia di appassionati sino all’8 gennaio 2018.
Marco Lodola, artista fra i più innovativi e apprezzati a livello nazionale e internazionale, attraverso i propri lavori, sta “illuminando” la città di Foggia con una fantastica personale.
Oltre ad essere un artista ormai affermato, che ha collaborato a progetti per importanti aziende – Swatch, Coca Cola, Vini Ferrari, Harley Davidson, Ducati, Illy, Valentino, Coveri, Fabbri, Air One, Fiat, Juventus –, con musicisti e scrittori riconosciuti e come scenografo di diverse produzioni televisive – Festival di Sanremo, X Factor, Roxy Bar – è stato anche ospite della 53a Biennale di Venezia.
Di seguito, i testi di Renzo Arbore, Luca Beatrice, Achille Bonito Oliva, Aldo Busi, Giuseppe Marrone, Vittorio Sgarbi e Gianfranco Terzo:
RENZO ARBORE
Diavolo di un Marco Lodola! Mi chiamo Renzo Arbore e sono abbastanza noto nel nostro paese per aver “effettuato” varie malefatte nel mondo della musica, della radio, della televisione e perfino del cinema.
Ora, questo Lodola, vorrebbe che facessi danni anche occupandomi di arti figurative e, in particolare, di “scultura”.
Le mie conoscenze a proposito erano finora circoscritte al Mosè di Michelangelo; al Perseo di Benvenuto Cellini (incontrato a Firenze durante una gita scolastica dalla natia Foggia) e a Marco Aurelio a cavallo conservato in duplice copia, perché non si sa mai.
Come vedete ero afflitto da una desolante ignoranza. Dico “ero” perché, dopo aver visto le opere di questo Lodola me ne sono innamorato (delle opere, non di Lodola…) e ora sono diventato il suo massimo interprete e portavoce. Ho capito la grandezza di Lodola e del suo “lodolismo” (il lodolismo è l’essenza dell’Arte Lodoliana; un po’ come il magnete ed il magnetismo, il pacifico ed il pacifismo…eccetera) partendo da un concetto basilare e fondamentale nella pittura, nella scultura e nelle arti figurative in genere: “Anche l’occhio vuole la sua parte”.
Lo so, può sembrare banale, ma appunto perciò valorizza la complessità, la raffinatezza, l’etica, l’estetica e perfino l’aritmetica delle sculture del Grande Pavese. Lodola con le sue sculture meravigliose “cala il secchio dei ricordi con la fune della cultura nel pozzo della fantasia”. Qualche volta si sporge di più. Qualche volta di meno ma nel pozzo non ci cade mai. Ma come fa a non prosciugarlo lui che vi attinge così tanto copiosamente?
È il vero mistero di Lodola e del Lodolismo.
Diavolo d’un uomo, dove la trovi tutta quella fantasia?
LUCA BEATRICE
L’onomanzia è quella pratica divinatoria basata sull’interpretazione etimologica, simbolica e numerica del nome di una persona. Se tra nome e cognome una lettera compare più di tre volte, sarà questa la dominante per conoscere personalità, destino e temperamento dell’individuo. Molte volte quindi la scelta del nome, abbinata al cognome, viene intesa sia per individuare presagi sia per augurare buoni auspici. Una visione del mondo di questo tipo non prevede la casualità.
Ogni cosa corrisponde a un disegno, a un’architettura forse predeterminata ma che lascia poco margine all’improvvisazione. Se gli incontri rispondono a un destino in parte scritto, non vanno considerati incidenti di percorso quelle circostanze imprevedibili che riescono a mettere in contatto persone di ambito diverso, destinate a trovarsi a partire dalle proprie affinità elettive: chiamarsi allo stesso modo, essere nati lo stesso giorno, condividere una medesima fede.
Non può dunque essere un caso che Marco Lodola e Marco Lodoli abbiano collaborato per diversi anni. O meglio, l’artista pavese ha illustrato, tra il 1990 e il 1995, diversi libri dello scrittore romano: I fannulloni, Crampi, Grande circo invalido, I fiori, Fuori dal cinema, Cani e lupi e le due raccolte I pretendenti e I principianti uscite più avanti. I critici potrebbero sostenere la vicinanza generazionale (Lodola è del 1955, Lodoli del 1956), la leggerezza dello stile, la sobrietà del tocco, l’ironia, lo stare in bilico tra realismo e immaginazione, la ricerca del colore che passa in entrambi i linguaggi, la scrittura e l’arte visiva. Ma non possiamo ignorare che la vera ragione dell’incontro sta nel perfetto equilibrio tra tutte queste affinità e la sola differenza di una vocale, la a al posto della i e viceversa.
Una (quasi) perfetta identità onomastica determina dunque un destino comune, un passaggio condiviso. Senza saperne molto di questa storia, quando vivevo a Roma, nei primi anni ’90, giocavo a calcetto dalle parti di Tor di Quinto: un gruppo di amici che si sfidava abitualmente il lunedì, tra i quali l’onnipresente Marco Lodoli. Avendogli detto qualcuno che io aspiravo a fare il critico d’arte, mi aveva appunto chiesto se conoscessi il suo pressoché omonimo Marco Lodola. Ma all’epoca non lo avevo mai incontrato. Solo di recente e per caso, durante una cena, Lodola e io abbiamo scoperto di essere “gemelli astrali”. Ovvero persone nate lo stesso giorno e lo stesso mese, le quali sono accomunate da diverse somiglianze negli eventi della vita. Siamo entrambi del 4 aprile (1955 Marco, 1961 io): ecco perché abbiamo scelto di inaugurare il 4 aprile 2008 (4 + 4 = 8) questa mostra all’insegna della non-casualità.
Ermete Trismegisto, padre della filosofia ermetica, disse: “Ciò che è in basso, è uguale a ciò che è in alto; e ciò che è in alto, è uguale a ciò che è in basso, per compiere le opere meravigliose dell’unica cosa.”. Il 4 aprile è il 94mo giorno del Calendario Gregoriano (95mo negli anni bisesistili). Sono capitate cose diverse, nella data dei nostri compleanni. Cinque singoli dei Beatles nei primi cinque posti delle classifiche americane (1964); l’uccisione di Martin Luther King e il lancio dell’Apollo 6 (1968); il primo trapianto di cuore artificiale temporaneo da parte del medico Denton Cooley (1969); l’inaugurazione del World Trade Center (1973); la prima puntata di Atlas Ufo Robot trasmessa in Italia su Rai 2 (1978); l’esecuzione della condanna a morte del presidente pakistano Ali Bhutto. Non so se Lodola o io (o entrambi) passeremo alla storia, ma certo è che in quanto a compleanni siamo davvero in buona compagnia. Il pittore francese Pierre Paul Prud’hon (1758), lo scrittore maledetto Isidore Lucien Ducasse conte di Lautréamont (1846); il pittore fauve Maurice de Vlaminck (1876); la regista e scrittrice Marguerite Duras (1914); l’ala destra del Bologna e della Nazionale Amedeo Biavati (1915); il regista Eric Rohmer (1920); il compositore Elmer Bernstein (1922); il regista Andrej Tarkowskij (1932); il bandito sardo Graziano Mesina; il politico tedesco Daniel Cohn-Bendit (145); il cantautore Francesco De Gregori (1951); la cantante Fiorella Mannoia (1954); il regista Aki Kaurismaki (1957); la conduttrice tv, ex presidente della Camera dei Deputati, Irene Pivetti (1962); l’attore Robert Downey Jr. (1965); il campione di motociclismo Loris Capirossi (1973); il centrocampista brasiliano Emerson (1976). E anche in quanto ai morti non scherziamo: due papi, Formoso (896) e Niccolò IV (1292), il principe sabaudo Vittorio Amedeo I (1741), il noto ingegnere tedesco Carl Benz (1929) e l’inventore dei pneumatici André Michelin (1931), artisti come Libero Andreotti (1933) ed Herbert List (1975), gente di cinema e di teatro come Carmine Gallone (1973), Gloria Swanson (1983), Paola Borboni (1995); l’ultima rockstar dell’era contemporanea, Kurt Cobain, scomparso il 4 aprile 1994.
Il destino dunque può essere scritto nel nome, nella data di nascita o più precisamente nella fede. Non quella mutevole della politica, né quella troppo personale della religione, ma l’unica autentica fede condivisa e irreversibile legata al tifo per la propria squadra di calcio, che non ammette cedimenti né eccezioni.
Sono juventino, lo sanno tutti, oltre ogni limite, al punto di condizionare da tempo l’intero svolgimento della mia vita a seconda di dove e quando gioca la Juve. Diversi anni fa ho scritto Gobbo dalla nascita, confessione in forma di saggio su questa devastante mania. Più o meno nello stesso periodo l’”insospettabile” Marco Lodola affidava il testo per il catalogo di una sua mostra non a un critico o a uno storico ma all’allora centrale difensivo bianconero Mark Iuliano. Se non è amore questo… Non mi perdo una partita della Juve allo stadio ammenoché impedito da cataclismi naturali di vasta portata. Lodola invece è troppo emotivo, patisce oltre misura la tensione del campo, per cui si chiude in casa e guarda la tv a volume spento, come un automa, un alienato (vi risparmio l’ironia della moglie Laura e dei suoi amici).
Ho curato tante mostre nella mia “carriera” di critico, molte con estremo piacere. Soltanto una posso dire di averla inseguita ossessivamente. La celebrazione dei 110 anni di storia juventina attraverso l’arte, lo scorso ottobre al Palazzo Bricherasio di Torino. Logico affidare a Marco Lodola la decorazione esterna della facciata, la realizzazione del logo e dell’opera simbolo che ha accompagnato l’evento in quegli indimenticabili quaranta giorni. Tutto torna, ogni cosa si compie. Come festeggiare il nostro compleanno (quanti sono non conta) nella casa di tre nuovi amici gobbi: Aldo Marchi e i suoi figli Lorenzo e Leonardo.
ACHILLE BONITO OLIVA
Caro Lodola,
la figura serve a marcare una soglia, il solco naturale che separa l’apparizione dell’arte da altre apparizioni. La qualità specifica, la sua connotazione, risiede nel suo essere esplicitamente apparenza. Un’apparenza che indossa continuamente diverse figure, particolari travestimenti, che inducono lo sguardo a rimanere sbarrato attraverso un lampo silenzioso.
La sua forza risiede nel suo presentarsi senza sforzo, nello sfarzo di un abbigliamento che non denuncia mai difficoltà semmai un naturale abbandono.
“L’arte è un aspetto di ricerca della grazia da parte dell’uomo: la sua estasi a volte, quando in parte riesce; la sua rabbia e agonia, quando a volte fallisce” (G.Bateson, Stile, Grazie informazione).
L’estasi prende innanzitutto l’artista, quello stato particolare e necessario affinché egli possa portare il travestimento dell’immagine nella condizione della epifania.
Allora anche l’occhio esterno, quello contemplatore, è attraverso da uno stato estatico che lo mette nella possibilità di una nuova informazione sul mondo.
La figura è portatrice dunque da una parte di uno scompenso tra la propria immagine e quelle esterne a essa, dall’altra produce successivamente, dopo l’esibizione della propria differenza, uno stato di integrazione attraverso l’estasi che modifica la relazione dell’uomo con la realtà.
L’arte possiede una sua interna natura correttiva cha la porta a correggere il gesto prorompente della sua apparizione iniziale e a stabilire un rapporto socializzante nel momento della contemplazione, in forme non retoriche.
La figura è il tramite di questa correzione di rotta, il sintomo di una particolare inclinazione, quella di operare tra bisogno della catastrofe e la “saggezza sistemica”, tra la produzione di una rottura e la spinta a destinarla al corpo sociale. Esiste una inerzia iniziale contro cui l’arte si arma, una “serenità” della comunicazione che essa tende ad alterare mediante l’introduzione di uno stato di “turbolenza”. La figura è lo strumento di allargamento tra le sue strozzature, tra le due polarità che ostruiscono il rapporto di comunicazione, il mezzo iconografi cono che conferma pace e bellezza.
La turbolenza è data dalla epifania dell’immagine che rompe le aspettative e introduce, mediante l’irruzione di un linguaggio piegato a esigenze pi particolare espressività; un elemento allarmante.
La figura dunque è il perturbante, ciò che determina il segnale di un allarme che attraversa tutto il linguaggio e l’immaginario sociale.
Nello stesso tempo il desiderio di profonda relazione con il mondo prende il sopravvento nell’arte, sostenuta da una saggezza sistemica che tende a spingerla verso una correzione della rottura iniziale, a riparare alla radicale solitaria violenza dell’immaginario individuale.
La figura serve a produrre un cuneo, un varco, tra la serenità della comunicazione sociale e la turbolenza del gesto artistico, in maniera da favorire un’apparizione che trovi ammirazione e non incomprensione o paura. Il travestimento che la figura assume può passare attraverso varie maschere, che alcune volte incutono anche terrore.
Ma il fine è sempre quello di introdurre un’attesa, una sospensione di difese del gusto, che permettano poi la grande entrata nel mondo, sotto occhi attenti e ammirati, pronti a cogliere la differenza.
L’arte non sopporta l’indifferenza, la distrazione di uno sguardo che si pone in una condizione inerte. Perciò la figura introduce sempre la bellezza che, come dice Leon Battista Alberti, è una forma di difesa. Difesa dall’inerzia del quotidiano e dalla possibilità di scacco da parte di sguardi indifferenti che non restano abbagliati alla sua apparizione abbacinante.
La sorpresa, la proverbiale eccentrità dell’arte, sono i movimenti tattici di una strategia rivolta a consolidare la differenza dell’immagine artistica dalle altre immagini.
“Io domando all’arte di farmi sfuggire dalla società degli uomini per introdurmi in un’altra” (C.Levi Strauss). Questo non è un desiderio di evasione, non è un tentativo si sfuggire la realtà, bensì il tentativo di introdursi in un altro spazio, di allargare un varco che normalmente sembra precluso.
L’arte corregge la vista corta e introduce una guardata non più frontale, ma lunga e differenziata, la guardata curva. Così può aggirare l’invalicabile frontalità delle cose e anche prenderle alle spalle.
L’artista dunque opera per aprire tali varchi, per spostare la vista verso un incurvamento del significato anche possibilità di affondo, oltre che di aggiramento
L’arte è la pratica di questo movimento mediante il deterrente di molte figure, che costituiscono l’arsenale tattico cui l’artista esercita il suo rapporto col mondo. Un rapporto certamente mosso da pulsioni ambivalenti, da desideri che lo portano verso uno stato d’animo, all’incrocio di oscillazioni sentimentali ed emotive che ne costituiscono l’identità e la probabilità esistenziale.
“Sei tu fra quelli che guardano o quelli che mettono le mani in pasta?” (Nietzsche).
A questa domanda, tu Lodola, come rispondi?
Affettuosamente
A.B.O.
ALDO BUSI
Possiedo da anni due profilati di plastica di Lodola e non so mai come metterli – talvolta da dove guardarli.
Mi ricordano il lavori di compensato che un mio maestro elementare faceva col traforo e che, minuziosamente dipinti ad olio, venivano dati agli scolaretti, vuoi più bravi, vuoi più buoni, sicchè, alla fine ce n’era uno per tutti, anche per il più deficiente e per il più cattivo.
Rappresentavano pesciolini tropicali, nani, famose regine di fiabe, casette con cagnolino, addirittura alghe e coralli, un vero spettacolo per gli occhi, un traguardo ambitissimo da tutti.
A differenza dei lavori di Lodola, quelli del mio maestro, avendo tutti una base, stavano in piedi e non bisognava appoggiarli da nessuna parte, la necessità di dare a loro un equilibrio nello spazio non ti inquietava più di tanto e non così a lungo; sulla copertina di un quaderno, poi, ce ne potevano stare una mezza dozzina.
Le ballerina a grandezza quasi naturale di Lodola, tanto per dirne una volta appoggiate a una parete, non si sa mai da quale parte cadranno e ti abitui presto a non affrontarle con una tua prospettiva in testa, poiché esse ne hanno una propria, spesso impensabile, davvero capricciosa, diciamo pure ostinata, sfacciata, femminile: artistica.
Dopo pochi giorni, ecco che con un colpo d’occhio prendono a reclamare di essere spostate da dove le hai messe, dal salone passano alla cucina, dalla cucina al bagno, tenti anche di impiccarle con un chiodo, ma ce ne vorrebbero almeno tre per calibrarle in una posa umanamente verosimile.
Pianti infine i tre chiodi ma, oplà, ecco che l’anca ne divelle uno e la testa le va a finire sotto il tutù, la lasci lì per punizione una settimana, sperando che con tutta quella plastica alla testa assuma il suo eterno nonché specializzatissimo passo di danza. Ma un giorno rientri e vedi che si è tutta protesa verso destra e vacilla sull’unico chiodo rimasto attaccato, pronta a pretendere un altro trasloco, allacciata a te, non disposta a separarsi da te, vogliosa del più segreto teatrino del tuo vuoto in movimento … Follie così.
E di questi tempi, qualcosa che sta in piedi da solo non è roba da poco, anzi, è un fatto di per sé luminoso. Ma certo, conviverci deve essere del tutto diverso che girarci attorno, che fai, la lasci accesa sempre, la accendi solo quando hai ospiti, le fai fare le veci della plafoniera? E se si guasta, chiami il restauratore, il fabbro, l’elettricista? Lodola stesso? Corto circuito.
GIUSEPPE MARRONE
Entrare in un artista, in quello che esprime, è un impegno del campo visivo, anche, un importante traguardo dei processi simbolici di interpretazione che digeriscono e alimentano insieme il caso della fruizione dell’opera, ma soprattutto un incontro e una relazione.
In Marco Lodola l’incontro, il punto zero della relazione, quella tra fruitore, il soggetto che esperisce, e il soggetto produttore è un’emanazione di luce.
Marco Lodola, artista della luce, anzi delle luci, dei colori che prendono forme e materia dal sapore Pop esprime il concetto cromatico proprio nel suo immediato essere luce. Il colore qui non è un fatto secondario, ma la contrazione spaziale di una parte di mondo che si fa esperienza della luce. Questo è il punto zero o di partenza della capacità di attirare l’occhio da parte dell’opera lodoliana che si genera nella relazione creatasi proprio come perturbazione oculare che esprime un colore.
La luce è il colore, l’illuminazione cerebrale e artistica, che compie la funzione di reggere l’opera d’arte, di nutrirla e solidificarla nella superficie. La luce sta al colore come il colore sta alla materia senza che questo rapporto ceda a stereotipi o al già visto.
L’originalità di Lodola lo porta a raccogliere in un’unica frequenza variazioni che dalla Pop Art al Nuovo Futurismo creano vibrazioni forti. Difatti, nella raccolta, che non significa copia o citazione integrale, ma produzione del nuovo a partire da cifre e intendimenti artistici presenti nell’arte sta la sua forza.
Il Futurismo così preso e masticato dai colori ai soggetti viene lanciato vertiginosamente in un movimento dei soggetti che sono Pop per scelta, per amore, vintage per stile, per riflessione meta-artisticamente piazzata sul valore dell’arte per sé e per mercato dove Pop è il recupero ricco di oggetti quotidiani ironicamente ascesi a esperienze del bello. Insomma, una luce in movimento che spinge nelle vespe o sulle auto questi soggetti senza tempo, nella loro nostalgica presenza, a frangersi poi in un concerto di suoni perché questa arte è passione musicale, è, per dirla con Renzo Arbore, il lodolismo la nota che sposa la musica. Lodola è musica, quindi, ma, come detto diffusamente, materia del colore sociale dal gusto pop di ciò che disegna la società di oggi come di ieri; è distrazione da questa necessità pop dell’oggetto attraverso il movimento che in ultimo chiama a sé potente le note su cui i disegni luminosi proiettano danze.
VITTORIO SGARBI
Se dovessi indicare la prima cosa positiva pensando a Marco Lodola, direi che non si tratta di un artista “nuovo”, o almeno totalmente nuovo. Non ritengo affatto che il nuovo sia un valore positivo in arte. Lo è sicuramente per il mercato, il vero, grande dominatore dell’arte contemporanea, secondo una legge del marketing moderno che è valida per i dipinti come per le automobili: bisogna offrire prodotti sempre rinnovati per stimolare le vendite, promuoverli come tali, creare bisogni indotti negli acquirenti. Quando i mercati e i loro fedeli alleati (i critici, i collezionisti) hanno scoperto, intorno alla metà del secolo scorso, che l’Avanguardia si accorda perfettamente al principio della merce nuova, l’arte è diventata moda.
Una metamorfosi che ha quasi capovolto il senso stesso dell’arte così come era stato inteso fino all’Ottocento, quando si creava non per fare qualcosa di nuovo, ma di eterno.
Assurdamente, il culto del nuovo artistica ha finito per trasformare il passato quasi in un nemico da combattere; solo di recente, quando ci si è accorti che anche il passato poteva essere a vantaggio di un nuovo sempre più richiesto, è tornato a essere preso in considerazione. Ci troviamo così a guardare tanta arte contemporanea degli anni precedenti.
Con Lodola, certi pericoli dovrebbero essere scongiurati, proprio per il suo essere “non nuovo”. Dietro le sue sagome di plexiglass, dietro le sue luci al neon, dietro le sue campiture cromatiche, c’è una precisa storia dell’arte che è stata conosciuta, meditata criticamente, rielaborata: il Futurismo, il colorismo ritmico di Delaunay, la Pop Art, per dire solo di ciò che sembrerebbe più evidente. Un certo modo di ridurre la figura a sagoma, contorno, minimo denominatore grafico, era stato tipico del modo con cui la pop art ha sviluppato gli spunti provenienti dalla figurazione pubblicitaria ( si pensi, più ancora che a Warhol e a Lichtestein, ad Allen Jones, Tom Wesselman, James Rosenquist).
Il neon aveva avuto Dan Flavin e il concettualismo di Mario Merz, il suo impiego artistico più rilevante.
Ma in fondo, a ben vedere, anche Lodola possiede una sua cifra non certo concettuale, ma almeno minimalista, un minimalismo della figura che è comunque esente dagli intellettualismi o dagli slanci mistici di Flavin e compagni. In quanto al colore, alla sua organizzazione in stesure distinte, planari ed uniformi, vivacissime, il riferimento immediato è al Futurismo non tanto dei maestri fondatori, quanto di chi con il linguaggio dei maestri è diventato il grande compositore nei mobili, nei tessuti, in tutto ciò che poteva essere decorazione: Fortunato Depero; un aggancio, quello con Depero, capace di associare Lodola a un altro artista contemporaneo, che ha avvertito analoghi stimoli, Ugo Nespolo, anche se, in seguito, con un percorso formale piuttosto diverso dal suo.
Lodola “non nuovo”, quindi, perché saggio rispetto al passato, sul solco di esperienze storiche che, seppure ancora attuali, sono già patrimonio artistico, tradizione.
Ma va anche ammesso che il suo modo di essere “non nuovo” possiede un’ originalità indubbia, al punto da non poterlo definire né un neo-futurista, come avrebbe voluto da giovane, né un “post-pop”, né con qualunque altra definizione che lo identifichi come un continuatore di qualcosa che era stata inventata prima di lui. Lodola è soprattutto Lodola, prima di ogni altra considerazione.
Così è stato sentito, così è stato subito apprezzato, così il suo essere “non nuovo” è finito per diventare una novità rispetto al nuovo non veo, il nuovo per il nuovo che piace tanto ai mercati, a certi critici e a loro soltanto. Non a caso gli esordi di Lodola sono avvenuti sulla scia delle esperienze come i “Nuovi Nuovi” di Renato Barilli, che così nuovi in fondo non erano. Come in molta dell’arte dei “Nuovi Nuovi”, Lodola ha recuperato il piacere di un’arte che non stabilisce più differenze con l’applicazione (la maggior parte delle sue opere sono potenziali oggetti d’arredamento), perché l’arte – come pensavano Depero, Delaunay, Léger – serve a decorare e reinventare il mondo dell’uomo, a entrare concretamente nel suo quotidiano.
Lodola ha recuperato, o forse trovato per proprio conto il piacere di un citazionismo quasi involontario, non ostentato, senza nessun interesse ad apparire colto e superbo, in questo cosi diverso dal post-moderno alla Mendini al quale pure potrebbe assomigliare. Lodola pensa solo a far vedere, a illustrare, é quello il suo compito, sia che collabori con gli scrittori o con le grandi industrie, con i musicisti pop o con i pubblicitari. E quello che ci fa vedere più di frequente sono i miti dell’inconscio collettivo nell’era massmediatica, la musica, il cinema, senza idealizzarli, ma anzi trattandoli in modo divertito e divertente, basta che il tutto si dia sempre come un gioco. Alla fine quello che conta é il piacere dell’effetto, l’immediatezza della comunicazione, il gusto di un’immagine, di uno stile, di un oggetto subito riconoscibili nelle loro componenti fondamentali, come una sigla, un’icona, un “logo”, senza altre inutili complicazioni. Sigle, icone, loghi che giungono ad abitare nell’inconscio e a convivere con quegli stessi miti dai quali provenivano, confondendosi con essi in un continuo meccanismo di specchi riflettenti. Galleggiare, stare in superficie senza essere superficiali, ecco il grande azzardo dell’arte di Lodola; perchè il piacere è qualcosa di rapido e di evanescente, esiste solo se non si va a scavare nelle nostre complicazioni, nelle nostre intricate psicologie, nelle nostre eterne insoddisfazioni. È questa anche la “popolarità” di Lodola, vocazione anti-intellettualistica a rivolgersi allo stesso pubblico a cui si rivolge il cinema, la televisione, la pubblicità, la musica delle rockstar, ad adeguare i tempi e i modi dell’arte a quelli della vita contemporanea. Le opere di Lodola si potrebbero vedere muovendosi in un’automobile lungo un tratto urbano, fuori dai finestrini, oppure lungo il percorso di una metropolitana: c’è da stare certi che qualcosa di loro rimarrebbe certamente nei nostri occhi e nella nostra mente. Di quanti altri artisti si potrebbe dire altrettanto?
GIANFRANCO TERZO
Il fascino di un sogno, solitamente, è dato non solo dalla leggiadria delle situazioni che il mondo onirico ci offre in un lasso temporale di totale incoscienza ma, altresì, dalla vivacità dei colori e dallo splendore della luce.
Ebbene, l’opera del Maestro Lodola non può che essere paragonata ad uno sfavillante sogno laddove luce e colore ci accompagnano in un mondo fatto di sensazioni ed emozioni che soltanto un tocco magico come il suo può calibrare e trasferire.
L’opera lodoliana apre la strada ad un diverso modo di intendere l’arte e, pertanto, ad un diverso modo di interpretare la capacità creativa di un uomo e trasferirla in contesti quotidiani nei quali tutto sarebbe banale ed, invece, la sapiente cifra stilistica del Maestro rende ineguagliabile ed indescrivibile.
E’ un modo molto personale di intendere la vita quotidiana e, pertanto, conferire a due giovani in vespa, abbracciati e traboccanti d’amore, una patente di emozionalità e di sentimento che, senza la cifra stilistica lodoliana, sarebbero assenti. Un giro in vespa che ci conduce in un altopiano dove il medesimo messaggio di amore si propaga in una vallata squarciata da un treno colmo di vite umane e di vissuti diversi e profondamente alterni come il contrasto tra due giovani un po’ agée e quel treno ultramoderno e veloce, come il contrasto tra una coppia ferma nel tempo e nello spazio e affamata solo di amore ed un treno che fugge veloce portando via con sé l’intero bagaglio di brutture e di ostacoli a quell’amore.
Il filo conduttore di molte delle opere del Maestro sono i mezzi di locomozione come la vespa, il treno, l’automobile d’epoca adornata da due ragazze discinte e scoperte, senza i tratti del volto ben delineati, quasi a voler indicare la possibilità che ognuna di quelle donne potesse rappresentare la ragazza della porta accanto, la collega di ufficio, la commessa del negozio di animali ovvero l’oggetto del nostro desiderio e dei nostri sentimenti; come se quelle ragazze potessero essere tutto quello che ognuno di noi anela e desidera.
Immagini ancorate senza gancio temporale poiché è vero che il tempo passa ma è inevitabile che siffatta bellezza lasci inalterato il senso dell’immemorabile come quella macchina d’epoca che, dopo decenni, resta oggetto di desiderio.
Sembrerà strano ma, per giungere a quegli amori testè descritti, in situazioni di grande affettività, vi sono anche rappresentazioni nelle quali quelle medesime donne sono sole a cavalcioni di una medesima vespa; corrono verso un futuro di grande vivacità e calore che traspare inconfondibile proprio dalle stesse luci e dagli stessi colori.
Una donna che corre in vespa verso un uomo che suona una tromba ovvero verso l’amato che strimpella un violoncello. Non è facile comprendere quale sensazione provi quell’uomo indefinito nell’esercizio sapiente dell’arte musicale ma questo lo sceglie lo spettatore che lo vedrà triste se protagonista di un amore finito o lo leggerà appassionato se attore di una fantastica storia d’amore.
Innanzi a quell’uomo musicista, due amanti stretti in un passo di tango, fonte di sensualità ed erotismo, passione e contatto, traboccanti dalle immagini nitide e terse.
E’ da tutto questo che traspare come l’opera del Maestro Lodola sia viva. Viva perché rappresenta la vita quotidiana di ogni giorno, di ognuno di noi nessuno escluso e viva perché fonte di vitalità ed energia, quasi un esercizio di dinamismo che solo la magia stilistica e artistica di un grande Maestro può far trasparire da allestimenti che, nella concezione di un uomo mediocre e banale, possono essere interpretati come statici su di una parete che anonima non è più poiché con quelle luci e quei colori si illumina di immenso.
Biografia:
Marco Lodola è nato a Dorno (Pavia).
Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Firenze e di Milano, e conclude gli studi discutendo una tesi sui Fauves, che con Matisse saranno un punto di riferimento per il suo lavoro, come anche Fortunato Depero ed il Beato Angelico.
Agli inizi degli anni ’80 intorno alla Galleria di Luciano Inga Pin, a Milano, ha fondato con un gruppo di artisti il movimento del Nuovo Futurismo, di cui il critico Renato Barilli è stato il principale teorico.
Dal 1983 ha esposto in grandi città italiane ed europee quali Roma, Milano, Firenze, Bologna, Lione, Vienna, Madrid, Barcellona, Parigi e Amsterdam.
Ha partecipato ad esposizioni e a progetti per importanti industrie quali Swatch, Coca Cola, Vini Ferrari, Titan, Grafoplast, Harley Davidson, Ducati, Riva, Illy (collana di tazzine d’autore), Francis – Francis, Dash, Carlsberg, Nonino, Valentino, Coveri, Fabbri, I Mirabili, Shenker, Seat, Lauretana, Smemoranda, Gierre Milano e Calze Gallo.
Nel 1994 è stato invitato ad esporre dal governo della Repubblica Popolare Cinese nei locali degli ex archivi della città imperiale di Pechino.
Nel 1996 ha iniziato a lavorare negli Stati Uniti a Boca Raton, Miami e a New York.
Ha partecipato alla XII Quadriennale di Roma e alla VI Biennale della Scultura di Montecarlo.
Diverse le sue collaborazioni con scrittori contemporanei tra cui Aldo Busi, Claudio Apone, Marco Lodoli, Giuseppe Pulina, Tiziano Scarpa e Giuseppe Cederna, e con musicisti: gli 883 di Max Pezzali, Timoria, Jovanotti, Andy (Bluvertigo), Syria, Nick the Nightfly,Steve Vai e RON.
Nell’estate del ’98, su incarico della Saatchi & Saatchi, ha eseguito i disegni per le affiches di Piazza del Popolo a Roma, per l’Opera Lirica Tosca di Puccini.
Nel 2000 Lodola, da sempre legato al tema della danza, è stato incaricato dal Teatro Massimo di Palermo di realizzare Gli avidi lumi, quattro totem luminosi alti sei metri, raffiguranti episodi significativi delle nove opere in cartellone. Per l’occasione è stato realizzato un video-documentario di Sergio Pappalettera.
Le sculture rimarranno collocate nelle maggiori piazze cittadine, come è già avvenuto a Montecarlo, Riccione, Faenza, Bologna, Paestum e al Castello Visconteo di Pavia, San Paolo di Brasile e alla Versiliana.
È stato autore delle opere assegnate ai vincitori dell’edizione 2001 del Premio Letterario Nonino.
Nel 2001 è stato incaricato di curare l’immagine del Carnevale di Venezia. Per l’occasione la Fondazione Bevilacqua La Masa ha organizzato la mostra ”Futurismi a Venezia” con opere sue e di Fortunato Depero.
Nel giugno 2002 ha creato la scultura luminosa A tutta birra dedicata alla figura del grande imprenditore Venceslao Menazzi Moretti, che è stata collocata nel nuovo parco cittadino di Udine, là dove sorgeva il primo stabilimento della famosa birra.
Nel 2003 realizza la luminosa Venerea nell’ambito della mostra Venere svelata di Umberto Eco tenutasi al Palazzo delle Belle Arti di Bruxelles, per cui ha curato anche l’istallazione della facciata esterna e la mostra Controluce a Palazzo del Turismo di Riccione che nel 2004 è stata trasferita a San Paolo del Brasile (Museo Brasileiro da Escultura Marilisa Rathsam), Rio de Janeiro (Museo de Arte Moderna), Città del Messico (Polyforum Siqueiros), e al Museo Regional de Guadalajara.
Nel 2005 ha realizzato un manifesto per le Olimpiadi invernali di Torino, una collezione di mobili per Mirabili, la maglia rosa per l’88° Giro d’Italia, il logo per la trasmissione “Speciale per voi…” di Renzo Arbore, nonché la nuova immagine di Roxy bar per Red Ronnie.
Nel 2006 è stata collocata un’altra scultura luminosa all’aeroporto internazionale di Città del Messico, e per Natale una scultura in Piazza di Spagna (Roma). Ha realizzato anche l’immagine del centenario del movimento pacifista di Gandhi.
Nel 2007 realizza il logo per i 50 anni dell’ARCI, l’immagine del 70° Maggio Fiorentino, il logo per i Miti della Musica per la Volkswagen , l’immagine per i 100 anni di Fiat Avio, e i 110 anni della fondazione della Juventus, e il marchio Air One. Inoltre realizza la scenografia per la trasmissione televisiva “Modeland”.
Nel 2008 allestisce la facciata dell’ Ariston e del Casinò in occasione del 58° Festival di San Remo e le scenografie del film “Questa notte è ancora nostra” con Nicolas Vaporidis. In occasione dei Campionati Europei di canoa a Milano ha realizzato una canoa luminosa e per la Stav “Festivalbus”, un autobus di linea decorato con alcuni lavori. In ottobre ha realizzato un’installazione luminosa sulla facciata di Palazzo Penna a Perugia, in occasione della mostra “Infinita città”, curata da Luca Beatrice e ha allestito a Milano in Piazza del Duomo il Rock’n’Music Planet, primo museo del rock d’Europa, con 25 sculture che rappresentano miti musicali.
Alcuni lavori sono stati utilizzati nella scenografia del film “Backward” di Max Leonida. Ha partecipato alla 53esima edizione della Biennale di Venezia del 2009 con l’installazione “Balletto Plastico”, dedicata al Teatro Futurista. Ha realizzato la scultura luminosa FIAT LUX per il Mirafiori MotorVillage di Torino. Ha allestito la scenografia per delle puntate di XFACTOR, per il film “Ti presento un amico” di Carlo Vanzina, con Raul Bova e “Maschi contro Femmine” di Fausto Brizzi. Ha rivisitato il logo per il traforo del Montebianco. Ha disegnato l’immagine del manifesto di Umbria Jazz 2010, ha partecipato all’Expo Internazionale di Shangai ed ha realizzato una scultura-icona per il gruppo Hotel Hilton. Nel 2011 collabora con Citroen per in un’installazione nel centro di Milano dal nome “Citroen Full Electric”, realizza una serie di sculture per i 25 anni della casa di moda Giuliano Fujiwara e le scenografie per la sfilata autunno inverno 2012 uomo di Vivienne Westwood. Ha realizzato per la Dash in collaborazione con Unicef l’opera “Madre Natura” per la campagna antitetano. Ha partecipato alla 54esima Biennale di Venezia con il progetto a cura di Vittorio Sgarbi “Cà Lodola”, installazione presso la Galleria G. Franchetti alla Cà d’Oro.
Nel 2012 ha esposto a Palazzo Medici Riccardi di Firenze una mostra dedicata al Rinascimento italiano a cura di Luca Beatrice. Con il Gruppo Nuovo Futurismo ha esposto a Rovereto a Casa Depero e a Milano allo Spazio Oberdan.
Ha collaborato con Sanrio-Hello Kitty per un progetto di beneficenza a favore di Emergency.
Alcuni lavori sono nella scenografia del programma Metropolis per il canale Comedy Central e The Apprentice con Flavio Briatore.
Ha esposto a Ginevra per la Bel Air Fine Art Gallery.
Ha realizzato le scenografie teatrali dello spettacolo ‘Chiedo Scusa al Signor Gaber’ di Enzo Iacchetti.
Nel settembre 2013 presso Museo del Parco – Centro Internazionale di Scultura all’Aperto di Portofino è stata inaugurata la scultura Red Dragon.
Nell’ottobre 2013 ha collocato per Class Horses la scultura luminosa Pegaso. Ha realizzato la scultura Excalibur per l’edizione 2013-2014 di X-Factor.
All’inizio del 2014 ha collaborato con Gianluca Grignani e RON per le copertine dei loro dischi.
In aprile 2014 ha esposto a Mosca per Harmont&Blaine con madrina d’eccezione Sofia Loren.
Nel maggio del 2014 ha esposto al MAM di Cosenza in collaborazione con la galleria Avangart. A giugno 2014 ha inaugurato una personale nel Museo di Evita Peròn a Buenos Aires e al Museo du Football di San Paulo in occasione dei Mondiali di Calcio in Brasile.
Nell’autunno 2014 ha realizzato l’illuminazione ‘Ponticino’ sul Ponte dell’Impero di Pavia.
Nel 2015 ha collocato in Piazza del Duomo a Milano per Mondadori la scultura “Eden”. E’ inoltre presente all’EXPO ITALIA all’interno della mostra “Tesori d’Italia” curata da Vittorio Sgarbi ed allo Spazio Gentile a Giovinazzo con la Galleria Avangart. Ha illuminato il borgo di Castelnuovo Val di Cecina ed allestito il palco della tournée degli Stadio. Ha realizzato la scenografia per l’undicesima edizione del Teatro del Silenzio di Andrea Bocelli e per il film “Lasciati Andare” di Toni Servillo. Allestisce a Fortezza Santa Barbara di Pistoia il palco per il concerto di Danilo Rea e Gino Paoli.