Sarebbe ridicolo solo immaginare che Emanuele Felice abbia scritto il suo ultimo libro, interessante e bellissimo come i precedenti, stimolato e/o solleticato dal suo cognome. Che la felicità sia una tematica fondamentale e un obiettivo da raggiungere per ogni persona umana è un dato di fatto. Lo stesso titolo del libro “Storia economica della felicità” (Il Mulino, ottobre 2017) lascia intuire che si tratta di un aspetto particolare della felicità. Un aspetto essenziale, ma non unico. Infatti la trattazione non si limita all’economia, ma spazia su tutte le scienze e tutte le questioni filosofiche e teologiche che ne sono implicate.
Felice si presenta come guida che, attraversando millenni di anni e millenni di generazioni, trova il filo di Arianna per uscire felicemente dal labirinto. Come Eva che ri-scopre e torna al paradiso terrestre, avendo ascoltato le parole del serpente, conosciuto il bene e il male, mangiato il frutto dell’albero della vita. C’è una visione ottimistica nella descrizione che fa Felice della storia umana. Un ottimismo, che aborre da qualsiasi fede e da qualsiasi pregiudizio. Solo teorie universalmente acquisite, come l’illuminismo, o fatti storicamente concreti come la scoperta del motore a vapore, dell’elettricità, fino all’informatica. Dalla rivoluzione agricola alla rivoluzione industriale fino alla unificazione del globo. Un cammino senza soste, verso l’infinito. Un’evoluzione che riprende la metafora della corda di Nietzsche, tra la bestia e il superuomo.
Un libro, denso di riferimenti, rigoroso nelle valutazioni, mai fazioso e sempre aperto a qualsiasi novità che abbia l’Uomo al centro. Un umanesimo “evoluzionista” che abbia come interesse il bene dell’umanità. Una evoluzione che sembra far emergere sempre più una umanità distinta in: uomini, sub-uomini e super-uomini. Distinzione che non si fonda su motivi materiali, ma su basi etiche. Il progresso tecnologico fa il suo corso seguendo la “freccia della storia”. Immagine ripresa da Harari, autore del libro “Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità”. Una strana freccia che incontra, forse involontariamente, la linea biblico-teologica espressa nelle parole del libro dei Salmi: « Io ho detto: voi siete dei.» o quelle di Angelus Silesius: “Chi vuol giungere a Dio, deve diventare Dio.» Se Dio viene definito come “La Perfezione”, lo sforzo dell’uomo per arrivare a Dio significa raggiungere la Perfezione. È strano che Felice non abbia incontrato nella sua ricerca un paleontologo e teologo cattolico, definito “il gesuita proibito”: Teilhard de Chardin. Tra l’altro pronipote di Voltaire. L’opera di questo grande scienziato, anche se da angolazioni diverse, collima perfettamente con la tesi di Felice. La weltanschauung d’un mondo verso la realizzazione del Bene, che Teilhard chiama punto Omega e che in nome della sua fede identifica con Cristo, non è distante dalla weltanschauung proposta da Felice. L’etica kantiana, assolutamente laica e strettamente umana, diventa programma di vita universale.
Al di là delle utopie ottimistiche (Platone, Moro, Marx) o pessimistiche (Orwell, Huxley), Kant ha proposto, realisticamente, la possibilità di raggiungere qualche obiettivo positivo per il benessere dell’umanità, che avrebbe dovuto sfociare nella costruzione di una società cosmopolitica, fondata su una Costituzione universale. Una Costituzione, purtroppo, al di là da venire. Anche le parole richiamate a conclusione del libro di Felice pongono l’accento sul fine da conseguire per l’umanità: “l’etica kantiana dell’essere umano come fine in sé, inverata, grazie al progresso tecnologico e all’uso che possiamo farne, nel riconoscimento universale del diritto alla felicità, per ogni persona”.
Sulla base delle migliaia di millenni trascorsi e d’una nuova interpretazione della vita, Felice auspica la codificazione di “diritti umani allargati”, “a indicare l’inclusione sotto questo ombrello anche il benessere degli animali” e Teilhard de Chardin lancia l’idea dell’Homo evolutivus, “l’uomo cioè per il quale l’avvenire terrestre conta più del presente”.
Mario Setta