L’arte di Fabio Mauri per Castelbasso 2018, mostra allestita dalla Fondazione Malvina Menegaz per le arti e le culture (presieduta da Osvaldo Menegaz), illumina l’Abruzzo fino al 2 settembre.
Il percorso tra le opere di Fabio Mauri, fotografie, installazioni, proiezioni e disegni scelti dalla curatrice Laura Cherubini esposti nelle ampie sale di palazzo De Sanctis, permette una sintesi del pensiero dell’artista nel decennio 1968-1978.
Con il 1968 prende l’avvio un periodo di grandi contestazioni e creatività che, pur non realizzando una rivoluzione politica, ha però portato profondi mutamenti nella società, nella cultura, nel costume. Di quella stagione rovente Fabio Mauri è stato lucido testimone, riuscendo a mettere a punto un linguaggio – incentrato sul concetto d’ideologia – capace di esprimere la complessità politica e sociale di quel momento storico.
Il nucleo delle iniziative, allestite dalla Fondazione Malvina Menegaz, presieduta da Osvaldo Menegaz, è sempre l’arte contemporanea e, oltre alla fondamentale e unica esposizione delle opere di Mauri, trova spazio quest’anno un artista abruzzese di nascita ma di livello internazionale come Matteo Fato. Attraverso il progetto Sarà presente l’artista, Fato prende spunto da un antico ritratto di un astronomo, presente nella Collezione permanente della Fondazione, per costruire una riflessione sul modo di osservare (e quindi percepire) la realtà. Da questo punto di partenza si snoda il percorso espositivo della mostra, a cura di Simone Ciglia, che comprende opere di autori dal secondo Ottocento al Novecento – fra cui Boille, Festa, Michetti, Spalletti, Turcato – posti in dialogo con le opere di Matteo Fato a palazzo Clemente.
Con il patrocinio e il contributo di Mibact (Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo), Regione Abruzzo, Fondazione Tercas, Provincia di Teramo, Comune di Castellalto, Consorzio dei Comuni B.i.m., Camera di commercio di Teramo, Gruppo Falone, Subaru Barbuscia.
Di seguito l’intervento del presidente della Fondazione, Osvaldo Menegaz, e un estratto del saggio critico della curatrice, Laura Cherubini, raccolti nel catalogo della mostra.
Introduzione alla mostra di Osvaldo Menegaz, presidente della Fondazione Malvina Menegaz per le arti e le culture
Quella straripante ondata di contestazione e creatività che fu il 1968 investì in pieno Fabio Mauri. La scintilla scoccata esattamente cinquant’anni fa, e destinata a generare una fiammata capace di divampare in una stagione che avrebbe segnato profondamente la società, il costume e la cultura di un’Italia d’improvviso chiamata a confrontarsi con se stessa, in un dialogo anche drammatico tra la generazione dei padri e dei figli, coinvolse fortemente l’artista.
Testimone d’eccezione, intellettuale raffinato, artista vocato all’avanguardia e sensibile a ogni forma di manifestazione del “nuovo” (fu tra i fondatori della rivista “Quindici”), Mauri attivò dentro di sé un laboratorio di riflessione e orientò la sua analisi verso il concetto stesso d’ideologia: un concetto che nel ’68 mostrò un’imprevista forza dirompente e che conobbe – nel bene e nel male – una possibilità diversa di manifestarsi. Gli effetti della riflessione che Fabio Mauri dedicò a quella data “mitica” non furono circoscritti al ’68 in sé (anno terribile o meraviglioso, a seconda di come lo si consideri oggi e di come lo si sia considerato ieri), ma si ampliarono come i cerchi concentrici prodotti da un sasso lanciato nell’acqua, riverberandosi e diversificandosi nella sua stessa ricerca artistica.
La mostra allestita dalla Fondazione Malvina Menegaz per le arti e le culture a Castelbasso, nelle sale di palazzo De Sanctis, ancora una volta con la curatela di Laura Cherubini, elegge a proprio campo d’indagine il decennio che va dal 1968 al 1978, decennio nel quale Mauri ha sviscerato, dal suo punto di vista e secondo le sue modalità di approccio, un momento cruciale della storia italiana contemporanea, in una visuale che abbraccia scaturigini e conseguenze di un intero turbolento scenario politico. Su quel decennio così complesso, e in molti suoi aspetti così drammatico per la storia repubblicana, l’opera di Mauri offre un osservatorio al tempo stesso inedito e privilegiato: tanto più che l’intellettualità dell’artista vi esplode e vi rifulge in tutto il suo vigore anche nella valenza politicamente predittiva dei lavori e del linguaggio straordinariamente innovativo che li connota.
Mauri ha avuto con l’Abruzzo un rapporto speciale e fecondo, contrassegnato principalmente dalla sua ventennale docenza di Estetica della sperimentazione all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, città nella quale peraltro realizzò diverse performance. Un rapporto – mi piace ricordare – che nel 2000 ha coinvolto la stessa Fondazione Menegaz, quando Mauri visitò Castelbasso – dove ebbi la gioia di conoscerlo – in occasione di Trasalimenti, la mostra in omaggio all’arte di Tullio Catalano. Alla mostra Mauri partecipò con una sua opera, anche perché di Catalano, così come della stessa Cherubini, era stato collega all’Accademia aquilana. È nel solco di quella felice precedente esperienza, che la Fondazione Malvina Menegaz per le Arti e le Culture realizza quest’anno la mostra Fabio Mauri 1968-1978.
La scoperta della luce solida – di Laura Cherubini
L’idea di proiezione percorre tutto il lavoro di Mauri, dagli Schermi, le superfici che virtualmente accolgono la proiezione, le Proiezioni che presentano l’oggettività dello schermo, ossia del mondo, che accoglie la proposizione di una mente, e se la adatta creando un terzo significato, fino a Due acquerelli in cui il pantografo, che è una macchina per “proiettare”, in un certo senso, è esso stesso proiezione in scala del modellino. Tra i vari progetti di Mauri c’era quello dei due proiettori che dovevano proiettare uno contro l’altro. Nel caso dei lavori a luce solida, c’era il desiderio di recuperare Depero, a quel tempo a torto considerato un minore. Mauri osservava invece con grande interesse le opere del futurista che con Balla
aveva voluto ricostruire l’universo, in particolare le sue lampadine con i raggi solidificati. L’idea di dare un corpo alla luce
partiva anche dal concetto che tutte le componenti dell’universo sono reali, compreso il pensiero. L’attenzione dunque era alla fisicità della proiezione. Un precedente può essere rintracciato nei paralumi disegnati da Mauri per la mostra Arte-oggetto alla galleria La Salita, piccoli schermi con immagini a decalcomania, cinematografo in miniatura. Nell’estate del ’68 Mauri è invitato da due artisti, Marotta e Castellani, e da due architetti, Ponzio e Casati (organizzò anche alcune mostre del design dell’artista, un’attività poco nota di Mauri, ma estremamente interessante e che propongo di approfondire anche alla luce del macabro campionario di oggetti di Ebrea, corrosiva e tragica parodia del design modernista), a presentare un progetto “pubblico” per un luogo italiano scelto dall’artista alla mostra Nuovo Paesaggio per la XIV Triennale di Milano. La manifestazione ideata dai quattro curatori era fortemente lungimirante, in netto anticipo sulle future proposte di “arte pubblica”. L’occupazione della Triennale (era il ’68!!!) interruppe i lavori e la mostra non fu aperta, ma esiste un catalogo che dimostra la stupefacente visione di Marotta, Castellani, Ponzio e Casati e la qualità dei progetti presentati, da Mauri a Boetti. Mauri aveva pensato a un enorme modello di torcia elettrica con raggio luminoso solidificato da piazzare al laghetto dell’EUR di Roma (Buzzati cita i progetti monumentali di Claes Oldenburg, mentre Mario Verdone, per questo tipo di progetti, più esattamente rimanda a Depero e Balla). Dalle Pile si passa al Cinema a luce solida estroflessione cristallizzata dello schermo. “Il proiettore con la sua testa a parallelepipedo con gli spigoli arrotondati e il lungo corpo a sezione triangolare, ha un aspetto vagamente antropomorfo, che suggerisce, oltre all’idea della macchina, quella dello spettatore. Il fascio di luce è una piramide isoscele di perspex applicata alla parete, in modo che il suo vertice venga a coincidere col foro del proiettore che gli sta davanti, e illuminata dal didentro”. Dalla superficie bidimensionale dello schermo nasce un’inedita scultura. Gillo Dorfles parla di “oggettualizzarsi e iconicizzarsi d’un fenomeno comune e consueto dei nostri giorni”.
“Le Pile e i Cinema a luce solida, elaborati nel 1967/68 ed esposti a Roma e Milano nel 1968, costituiscono un ulteriore capitolo sulla oggettualizzazione dei messaggi, e di conseguenza dei mezzi di comunicazione. Così come lo Schermo pone lo spettatore dinanzi al luogo della proiezione, e gli Schermi-Targhe sottolineano la compartecipazione del ricevente al messaggio, così le Pile ed i Cinema presentano, come se fosse solido tridimensionale, il fascio di luce che serve alla realizzazione di ogni immagine proiettata, sottraendo anch’esso ad ogni presunta neutralità della comunicazione. La luce, come il segno, come il pensiero, come l’ideologia sulla quale l’artista si soffermerà direttamente nelle opere degli anni settanta, è una cosa, pesante ed ingombrante, e ben lontana dall’utopistica visione dell’arte tecnologica e cinetica che ne fa un elemento ludico e liberatorio. A quella visione, a quella utopia, la riflessione di Mauri si contrappone radicalmente, come un macigno”. Il 1968 è dunque un anno chiave per l’opera di Fabio Mauri (è anche l’anno in cui trasforma in schermo anche la fotografia del corpo esanime di Che Guevara, l’eroe eponimo di quell’era, imprimendo la scritta The end) sia perché prende corpo il concetto di luce solida sia perché in quello stesso cruciale anno, nell’ambito di una manifestazione, che chiude il sipario su un decennio e apre il proscenio del successivo, ideata profeticamente da Plinio De Martiis, Il teatro delle mostre, Mauri fa entrare lo spettatore nell’ambiente sospeso e futuribile de La Luna. Sarà un gesto irreversibile e propedeutico alle successive performance e proiezioni.
FABIO MAURI 1968-1978
a cura di Laura Cherubini
Palazzo De Sanctis, dal martedì alla domenica, dalle 19 alle 24
Fino al 2 settembre
Sarà presente l’artista
#0 MATTEO FATO
a cura di Simone Ciglia
Palazzo Clemente, dal martedì alla domenica, dalle 19 alle 24
Fino al 2 settembre
Ingresso unico per entrambe le mostre 8 €
PROIETTIAMO!
Laboratorio didattico per bambini dai 5 agli 11 anni
Tutti i martedì fino al 28 agosto
TECNICA MISTA
Laboratorio didattico per bambini dai 5 agli 11 anni
Tutti i mercoledì fino al 29 agosto
Presenza di un accompagnatore facoltativa.
Ingresso 5 € (all’eventuale accompagnatore è richiesto il biglietto d’ingresso)
INFO
Palazzo Clemente e Palazzo De Sanctis, Borgo Medievale di Castelbasso
Orari: martedì – domenica, 19-24
Ingresso (valido per entrambe le mostre): 8€, ridotto 6€, gratuito per i bambini fino a 6 anni
tel. 0861.508000 – info@fondazionemenegaz.it – www.fondazionemenegaz.it