Commissioni speciali e partecipazione popolare di Carlo Di Marco

Commissioni speciali e partecipazione popolare

Carlo Di Marco[1]

Prof. Carlo Di Marco

Nei giorni scorsi è comparsa sulla stampa cittadina un dibattito a distanza fra il Presidente del Coordinamento dei Comitati di quartiere e il Sindaco, sul problematico rapporto fra amministrazione comunale e strumenti della partecipazione popolare. I termini della querelle, a giudicare da quanto è comparso sulla stampa, sarebbero i seguenti: il Presidente Bucciarelli segnala ritardi dell’Amministrazione comunale sulla creazione di «appositi organismi» per far decollare la democrazia partecipativa e suggerisce, a questo fine, la formazione di «commissioni consiliari speciali» allargate ai cittadini. Dal canto suo, il Sindaco giudica inidoneo lo strumento suggerito dal Coordinamento dei comitati e informa che questa Amministrazione comunale sta procedendo speditamente verso l’approntamento di più validi strumenti normativi al fine di garantire la partecipazione popolare. Indica altresì nelle Consulte mezzi più idonei e partecipati, sui quali si starebbe lavorando.

Osservando con attenzione le migliaia di esperienze partecipative, deliberative e dialogiche che si sviluppano da oltre trent’anni nel nostro Paese, si deduce che i cittadini possono esercitare il loro diritto di partecipazione ogni qualvolta lo desiderano senza che nessuno possa impedirlo, e per questo non hanno bisogno di nessuno strumento precostituito. In altri termini, non c’è bisogno che una commissione consiliare “si apra” alla partecipazione dei cittadini altrimenti questi resterebbero esclusi dalla politica comunale. Eventuali strumenti di partecipazione previsti negli statuti e nei regolamenti comunali, non servono per dire ai cittadini “ora potete partecipare”, servono viceversa alle amministrazioni comunali per dire a sé stesse “ora mi obbligo ad ascoltare i cittadini”. Ne discende che se il Comune crea una Consulta per il turismo, una per la cultura, una per la partecipazione popolare ecc.., non lo fa perché subito dopo i cittadini possono finalmente partecipare, ma perché da quel momento il Comune si obbliga ad ascoltare proposte pareri e atti di controllo politico e di merito che provengono dai cittadini.

Nello specifico, una Commissione consiliare, per quanto possa essere “aperta”, è pur sempre nominata dalle forze politiche che governano la città e da quelle di minoranza; una consulta popolare, invece  (da come l’abbiamo proposta noi dell’Associazione Demos), è espressione delle realtà sociali della città: è formata dai rappresentanti delle realtà associative e di quartiere, elegge nel suo seno un presidente ed invita permanentemente il Sindaco – o un suo delegato – senza diritto di voto alle proprie adunanze. Una commissione consiliare può anche “aprirsi” ai cittadini, ma la democrazia richiede che avvenga il contrario: che i cittadini “aprano” a chi governa.

Semmai ci sarebbero da approfondire alcune cose e pongo due quesiti.

Il primo: quando le amministrazioni comunali creano le consulte di settore, queste sono sempre concepite come liberi strumenti delle realtà associative e di quartiere che valorizzano le realtà sociali, da ascoltare e con cui interloquire, oppure no? La nostra esperienza ci dice che purtroppo non sempre è così! Se le Consulte sono nominate dai partiti di maggioranza e di opposizione e sono presiedute da assessori o altri soggetti di nomina del Sindaco, altro non sono che riproduzioni grottesche del Consiglio comunale formate da personaggi di fiducia e “trombati” da accontentare. Nell’ipotesi che invece siano composte da rappresentanti designati dalle associazioni e dai quartieri, e che i loro presidenti siano eletti nel seno di questa multiforme composizione, il rischio di cui sopra, pur se non completamente annullato, risulterebbe certo notevolmente ridotto. Come saranno concepite le Consulte a Teramo, lo leggeremo nello Statuto e nel regolamento per la partecipazione. Demos le sue proposte le ha da tempo già formulate.

L’altro quesito che mi pongo, invece, riguarda l’effettività della partecipazione popolare (art. 3, 2° comma Cost.). Si è sottolineato che il proliferarsi dei comitati di quartiere in Città è segno di un grande bisogno di partecipazione popolare. E’ verissimo. Ma quanto pesano i singoli cittadini nelle attività dei comitati di Quartiere? Perché i cittadini siano effettivamente partecipi, i comitati eletti devono svolgere un unico ruolo: quello di promuovere quotidianamente la partecipazione popolare sulle cose del Quartiere. Ergo, ponendo la domanda in altro modo: quante volte un comitato di quartiere nella nostra città convoca i cittadini in Assemblea pubblica? Quante occasioni hanno i cittadini per informarsi, discutere, proporre e votare? Naturalmente non c’è un numero prestabilito per rispondere. Dico solo che quando i cittadini non sono costantemente messi in condizione di contare i rispettivi comitati rischiano sempre di trasformarsi in centri di potere e palcoscenici per personalismi vari. Aggiungo, quando la partecipazione popolare è effettiva non c’è politico che possa ignorarla, quando è finta, la classe politica ripropone fatalmente se stessa.

 

[1] Docente di Diritto Pubblico Università di Teramo, Presidente Associazione culturale Demos