Duemilatrecentoquaranta anni fa, nel 321 a.C. si consumò uno degli eventi più ingloriosi della storia di Roma. Le legioni consolari, bloccate tra due strette gole e circondate dai nemici sulle alture, dovettero arrendersi, senza combattere, alle bellicose tribù sannite; è l’episodio delle “forche caudine” in cui i consoli e tutti i legionari furono costretti a passare, seminudi, sotto un bastone in segno di sottomissione. Ciò però non impedì che una ventina d’anni dopo i Sanniti (un insieme di popolazioni che controllavano l’Abruzzo, il Molise e la Campania settentrionale) fossero sconfitti e inglobati nei domini romani.
Di quelle lontane epoche non è rimasto molto ma due siti collegati a questo evento, ambedue in Molise, sono di grande interesse e suggestione e se ne consiglia la visita. Il primo, non lontano dal fiume Trigno che separa l’Abruzzo dal Molise, è il santuario italico di Pietrabbondante. Questo complesso, costruito tra il III e il I sec. a.C., è costituito da due templi e un teatro. Luogo principe di identità collettiva, Pietrabbondante non era riservata solo al culto ma anche alle decisioni politiche pubbliche. Il complesso si adagia sul dorso di una collina con un panorama, siamo a poco più di 1000 m. di altezza, mozzafiato. Alture fittamente boscose si stendono a perdita d’occhio mentre il santuario si articola in un grande tempio che sovrasta un ampio teatro, unico esempio dell’antichità in cui i sedili sono completati da schienali (!), e un altro tempio più piccolo a fianco del teatro. E’ dal tempio maggiore che lo sguardo spazia sia sul sito sia sulla vallata che si stende davanti; l’impressione è di una grande, solenne, composta austerità nonché di un tesoro ancora tutto da scoprirsi quando, osservando la zona non aperta al pubblico, si notano colonne e muri portati recentemente alla luce con gli scavi tuttora attivi.
Il santuario fu utilizzato fino al I secolo a.C. perché questa data segnò la fine delle popolazioni sannite come soggetti ancora in parte autonomi e la definitiva romanizzazione dell’area. Il tutto avvenne molto rapidamente, in meno di dieci anni. Nel 91 a.C. scoppiò la Guerra sociale (da “socii”, cioè alleati) in cui i Sanniti insieme ad altre popolazioni italiche insorsero per ottenere lo status di cittadini romani. Militarmente sconfitti, vinsero politicamente perché i Romani per terminare il conflitto riconobbero le loro rivendicazioni concedendo la cittadinanza a tutti i popoli al sud del Po. Ma pochi anni dopo i Sanniti (che avevano continuato lo scontro con Roma), coinvolti nelle guerre civili che porteranno alla fine della Repubblica e alla nascita dell’Impero, si schierarono contro Silla e il Senato e a favore dei “populares”. La sconfitta di questi nel 82 a.C. segnò l’inizio di un vero e proprio genocidio con l’eliminazione fisica e la crocifissione di migliaia di persone ed è in questo contesto che Pietrabbondante venne proibito come luogo di riunione e ben presto abbandonato.
A pochi chilometri dal santuario vale la pena visitare un altro sito archeologico che rappresenta la continuazione di questa storia e aiuta a comprendere cosa significò per queste terre la conquista romana. Ai piedi del massiccio del Matese, in pianura, lungo l’antico tratturo Pescasseroli-Candela e oggi sulla statale per Benevento, la città di Saepinum è un esempio illuminante per comprendere come la romanizzazione agì attraverso la fondazione di nuovi centri urbani. Questo luogo, che prende il nome da un antico insediamento sannita sui monti circostanti e distrutto dalle legioni nel 293 a.C., risale al I secolo d.C. ed è quindi posteriore solo di alcune decine di anni alla chiusura di Pietrabbondante ma vi si rinvengono, con una chiarezza ammirevole, tutte le caratteristiche delle città romane. Oggi è istruttivo percorrere le due vie principali, cardo e decumano, intersecantesi ad angolo retto e ben conservate, anche se bisognose di più manutenzione; ammirare i resti della basilica con colonne con capitelli ionici; osservare il teatro perfettamente leggibile o l’unico esempio che ci è giunto dall’antichità di mulino ad acqua.
Non mancano poi quei luoghi pubblici che caratterizzano le città romane nei tre continenti su cui si stendeva l’impero: le terme, il “macellum”, il foro. Insomma, nonostante siano passati una manciata di decenni dalla chiusura di Pietrabbondante, ci si ritrova in un ambito completamente diverso; lì era il luogo di ritrovo, in un ambiente dalla selvaggia bellezza, di popoli montanari con riti e cariche politiche comuni, qui è un ordinato “municipium” di pianura ben inserito in un grande impero con pratiche e cultura comune; lì vive ancora la fierezza per la propria autonomia, ma non più indipendenza, con l’esaltazione di una particolarità in contrasto con il mondo latino, qui è l’”Urbs” che domina, ma non lo fa più con la forza bensì inserendo il territorio in un ambito più vasto attraverso, si noti il particolare fondamentale, la cittadinanza e la cooptazione delle aristocrazie nel governo locale o addirittura in quello imperiale. Pietrabbondante e Saepinum rappresentano così due momenti diversi, vicini nel tempo e nello spazio, fondamentali nella storia dei popoli di questa parte d’Italia; nella prima popolazioni fiaccate, ma non ancora domate, si adeguano ai nuovi tempi con un santuario che risente delle caratteristiche costruttive ellenistiche pur mantenendo stilemi italici, come il rialzo dei templi, nella seconda si manifesta, sia urbanisticamente sia socialmente, il pieno inserimento di questi popoli nella “pax romana”.
Ma questi siti sono da mettere in connessione da un lato con il Museo Archeologico di Chieti, ove oltre al famosissimo Guerriero di Capestrano vengono ricostruite la storia e i caratteri di queste popolazioni prima della conquista romana, dall’altro con il piccolo ma brillantissimo gioiellino che è il Museo Archeologico di Corfinio. Questo paese in provincia dell’Aquila in epoca romana era una grande città e fu la capitale dei rivoltosi della guerra sociale. Qui si trova un elemento di notevole interesse nel passaggio storico-politico tra Pietrabbondante e Saepinum. La preziosissima collezione numismatica del museo mostra, tra le tante, due monete coniate dai ribelli sulle quali in una il toro italico abbatte la lupa romana e, nell’altra, si raffigura il giuramento di fedeltà anti-romano delle popolazioni (“sacramentum”); in ambedue i casi è iscritta sulla moneta, per la prima volta nella storia in modo coscientemente politico in quanto simbolo dell’unione di tutti i popoli della penisola coalizzati contro Roma, il nome della nazione che si era ribellata: Italia!
Come si è detto è la prima volta nella storia che questo termine geografico assume valenza politica, ma è bene non perdere la testa dietro fantasime romantico-nazionalistiche o, peggio ancora, campanilistiche. Roma vinse sull’Italia non solo per la forza delle legioni ma soprattutto per la capacità di assimilare attraverso la concessione della cittadinanza, quello che allora era il “diverso”. Saepinum mostra questa abilità e apertura al nuovo che alla fine costituì la forza di un impero durato più di quattro secoli in cui non solo gli italici potevano aspirare ai più alti posti di comando ma potevano diventare imperatori uomini provenienti dalle più lontane periferie come l’Africa, la Siria, la Britannia, la Spagna e, addirittura, l’Arabia. Forse si può dire che l’assimilazione degli italici, ben rappresentata dalla parabola Pietrabbondante-Saepinum, divenne il modello per la costruzione di un impero in grado, in questo caso, di eliminare la grettezza e chiusura dei popoli montanari per inserirli in tutto il mondo mediterraneo e oltre. Forse questa fu la più grande vittoria che i Sanniti potessero riportare e che effettivamente riportarono sull’egoismo e le paure della parte più retriva e xenofoba delle classi dirigenti dell’Urbe.