Giulianova. La terribile carestia del 1817
GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 7.
di Sandro Galantini*
1815, 1816, 1817. Furono tre anni terribili. Uno peggio dell’altro per i giuliesi. Si iniziò nel 1815 con una grandinata che devasto’ ogni raccolto anche perché avvenne ad agosto. E nel 1816, anno bisestile, andò ancora peggio. L’apparizione di una cometa, insolitamente grande, fu considerata un pessimo auspicio dal teramano Pietro Marcozzi. Egli, morto poi nel 1840 e considerato tra i primi verseggiatori abruzzesi, nell’occasione scrisse un sonetto dialettale grondante di preoccupazione. E non aveva torto. La mancanza di grano come di ogni altro cereale, e persino delle erbe spontanee, stava riducendo alla fame la popolazione. Per cui, scriveva appunto nel 1816 il sindaco di Giulianova Egidio Bucci, contadini e popolani si trovavano «nell’ estremo bisogno ed i miserabili prezzano poco le leggi e si dedicano per vivere ai furti». Il momento peggiore si ebbe quindi nell’anno della fame, il 1817. A gennaio, a causa della carestia, i morti furono 63, saliti rapidamente a 123 il mese dopo. A maggio erano 226. Fu una strage. In totale i morti di fame a Giulianova furono 770, pari al 27,85% della popolazione, che allora ammontava a 2765 abitanti. Molti i mendicanti morti sulle strade e non confortati da alcun sacramento. E moltissime le donne, adulte (come Maria Castelli, 29enne) o fanciulle (Francesca Foschini di 12 anni). A causa della mancanza di camposanti, i corpi venivano tumulati nelle chiese. Quella di S. Maria a mare o dell’Annunziata era così piena che in quell’anno si decise di scoperchiare il tetto per fare evaporare il fetore dei cadaveri.
- Storico e Giornalista
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