GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 32.
di Sandro Galantini*
Il rinvenimento, nel 1929, dell’ennesima iscrizione antica, aveva forse sollecitato alcuni giovani giuliesi ad effettuare una avventurosa ricognizione in una galleria che anni prima, creando curiosità in città, era stata scoperta da un operaio intento a scavare un pozzo nell’aia di una casa colonica sita lungo via XV Ottobre, l’attuale Gramsci, probabilmente nell’area a sud dell’odierno Istituto S. Volto tra le vie Mantegna e fratelli Bandiera, allora non urbanizzata.
Fosse per sincero interesse archeologico, oppure per semplice spirito di avventura con la prospettiva magari di rinvenire qualche “tesoro”, in ogni caso a primavera, reperita la somma necessaria e d’intesa con il proprietario del fondo, gli improvvisati speleologi avevano dato il via all’operazione sui cui esiti ragguagliava il 27 agosto 1929 “Il Messaggero”.
La galleria, come si legge nell’articolo, era posta ad 8 metri di profondità e venne percorsa per 40 metri a sud e 190 verso nord essendo impossibile proseguire oltre a causa di «due frane esistenti dopo le suddette distanze», si ipotizzava avvenute per il cedimento della volta. La galleria, di andamento «tortuoso» e con copertura preminente costituita da volta a botte ed in alcuni tratti da due conci di pietra di tufo «accostati e contrastantisi», aveva una larghezza di circa 80 centimetri ed un’altezza media di 2,40 metri. Il pavimento presentava un selciato regolare. Tra coloro che avevano effettuato l’avventurosa ricognizione, “Il Messaggero” segnalava in particolare un giovane di Città S. Angelo da appena un anno laureatosi in ingegneria a Bologna, Arturo Braga, figlio del giuliese Alfredo, e l’«industriale» Luigi Orsini, figlio di Tiberio. I quali pare avessero persino abbozzato un rudimentale rilievo.
Quel cunicolo, per il quale il giornale invocava l’intervento della Soprintendenza potendo «far scoprire chissà quali cose di valore archeologico e storico», aveva dato luogo all’opinione popolare di un fantasioso tracciato di fuga, ad uso dei duchi Acquaviva, che da Giulianova terminava al fiume Tordino o addirittura, secondo la versione ancora più leggendaria, passando sotto il fiume risaliva ad Atri.
In realtà doveva trattarsi di un tratto dell’adduttore idrico ipogeo, con tratti di camminamento per la manutenzione, che partendo dalla domus sub-urbana con cisterna nel giardino di Casa Maria Immacolata, raggiungeva l’area, romana prima medievale poi, nella zona dell’attuale cimitero. Dove, sulle pendici orientali, sino a qualche anno fa erano ancora visibili i resti di una piccola cisterna scivolata ormai a valle.
* Storico e Giornalista