Giulianova. I Monti dei Maritaggi giuliesi
GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 52.
di Sandro Galantini*
La dote nuziale, prima che la legge del 1975 sulla riforma del diritto di famiglia ne decretasse la fine, per secoli era stata un’usanza mai messa in discussione né dalle famiglie aristocratiche e borghesi, né da quelle delle classi meno abbienti.
A risentirne pesantemente, ipotecando il loro futuro di spose e madri, erano le fanciulle orfane e povere. Per questo non erano mancate persone sensibili che, con generosità, erano intervenute con disposizioni caritatevoli dando vita ai Monti dei maritaggi, istituzioni miranti ad assicurare la dote alle fanciulle più povere.
A farsi promotore di un Monte dei Maritaggi a Giulianova era stato il sacerdote Giovanni Franchi. Il quale, con testamento rogato il 10 gennaio 1809 dal notaio napoletano Giuseppe Vercillo, aveva disposto il conferimento annuale di tre doti a favore delle ragazze povere ed orfane della città per lo spazio di 30 anni, assegnando all’uopo l’interesse di un capitale ammontante a 1.300 ducati.
Ma questo atto di liberalità, approvato con decreto reale del 16 gennaio 1835, aveva incontrato l’opposizione degli eredi dando luogo ad una estenuante disputa giudiziaria. Tanto che ancora nel 1855, nonostante le sentenze sfavorevoli agli opponenti, il Monte dei Maritaggi giuliese era ancora inattivo e comunque nel 1868 veniva soppresso.
Settant’anni dopo, con lo stesso obiettivo, i fratelli Filippo, Giuseppe e Augusto De Santis, ricchi titolari di una impresa leader nel settore del ferro con sede a Giulianova e succursale a Milano, davano vita alla Opera pia intestata ai genitori Michelina e Francesco, quest’ultimo fondatore della ditta e deceduto il 22 agosto 1933 nella casa di via XXIV Maggio 22, nel complesso che ospitava il grande opificio.
Dopo l’atto rogato il 3 febbraio 1938 a Melegnano dal notaio Antonio Cattaneo, il Comune di Giulianova, destinatario del beneficio e sede della fondazione dotalizia, con due delibere adottate il 6 dicembre 1939 approvava lo statuto nominando i componenti del consiglio d’amministrazione: presidente, su designazione riservata al prefetto, il ragionier Andrea Castorani; consiglieri il parroco di San Flaviano don Tito Nespeca, Ada Azzoni, Augusto De Santis e Cesare Ciaffi.
Grazie alla rendita annua di 2mila lire proveniente da due certificati di iscrizione sul Gran Libro del debito pubblico del Regno, ciascuno del capitale nominale di 20.000 lire, la nuova Opera pia garantiva ogni anno quattro doti in denaro ad altrettante fanciulle povere di età compresa tra i 14 e i 30 anni. A patto che fossero nate e domiciliate a Giulianova, che godessero del requisito della buona condotta e che fosse comprovato il loro stato di fragilità economica. Altra condizione era la promessa di fidanzamento o di matrimonio con la richiesta di pubblicazioni. Il pagamento, con somma depositata su libretto postale dell’Opera pia, sarebbe avvenuto dopo la celebrazione delle nozze. L’elargizione veniva meno in caso di condanna della nubenda, per carenza del requisito della buona condotta e per mancato matrimonio entro tre anni.
Con il regio decreto 30 maggio 1940, che al contempo ne approvava lo statuto, l’Opera pia “Michelina e Francesco De Santis” veniva eretta in Ente morale. Ma la guerra, ormai alle porte, ne avrebbe presto fiaccato l’attività.
*Storico e Giornalista